Storia tutta italiana quella del castello di Miasino, dimora ottocentesca in provincia di Novara, sequestrata al boss della camorra Pasquale Galasso, confiscata in via definitiva nel 2009, ma attualmente ancora gestita dai parenti del padrino che la utilizzano per organizzare feste, meeting, matrimoni e incontri pubblici anche per conto dei comuni della zona. Un brutto cortocircuito su cui pesano lentezze burocratiche e il macchinoso passaggio di consegna degli 11.000 immobili mafiosi dal Demanio alla nuova Agenzia per i beni confiscati voluta dal ministro dell’Interno Roberto Maroni. Ma la situazione è resa ancora più clamorosa dal fatto che nel paese di Miasino (poco più di 900 anime) tutti conoscono la vicenda del castello della camorra. Tutti tranne evidentemente le istituzioni.
Negli archivi dell’Agenzia il bene compare sotto la voce “villa”. Altro non emerge, tantomeno l’attuale proprietà. In realtà il castello è un vero e proprio gioiello composto da ventinove stanze meravigliosamente affrescate, soffitti in legno, scale di marmo e un parco da sessantamila metri quadrati. Prezzo sul mercato: circa 10 milioni di euro. Il tutto con suggestiva vista sul lago d’Orta.
Strana storia davvero. Fino al 1993 questa residenza da favola risulta di proprietà di Pasquale Galasso, che ribattezza la magione in villa Bretta e sceglie di destinare l’intero pianoterra a sala da pranzo, mentre la grande torre viene utilizzata come mansarda. Qui per anni vivono i parenti del boss con i figli scortati a scuola su auto blindate.
Arrestato nel 1992 assieme ad altre 40 persone, Galasso, ad appena 37 anni, sceglie la strada della collaborazione. Nel frattempo la magistratura di Napoli gli sequestra un tesoro da 150 miliardi, tra cui una villa bunker a Poggiomarino, ribattezzata il Louvre della camorra e impreziosita addirittura da un trono dei Borbone.
Tra i forzieri del capoclan ci sono, però, anche le chiavi del castello di Miasino, avamposto da mille e una notte che nella testa del boss doveva rappresentare la rampa di lancio per conquistare il nord Italia e la Francia. Non a caso il 16 gennaio 1992 alla frontiera di Como viene fermata una Thema. Dai controlli salta fuori un tesoretto in titoli di credito e un progetto residenziale da realizzare in Algeria. Si scoprirà che gli uomini dentro alla berlina erano legati al clan Galasso.
Sì perché Pasquale, figlio di don Sabato, vecchio capobastone di Poggiomarino e di tutto l’Agro nocerino, è un boss moderno. A lui, studente di medicina, vicino a Cosa nostra, già pupillo del superboss Carmine Alfieri e legato al faccendiere sardo Flavio Carboni, i confini della Campania vanno stretti. Il nord Italia è la sua meta. La Francia e poi gli Usa un sogno rimasto però nel cassetto.
Il 2007 gli regala, infatti, una condanna definitiva. Nel frattempo il castello torna di sua proprietà attraverso la moglie Grazia Galise, classe ’59, originaria di Pompei. E’ lei, infatti, la titolare di tutte le quote della Castello di Miasino srl, la società che amministra la residenza fatta erigere nel 1867 dai baroni Solaroli. La gestione inizia nel 2002. All’epoca la società ha sede in via Tadino a Milano. Tra i soci compare l’avvocato salernitano Bruno Simonis imputato e poi assolto per infedele patrocinio dal Tribunale di Verbania. In sostanza Simonis fu accusato del fallimento della Immobiliare Lussemburgo dalla quale aveva ricevuto l’incarico di vendere un bene per far fronte ad alcuni debiti dei proprietari. Nello stesso tempo, però, il legale avrebbe tutelato anche Grazia Galise, la quale vantava un credito di 179.000 euro con i titolari della società. Bruno Simonis compare tra i primi soci della Castello di Miasino srl, la cui proprietà passa definitivamente nella mani della moglie del boss nel 2005. Un anno dopo la sede legale si trasferisce a Miasino.
Non è la prima volta che Grazia Galise si presta alla tutela degli interessi del marito. Fino al 1998, la donna risulta socia al 99% della Deutzia srl con sede a Miasino. Si tratta di una immobiliare che viene acquistata dal boss. Al momento dei sequestri, la Deutzia è proprietaria, oltre che del castello (comprato per 2 miliardi di lire) anche di un appartamento di 700 metri quadrati nel vicino comune di Ameno.
Cosa succederà ora? Difficile capirlo, visto che la nuova Agenzia dei beni confiscati, aperta solo l’aprile scorso, riparte pressoché da zero. Intanto, sul castello di Miasino pesa un’ipoteca da 600.000 euro fatta direttamente dalla famiglia Galasso. “Un modo per metterci i bastoni fra le ruote”, fanno sapere dall’Agenzia dei beni. Sì, perché fino a quando l’ipoteca non verrà estinta il castello, pur confiscato, non potrà essere destinato a uso sociale. Ma c’è di più: i legali del boss pentito hanno proposto un’istanza al tribunale di Napoli per riavere indietro il bene. Istanza già respinta due volte, riproposta una terza e aggiornata al 26 ottobre prossimo. Nell’attesa al castello di Miasino si organizzano matrimoni in grande stile. La camorra incassa e ringrazia.

da Il Fatto Quotidiano del 13 giugno 2010

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Cemento e affari immobiliari
L’altra vocazione del Vaticano

next
Articolo Successivo

E se parlassimo anche d’altro?

next