Una parte dei documenti che fanno perdere il sonno a Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi la vedete qui sopra. Sono le agende dove Ines Lattuada, una segretaria di Publitalia, segnava gli appuntamenti e le telefonate dirette al futuro senatore. Tra il 1992 e il 1994 molte persone legate a Cosa Nostra, dall’ex fattore di Arcore Vittorio Mangano, sino a Gaetano Cinà e al figlio del cassiere di Totò Riina, Pino Mandalari, cercavano Dell’Utri, allora impegnato nella creazione di Forza Italia. Si tratta di documenti mai visti prima, tratti dagli atti del processo di appello in cui il sostituto procuratore generale Nino Gatto ha chiesto di aumentare di due anni – da 9 a 11 – la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa già inflitta a Dell’Utri in primo grado.
Questa mattina a Palermo i giudici, dopo aver ascoltato Gatto e le difese, entreranno in una camera di consiglio che si annuncia lunga e piena di tensione. In questi mesi, del resto, le polemiche non sono mai mancate. A partire da quelle sulle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza sui presunti rapporti tra il senatore, il premier e i fratelli Graviano: i boss di Brancaccio autori delle stragi del ’93. Rapporti, che almeno per quanto riguarda Dell’Utri, la sentenza di primo grado considerava “certi”. Ma il dibattimento, come potete vedere, non si fonda solo sui pentiti (più di 30). Molti invece sono i fatti incontestabili.
Tra questi gli appunti di Ines Lattuada, da cui risulta che nel novembre del 1993, nelle settimane calde della creazione del partito di Berlusconi, Mangano, promosso capo della famiglia mafiosa di Porta Nuova, chiamava Dell’Utri. Un fatto che pare incastonarsi alla perfezione con quanto dichiarato dal collaboratore di giustiza Giovanni Brusca.
Il boss di San Giuseppe Jato, una volta pentito, spiega infatti che a fine settembre del ’93 lui e Luchino Bagarella (il cognato di Riina), avevano incaricato Mangano di contattare il Cavaliere. Il 2 novembre, come risulta dai documenti, l’ex fattore cerca una prima volta il futuro senatore. E il giorno dopo lo fa di nuovo, spiegando per telefono che tornerà a fine mese. Sulle agende si legge: «Mangano Vittorio sarà a Milano per parlare problema personale» e ancora: «Mangano verso 30-11 5 giorni prima convoca (il termine, scritto con calligrafia poco leggibile, è stato così interpretato dalla Dia ndr) con precisione». L’incontro, come conferma Dell’Utri, avviene per davvero: “Di tanto in tanto”, dice il senatore, “Mangano mi veniva a trovare. Mi parlava della sua salute”.
In secondo grado però uno dei difensori di Dell’Utri, l’avvocato Alessandro Sanmarco, ha sostenuto che il suo assistito ha fatto quell’ammissione solo perché “tratto in inganno” dalle domande dei pm. Una cosa è comunque indiscutibile. In aula non si è discusso (troppo) di pentiti, ma di fatti certi. Che emergono da intercettazioni, pedinamenti, filmati, documenti e testimonianze. Di rapporti con i boss che anche l’imputato trova difficile negare. Ecco i principali.
5 marzo 1974 Marcello Dell’Utri si dimette dalla Sicilcassa per andare a lavorare a Milano da Silvio Berlusconi. Per lui si tratta di un ritorno. Negli anni ’60 aveva già allenato una squadra di calcio sponsorizzata dal futuro Cavaliere. Adesso invece è il segretario particolare di Silvio. Cura la ristrutturazione della villa di Arcore e fa assumere come fattore Vittorio Mangano. Come racconterà lui stesso, Mangano, che già conosceva, gli è stato consigliato da “l’amico di una vita” Tanino Cinà: il proprietario di una lavanderia palermitana, imparentato attraverso la moglie con i boss Stefano Bontade e Mimmo Teresi. Secondo i pentiti, le intercettazioni ambientali e il tribunale che lo ha condannato a sette anni, Cinà (oggi scomparso) fa parte della famiglia mafiosa di Malaspina. Mangano quando arriva a Milano è già stato tre volte in carcere. Nel 1967 era stato pure diffidato come “persona pericolosa”, poi era finito sotto inchiesta per reati che vanno dalla ricettazione alla tentata estorsione e nel 1972 era stato fermato in auto con un mafioso trafficante di droga. Ad Arcore, Mangano porta a scuola i figli di Berlusconi e cura la sicurezza della villa, liberando ogni sera sei grossi mastini napoletani. Siamo negli anni dei sequestri di persona. I pentiti sostengono che la funzione di Mangano, mafioso della famiglia di Porta Nuova, era quella di garantire Berlusconi dai rapimenti. Lo stesso Berlusconi ammette di aver trasferito la famiglia in Spagna per qualche mese, in seguito a una serie di minacce e un attentato avvenuto nella villa milanese di via Rovani nel maggio del ’75. Il boss Francesco Di Carlo, un padrino di casa nel bel mondo palermitano, dice di aver partecipato a un incontro tra Bontade, Teresi, Cinà, Dell’Utri e Berlusconi al termine del quale si parlò del ruolo di Mangano. Stando a un rapporto della Digos del 1984, Mangano restò ad Arcore due anni, durante i quali fu arrestato altre due volte per scontare condanne per truffa, porto di coltello e ricettazione. Da un foglio di dimissioni dal carcere risulta che Mangano, ancora il 6 dicembre 1975, eleggeva domicilio sempre ad Arcore, in via Villa San Martino 42. Ma nonostante gli arresti, nessuno lo licenziava. In un rapporto dei Carabinieri di Arcore del 30 dicembre 1974 si legge: “Dell’Utri (…) ha chiamato Mangano pur essendo perfettamente a conoscenza (…) del suo poco corretto passato”. Mangano, interrogato in aula prima della morte, avvenuta nel 2000, dirà che spesso lui e la moglie cenavano con i Berlusconi. In quei mesi, secondo i pentiti, Berlusconi comincia a versare denaro a Cosa Nostra. Un ex socio di Dell’Utri, Filippo Alberto Rapisarda, sostiene che l’intervento di Marcello servì per ridurre le pretese della mafia. Dell’Utri ammetterà di averglielo detto, ma solo per vanteria. Non saprà spiegare però perché le minacce cessarono.
1976 Mangano lascia Arcore, ma continua a gravitare su Milano. Vive all’hotel Duca di York dal quale gestirà il traffico di droga per conto della mafia. Per questo verrà arrestato nel 1980 e poi condannato.
24 ottobre 1976 Il boss Antonino Calderone festeggia il compleanno al ristorante le Colline pistoiesi di Milano. Al suo tavolo ci sono Mangano, i boss Nino e Gaetano Grado e Dell’Utri. Lo ammetterà pure Dell’Utri, anche se dirà che Mangano non gli presentò i commensali.
1977, estate-autunno Dell’Utri pensa di prendere un anno sabbatico per studiare teologia. Berlusconi infatti non lo vuole promuovere: “Era perplesso sulle mie capacità manageriali”. Così si dimette e va a lavorare da Rapisarda, un imprenditore buon conoscente dei vertici di Cosa Nostra dell’epoca e proprietario dell’Inim, in quegli anni considerato il secondo gruppo immobiliare italiano. Già nel 1987 Rapisarda sosterrà di averlo assunto perché era sponsorizzato da Cinà, “uno a cui non si poteva dire di no”. Nello stesso interrogatorio Rapisarda accuserà Dell’Utri di aver poi riciclato soldi di Bontade e Teresi nella Fininvest. Nonostante le pesanti affermazioni non verrà denunciato per calunnia e invece, a partire dal 1988, tornerà amico di Dell’Utri. Creerà con lui quattro società immobiliari e gli presterà 2 miliardi di lire. Dell’Utri nega la sponsorizzazione di Cinà, ma ammette di aver incontrato nel ’77 Rapisarda assieme a Tanino. Un giornalista amico di Cinà testimonia però che la raccomandazione ci fu.
1978-79 Dell’Utri lavora all’Inim. Ma il gruppo va in bancarotta. Rapisarda fugge latitante in Venezuela, dove è ospite dei narcos mafiosi Caruana-Cuntrera. Poi vola a Parigi utilizzando un documento intestato ad Alberto Dell’Utri, il gemello di Marcello. Nel 1997-98, da intercettazioni telefoniche disposte contro ex dipendenti di Rapisarda, emergerà come all’improvviso molti di loro, in prossimità della convocazione in Procura come testimoni, abbiano ottenuto abitazioni nella berlusconiana Milano 3 (in un caso) o contratti o promesse di contratti da Pagine Utili. Per i pm è un episodio di inquinamento probatorio.
14 febbraio 1980 In un’indagine di droga viene intercettata una conversazione tra Mangano e Dell’Utri. Mangano dice di avere “un affare” da proporre. Dell’Utri: “Questi sono bei discorsi”. Poi Mangano parla di un secondo affare “per il suo cavallo”. Ma Dell’Utri spiega di non avere soldi e al suggerimento di chiederli “al suo principale, Silvio”, risponde: “Iddu non sura” (lui non sgancia). Infine si accordano per vedersi “al solito, in via Moneta”.
19 aprile1980 Si sposa a Londra Jimmy Fauci, un pregiudicato che gestisce il narcotraffico dei Caruana. Alle nozze partecipano Di Carlo e Teresi, Cinà e Dell’Utri. È lui stesso a confermarlo sostenendo però di esserci stato portato per caso da Cinà.
1983 Secondo i pentiti, l’onorata società torna a perseguitare il Cavaliere con richieste di denaro sempre più pesanti del clan Pullarà. Berlusconi, reduce da una serie di affari immobiliari in Sardegna con il faccendiere legato alla mafia Flavio Carboni, richiama Dell’Utri alla Fininvest e, nonostante il disastro del gruppo Inim, lo promuove numero uno di Publitalia. Per i pm, non ha scelta: Dell’Utri, tramite Cinà, sigla una nuova tregua con Cosa Nostra.
1986 Stando ai pentiti, Totò Riina, diventato capo dei capi dopo aver fatto fuori Bontade e i suoi uomini, scopre i rapporti dei Pullarà con Dell’Utri: indispettito per non essere stato informato, li mette da parte e affida a Cinà la gestione esclusiva di quel canale. Il suo obiettivo dichiarato è agganciare Bettino Craxi e dare una lezione alla Dc, non più affidabile. Nell’87 in Sicilia si verificherà un travaso di voti.
28 novembre 1986 Scoppia un’altra bomba in via Rovani. Berlusconi chiama Dell’Utri (intercettato): “È stato Mangano…una cosa rozzissima, ma fatta con molto rispetto, quasi con affetto…”. Poi dice che gli dispiacerebbe “se i carabinieri, da questa roba qui, fanno una limitazione della libertà personale a lui (Mangano)”. Due giorni dopo Dell’Utri riceve la visita di Cinà e, con Tanino al fianco, chiama Silvio per rassicurarlo: “Tanino mi ha detto che (Mangano) assolutamente è proprio da escludere. Poi ti parlerò di persona”. Per i pentiti l’attentato faceva parte della strategia di riavvicinamento di Riina. Altre intercettazioni rivelano che Cinà da quel giorno è spesso a Milano e che per il Natale regala una cassata di 12 chili a Berlusconi. I buoni rapporti Fininvest-mafia sono poi confermati, per i pm, da un’agenda, sequestrata alla famiglia mafiosa di San Lorenzo, in cui i boss tenevano i conti. Accanto alla voce Canale 5 compare una cifra (5 milioni) e la dicitura “regalo”. La mafia però non si accontenta. Punta a Craxi, non ai soldi.
17 febbraio 1988 Berlusconi chiama l’immobiliarista Renato Della Valle (intercettato): “Devo mandare via i miei figli perché mi hanno fatto delle estorsioni in maniera brutta. Una cosa che mi è capitata altre volte, dieci anni fa (…) siccome mi han detto che, se entro una certa data, sei giorni, non faccio una roba, mi consegnano la testa di mio figlio ed espongono il corpo in piazza del Duomo, allora ho deciso: li mando in America”. Che cosa doveva fare Berlusconi? Perché non denunciò l’accaduto? Impossibile saperlo: il premier in tribunale si avvarrà della facoltà di non rispondere.
1990, gennaio-febbraio Il gruppo torna nel mirino. A Catania avvengono una serie di attentati contro Standa (Fininvest) e Rinascente (Fiat). La Fiat ammetterà di aver pagato per farli cessare. La Fininvest invece nega e non si costituirà parte civile al processo. Per i pm, il vero obiettivo è sempre avvicinare Craxi. Vari pentiti e un teste dicono che Dell’Utri incontrò i boss Salvatore Tuccio e Nitto Santapaola per accordarsi. E a partire da quel periodo Dell’Utri risulta volare spessissimo a Catania.
1991 Mangano esce di prigione. Vuole riprendere in esclusiva il legame con Dell’Utri. Ma Riina invia il boss Totò Cancemi a dirgli di farsi da parte. Dice Cancemi: “Dell’Utri inviava 200 milioni all’anno a Cinà, che tramite (i boss) Di Napoli e Ganci li dava a Riina, che li smistava alle famiglie”.
1992, gennaio-febbraio Vincenzo Garraffa, senatore Pri e presidente della Pallacanestro Trapani, riceve la visita del capomafia Vincenzo Virga. “Mi manda Marcello”, spiega Virga venuto a reclamare 700 milioni per conto di Dell’Utri. Nel maggio 2004 il fatto è stato accertato dal Tribunale di Milano. Dell’Utri e Virga sono stati condannati a due anni per tentata estorsione.
1992, maggio-giugno L’ex dc Ezio Cartotto (sentito come teste) è ingaggiato in segreto da Dell’Utri per studiare un’iniziativa politica in previsione del crollo dei partiti amici a causa di Tangentopoli.
15 gennaio1993 Arresto di Riina. La mafia, coi vecchi referenti politici alle corde (compreso l’agognato Craxi), pensa di fondare il partito Sicilia Libera, con i cui esponenti (risulta da agende e tabulati telefonici) Dell’Utri è in contatto.
1993, estate Bernardo Provenzano, secondo il boss Nino Giuffrè, abbandona l’idea di Sicilia Libera e stringe un patto elettorale con Dell’Utri: fine delle stragi in cambio dell’alleggerimento delle indagini, del 41 bis, e di una nuova legge sui pentiti.
12 luglio 1993 Berlusconi, racconta l’ex condirettore de “il Giornale” Federico Orlando, faxa un decalogo con la “linea” da seguire. Uno dei punti forti è l’attacco ai pentiti e al reato di associazione mafiosa.
1993, novembre Mentre Berlusconi crea Forza Italia, Dell’Utri vede Mangano a Milano (risulta dalle agende del senatore). Con l’arresto di Riina l’ostracismo nei suoi confronti è caduto. Mangano anzi è stato promosso capofamiglia di Porta Nuova.
31 dicembre 1998 Dell’Utri viene filmato dalla Dia mentre incontra un collaboratore di giustizia messinese, Pino Chiofalo, organizzatore di un complotto per screditare i pentiti che accusano il senatore e i boss. Nel film lo si vede mentre gli consegna dei regali. Chiofalo, arrestato, confessa: “Dell’Utri promise di farmi ricco”.
1999 Dell’Utri si candida alle europee. Una microspia capta la voce di uno stretto collaboratore di Provenzano, Carmelo Amato, mentre raccomanda più volte ai picciotti di votarlo. Per esempio il 22 maggio: “Ora a questo si deve portare in Europa: Dell’Utri. Sì, qua già si stanno preparando i cristiani (i mafiosi, ndr)”. Anche Cinà, chiamato “zio Tano”, viene intercettato. E addirittura ammette di essere un uomo d’onore: “Carmelo, vedi che io sono combinato (mafioso ndr) come te”, dice.
13 maggio 2001 Dell’Utri viene rieletto. Nelle intercettazioni in casa del boss Giuseppe Guttadauro si sente il capomafia dire: “Con Dell’Utri bisogna parlare”, anche se “alle elezioni del ’99 ha preso degli impegni, e poi non s’è fatto più vedere”. Poi Guttadauro aggiunge che Dell’Utri si era accordato di persona con Gioacchino Capizzi, l’anziano capomandamento della Guadagna, lo stesso clan di cui facevano un tempo parte Bontade, Teresi e i fratelli Pullarà.
Per Dell’Utri è il passato che ritorna. Anzi che non se ne è mai andato.
Giustizia & Impunità
Marcello Dell’Utri e i boss di Cosa Nostra
Dalle agende alle intercettazioni, ecco le prove
Anche l'imputato ha ammesso i suoi rapporti con i mafiosi. Mentre grazie alle microspie si è scoperto che i padrini votavano per lui
Una parte dei documenti che fanno perdere il sonno a Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi la vedete qui sopra. Sono le agende dove Ines Lattuada, una segretaria di Publitalia, segnava gli appuntamenti e le telefonate dirette al futuro senatore. Tra il 1992 e il 1994 molte persone legate a Cosa Nostra, dall’ex fattore di Arcore Vittorio Mangano, sino a Gaetano Cinà e al figlio del cassiere di Totò Riina, Pino Mandalari, cercavano Dell’Utri, allora impegnato nella creazione di Forza Italia. Si tratta di documenti mai visti prima, tratti dagli atti del processo di appello in cui il sostituto procuratore generale Nino Gatto ha chiesto di aumentare di due anni – da 9 a 11 – la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa già inflitta a Dell’Utri in primo grado.
Questa mattina a Palermo i giudici, dopo aver ascoltato Gatto e le difese, entreranno in una camera di consiglio che si annuncia lunga e piena di tensione. In questi mesi, del resto, le polemiche non sono mai mancate. A partire da quelle sulle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza sui presunti rapporti tra il senatore, il premier e i fratelli Graviano: i boss di Brancaccio autori delle stragi del ’93. Rapporti, che almeno per quanto riguarda Dell’Utri, la sentenza di primo grado considerava “certi”. Ma il dibattimento, come potete vedere, non si fonda solo sui pentiti (più di 30). Molti invece sono i fatti incontestabili.
Tra questi gli appunti di Ines Lattuada, da cui risulta che nel novembre del 1993, nelle settimane calde della creazione del partito di Berlusconi, Mangano, promosso capo della famiglia mafiosa di Porta Nuova, chiamava Dell’Utri. Un fatto che pare incastonarsi alla perfezione con quanto dichiarato dal collaboratore di giustiza Giovanni Brusca.
Il boss di San Giuseppe Jato, una volta pentito, spiega infatti che a fine settembre del ’93 lui e Luchino Bagarella (il cognato di Riina), avevano incaricato Mangano di contattare il Cavaliere. Il 2 novembre, come risulta dai documenti, l’ex fattore cerca una prima volta il futuro senatore. E il giorno dopo lo fa di nuovo, spiegando per telefono che tornerà a fine mese. Sulle agende si legge: «Mangano Vittorio sarà a Milano per parlare problema personale» e ancora: «Mangano verso 30-11 5 giorni prima convoca (il termine, scritto con calligrafia poco leggibile, è stato così interpretato dalla Dia ndr) con precisione». L’incontro, come conferma Dell’Utri, avviene per davvero: “Di tanto in tanto”, dice il senatore, “Mangano mi veniva a trovare. Mi parlava della sua salute”.
In secondo grado però uno dei difensori di Dell’Utri, l’avvocato Alessandro Sanmarco, ha sostenuto che il suo assistito ha fatto quell’ammissione solo perché “tratto in inganno” dalle domande dei pm. Una cosa è comunque indiscutibile. In aula non si è discusso (troppo) di pentiti, ma di fatti certi. Che emergono da intercettazioni, pedinamenti, filmati, documenti e testimonianze. Di rapporti con i boss che anche l’imputato trova difficile negare. Ecco i principali.
5 marzo 1974 Marcello Dell’Utri si dimette dalla Sicilcassa per andare a lavorare a Milano da Silvio Berlusconi. Per lui si tratta di un ritorno. Negli anni ’60 aveva già allenato una squadra di calcio sponsorizzata dal futuro Cavaliere. Adesso invece è il segretario particolare di Silvio. Cura la ristrutturazione della villa di Arcore e fa assumere come fattore Vittorio Mangano. Come racconterà lui stesso, Mangano, che già conosceva, gli è stato consigliato da “l’amico di una vita” Tanino Cinà: il proprietario di una lavanderia palermitana, imparentato attraverso la moglie con i boss Stefano Bontade e Mimmo Teresi. Secondo i pentiti, le intercettazioni ambientali e il tribunale che lo ha condannato a sette anni, Cinà (oggi scomparso) fa parte della famiglia mafiosa di Malaspina. Mangano quando arriva a Milano è già stato tre volte in carcere. Nel 1967 era stato pure diffidato come “persona pericolosa”, poi era finito sotto inchiesta per reati che vanno dalla ricettazione alla tentata estorsione e nel 1972 era stato fermato in auto con un mafioso trafficante di droga. Ad Arcore, Mangano porta a scuola i figli di Berlusconi e cura la sicurezza della villa, liberando ogni sera sei grossi mastini napoletani. Siamo negli anni dei sequestri di persona. I pentiti sostengono che la funzione di Mangano, mafioso della famiglia di Porta Nuova, era quella di garantire Berlusconi dai rapimenti. Lo stesso Berlusconi ammette di aver trasferito la famiglia in Spagna per qualche mese, in seguito a una serie di minacce e un attentato avvenuto nella villa milanese di via Rovani nel maggio del ’75. Il boss Francesco Di Carlo, un padrino di casa nel bel mondo palermitano, dice di aver partecipato a un incontro tra Bontade, Teresi, Cinà, Dell’Utri e Berlusconi al termine del quale si parlò del ruolo di Mangano. Stando a un rapporto della Digos del 1984, Mangano restò ad Arcore due anni, durante i quali fu arrestato altre due volte per scontare condanne per truffa, porto di coltello e ricettazione. Da un foglio di dimissioni dal carcere risulta che Mangano, ancora il 6 dicembre 1975, eleggeva domicilio sempre ad Arcore, in via Villa San Martino 42. Ma nonostante gli arresti, nessuno lo licenziava. In un rapporto dei Carabinieri di Arcore del 30 dicembre 1974 si legge: “Dell’Utri (…) ha chiamato Mangano pur essendo perfettamente a conoscenza (…) del suo poco corretto passato”. Mangano, interrogato in aula prima della morte, avvenuta nel 2000, dirà che spesso lui e la moglie cenavano con i Berlusconi. In quei mesi, secondo i pentiti, Berlusconi comincia a versare denaro a Cosa Nostra. Un ex socio di Dell’Utri, Filippo Alberto Rapisarda, sostiene che l’intervento di Marcello servì per ridurre le pretese della mafia. Dell’Utri ammetterà di averglielo detto, ma solo per vanteria. Non saprà spiegare però perché le minacce cessarono.
1976 Mangano lascia Arcore, ma continua a gravitare su Milano. Vive all’hotel Duca di York dal quale gestirà il traffico di droga per conto della mafia. Per questo verrà arrestato nel 1980 e poi condannato.
24 ottobre 1976 Il boss Antonino Calderone festeggia il compleanno al ristorante le Colline pistoiesi di Milano. Al suo tavolo ci sono Mangano, i boss Nino e Gaetano Grado e Dell’Utri. Lo ammetterà pure Dell’Utri, anche se dirà che Mangano non gli presentò i commensali.
1977, estate-autunno Dell’Utri pensa di prendere un anno sabbatico per studiare teologia. Berlusconi infatti non lo vuole promuovere: “Era perplesso sulle mie capacità manageriali”. Così si dimette e va a lavorare da Rapisarda, un imprenditore buon conoscente dei vertici di Cosa Nostra dell’epoca e proprietario dell’Inim, in quegli anni considerato il secondo gruppo immobiliare italiano. Già nel 1987 Rapisarda sosterrà di averlo assunto perché era sponsorizzato da Cinà, “uno a cui non si poteva dire di no”. Nello stesso interrogatorio Rapisarda accuserà Dell’Utri di aver poi riciclato soldi di Bontade e Teresi nella Fininvest. Nonostante le pesanti affermazioni non verrà denunciato per calunnia e invece, a partire dal 1988, tornerà amico di Dell’Utri. Creerà con lui quattro società immobiliari e gli presterà 2 miliardi di lire. Dell’Utri nega la sponsorizzazione di Cinà, ma ammette di aver incontrato nel ’77 Rapisarda assieme a Tanino. Un giornalista amico di Cinà testimonia però che la raccomandazione ci fu.
1978-79 Dell’Utri lavora all’Inim. Ma il gruppo va in bancarotta. Rapisarda fugge latitante in Venezuela, dove è ospite dei narcos mafiosi Caruana-Cuntrera. Poi vola a Parigi utilizzando un documento intestato ad Alberto Dell’Utri, il gemello di Marcello. Nel 1997-98, da intercettazioni telefoniche disposte contro ex dipendenti di Rapisarda, emergerà come all’improvviso molti di loro, in prossimità della convocazione in Procura come testimoni, abbiano ottenuto abitazioni nella berlusconiana Milano 3 (in un caso) o contratti o promesse di contratti da Pagine Utili. Per i pm è un episodio di inquinamento probatorio.
14 febbraio 1980 In un’indagine di droga viene intercettata una conversazione tra Mangano e Dell’Utri. Mangano dice di avere “un affare” da proporre. Dell’Utri: “Questi sono bei discorsi”. Poi Mangano parla di un secondo affare “per il suo cavallo”. Ma Dell’Utri spiega di non avere soldi e al suggerimento di chiederli “al suo principale, Silvio”, risponde: “Iddu non sura” (lui non sgancia). Infine si accordano per vedersi “al solito, in via Moneta”.
19 aprile1980 Si sposa a Londra Jimmy Fauci, un pregiudicato che gestisce il narcotraffico dei Caruana. Alle nozze partecipano Di Carlo e Teresi, Cinà e Dell’Utri. È lui stesso a confermarlo sostenendo però di esserci stato portato per caso da Cinà.
1983 Secondo i pentiti, l’onorata società torna a perseguitare il Cavaliere con richieste di denaro sempre più pesanti del clan Pullarà. Berlusconi, reduce da una serie di affari immobiliari in Sardegna con il faccendiere legato alla mafia Flavio Carboni, richiama Dell’Utri alla Fininvest e, nonostante il disastro del gruppo Inim, lo promuove numero uno di Publitalia. Per i pm, non ha scelta: Dell’Utri, tramite Cinà, sigla una nuova tregua con Cosa Nostra.
1986 Stando ai pentiti, Totò Riina, diventato capo dei capi dopo aver fatto fuori Bontade e i suoi uomini, scopre i rapporti dei Pullarà con Dell’Utri: indispettito per non essere stato informato, li mette da parte e affida a Cinà la gestione esclusiva di quel canale. Il suo obiettivo dichiarato è agganciare Bettino Craxi e dare una lezione alla Dc, non più affidabile. Nell’87 in Sicilia si verificherà un travaso di voti.
28 novembre 1986 Scoppia un’altra bomba in via Rovani. Berlusconi chiama Dell’Utri (intercettato): “È stato Mangano…una cosa rozzissima, ma fatta con molto rispetto, quasi con affetto…”. Poi dice che gli dispiacerebbe “se i carabinieri, da questa roba qui, fanno una limitazione della libertà personale a lui (Mangano)”. Due giorni dopo Dell’Utri riceve la visita di Cinà e, con Tanino al fianco, chiama Silvio per rassicurarlo: “Tanino mi ha detto che (Mangano) assolutamente è proprio da escludere. Poi ti parlerò di persona”. Per i pentiti l’attentato faceva parte della strategia di riavvicinamento di Riina. Altre intercettazioni rivelano che Cinà da quel giorno è spesso a Milano e che per il Natale regala una cassata di 12 chili a Berlusconi. I buoni rapporti Fininvest-mafia sono poi confermati, per i pm, da un’agenda, sequestrata alla famiglia mafiosa di San Lorenzo, in cui i boss tenevano i conti. Accanto alla voce Canale 5 compare una cifra (5 milioni) e la dicitura “regalo”. La mafia però non si accontenta. Punta a Craxi, non ai soldi.
17 febbraio 1988 Berlusconi chiama l’immobiliarista Renato Della Valle (intercettato): “Devo mandare via i miei figli perché mi hanno fatto delle estorsioni in maniera brutta. Una cosa che mi è capitata altre volte, dieci anni fa (…) siccome mi han detto che, se entro una certa data, sei giorni, non faccio una roba, mi consegnano la testa di mio figlio ed espongono il corpo in piazza del Duomo, allora ho deciso: li mando in America”. Che cosa doveva fare Berlusconi? Perché non denunciò l’accaduto? Impossibile saperlo: il premier in tribunale si avvarrà della facoltà di non rispondere.
1990, gennaio-febbraio Il gruppo torna nel mirino. A Catania avvengono una serie di attentati contro Standa (Fininvest) e Rinascente (Fiat). La Fiat ammetterà di aver pagato per farli cessare. La Fininvest invece nega e non si costituirà parte civile al processo. Per i pm, il vero obiettivo è sempre avvicinare Craxi. Vari pentiti e un teste dicono che Dell’Utri incontrò i boss Salvatore Tuccio e Nitto Santapaola per accordarsi. E a partire da quel periodo Dell’Utri risulta volare spessissimo a Catania.
1991 Mangano esce di prigione. Vuole riprendere in esclusiva il legame con Dell’Utri. Ma Riina invia il boss Totò Cancemi a dirgli di farsi da parte. Dice Cancemi: “Dell’Utri inviava 200 milioni all’anno a Cinà, che tramite (i boss) Di Napoli e Ganci li dava a Riina, che li smistava alle famiglie”.
1992, gennaio-febbraio Vincenzo Garraffa, senatore Pri e presidente della Pallacanestro Trapani, riceve la visita del capomafia Vincenzo Virga. “Mi manda Marcello”, spiega Virga venuto a reclamare 700 milioni per conto di Dell’Utri. Nel maggio 2004 il fatto è stato accertato dal Tribunale di Milano. Dell’Utri e Virga sono stati condannati a due anni per tentata estorsione.
1992, maggio-giugno L’ex dc Ezio Cartotto (sentito come teste) è ingaggiato in segreto da Dell’Utri per studiare un’iniziativa politica in previsione del crollo dei partiti amici a causa di Tangentopoli.
15 gennaio1993 Arresto di Riina. La mafia, coi vecchi referenti politici alle corde (compreso l’agognato Craxi), pensa di fondare il partito Sicilia Libera, con i cui esponenti (risulta da agende e tabulati telefonici) Dell’Utri è in contatto.
1993, estate Bernardo Provenzano, secondo il boss Nino Giuffrè, abbandona l’idea di Sicilia Libera e stringe un patto elettorale con Dell’Utri: fine delle stragi in cambio dell’alleggerimento delle indagini, del 41 bis, e di una nuova legge sui pentiti.
12 luglio 1993 Berlusconi, racconta l’ex condirettore de “il Giornale” Federico Orlando, faxa un decalogo con la “linea” da seguire. Uno dei punti forti è l’attacco ai pentiti e al reato di associazione mafiosa.
1993, novembre Mentre Berlusconi crea Forza Italia, Dell’Utri vede Mangano a Milano (risulta dalle agende del senatore). Con l’arresto di Riina l’ostracismo nei suoi confronti è caduto. Mangano anzi è stato promosso capofamiglia di Porta Nuova.
31 dicembre 1998 Dell’Utri viene filmato dalla Dia mentre incontra un collaboratore di giustizia messinese, Pino Chiofalo, organizzatore di un complotto per screditare i pentiti che accusano il senatore e i boss. Nel film lo si vede mentre gli consegna dei regali. Chiofalo, arrestato, confessa: “Dell’Utri promise di farmi ricco”.
1999 Dell’Utri si candida alle europee. Una microspia capta la voce di uno stretto collaboratore di Provenzano, Carmelo Amato, mentre raccomanda più volte ai picciotti di votarlo. Per esempio il 22 maggio: “Ora a questo si deve portare in Europa: Dell’Utri. Sì, qua già si stanno preparando i cristiani (i mafiosi, ndr)”. Anche Cinà, chiamato “zio Tano”, viene intercettato. E addirittura ammette di essere un uomo d’onore: “Carmelo, vedi che io sono combinato (mafioso ndr) come te”, dice.
13 maggio 2001 Dell’Utri viene rieletto. Nelle intercettazioni in casa del boss Giuseppe Guttadauro si sente il capomafia dire: “Con Dell’Utri bisogna parlare”, anche se “alle elezioni del ’99 ha preso degli impegni, e poi non s’è fatto più vedere”. Poi Guttadauro aggiunge che Dell’Utri si era accordato di persona con Gioacchino Capizzi, l’anziano capomandamento della Guadagna, lo stesso clan di cui facevano un tempo parte Bontade, Teresi e i fratelli Pullarà.
Per Dell’Utri è il passato che ritorna. Anzi che non se ne è mai andato.
MANI PULITE 25 ANNI DOPO
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Dell’Utri e le relazioni con Cosa Nostra
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Milano, 15 gen. (Adnkronos) - “Il progetto di company social housing di Edison 'Una casa per i giovani' nasce per dare un concreto e immediato aiuto ai giovani neolaureati, che assumiamo in tutte le sedi italiane, qualsiasi sia la tipologia di laurea in loro possesso, affinché possano avere un'abitazione di prossimità alla sede in cui operano. E’ un progetto funzionale a metterli in condizione di poter avviare, oltre a un progetto professionale con il nostro Gruppo, anche un progetto di vita personale dovendo pagare un affitto che, comprese le utenze, non supera un terzo del reddito di primo impiego che garantiamo”. Così, il direttore Hr e Ict di Edison, Giorgio Colombo, ha illustrato all'Adnkronos il piano di company social housing 'Una casa per i giovani', lanciato dall’azienda, società energetica che da 140 anni contribuisce all’innovazione e allo sviluppo nel Paese. (VIDEO)
L’iniziativa è parte di un più ampio impegno di Edison quale operatore responsabile che prevede per i più giovani un programma triennale di sviluppo e formazione, modalità di lavoro che garantiscono l’equilibrio tra vita personale e professionale, una dinamica retributiva che premia il merito e un sistema di welfare integrativo, da settembre arricchito dell’iniziativa 'Una casa per i giovani'. “Vogliamo creare le condizioni affinché i giovani possano rimanere nelle città dove hanno studiato per lavorare con Edison e possano avviare un proprio progetto di vita personale, oltre che professionale - spiega Colombo - Questo è molto importante per noi, poiché investiamo molto nei ragazzi fin dalla loro formazione all'università, pertanto, abbiamo interesse che rimangano per un periodo significativamente prolungato in azienda, non solo perché è funzionale alla loro crescita, ma anche perché è funzionale all'investimento importante che Edison fa per formarli e farli crescere”.
Il piano 'Una casa per i giovani', è rivolto ai neolaureati che non hanno un alloggio diverso da quello del proprio nucleo di origine. A loro Edison dà la possibilità di affittare un bilocale arredato, in una zona che si trova entro mezz’ora dalla sede di lavoro e collegato con mezzi pubblici. Un partner esterno specializzato nelle locazioni immobiliari si occupa della ricerca, identificazione e gestione contrattuale e amministrativa della locazione abitativa nonché di tutte le utenze a essa connesse. Al giovane è richiesto un contributo spese mensile che, considerate anche le utenze a suo carico, è ritenuto sostenibile e ha un valore non superiore a un terzo della retribuzione netta.
La ratio dell’iniziativa di Edison, pertanto, è investire sui giovani. “Abbiamo notato negli ultimi anni, purtroppo, un problema crescente di difficoltà dei giovani, soprattutto per coloro che hanno studiato nelle città metropolitane, a rimanere professionalmente in questi luoghi, in quanto il costo della vita, e in particolare degli alloggi, diventa sempre più insostenibile anche rispetto a un buon reddito di primo impiego - sottolinea - Ciò, spesso, determina una scelta, talvolta per motivi economici, di fuga dall'Italia e di lavoro all'estero, perché il primo impiego in alcuni paesi europei garantisce uno stipendio che, rapportato al costo della vita, è molto più interessante di quanto offerto in Italia”.
“Pertanto, siamo intervenuti per affrontare il tema del bisogno abitativo così che possano reggere il costo di un affitto in una città metropolitana rapportato al loro reddito. In questo modo, rendiamo possibile e sostenibile la scelta di rimanere a lavorare nella città in cui hanno studiato, effettivamente possibile e sostenibile, mitigando la necessità di una decisione dettata esclusivamente da motivi economici di un'esperienza lavorativa all'estero - prosegue Colombo - Noi abbiamo bisogno che questi giovani, una volta terminati gli studi scelgano di rimanere in Italia, iniziando un progetto con noi e che, una volta entrati continuino a rimanere in azienda per il tempo che riteniamo adeguato e ragionevole, affinché possano crescere e l'azienda possa avere un ritorno sul grande investimento che fa su di loro”.
L’Italia ha, rispetto agli altri grandi Paesi europei, un saldo import-export di giovani laureati negativo e questo dato ha un diretto collegamento anche con il problema abitativo. A questo riguardo Colombo ha sottolineato che "il sistema Italia, fortunatamente, ha compreso che quello dell’housing è un problema enorme per tutto il Paese, che contribuisce all’importante flusso migratorio dei giovani laureati italiani verso l’estero, che negli ultimi dieci anni ha raggiunto cifre importanti. Altro problema rilevante è il calo demografico. Il Paese ha bisogno di tornare a investire sui giovani in generale ed in particolare su quelli ad elevato titolo di studio. Nell'ultima legge di Bilancio ci sono già importanti segnali in questa direzione, come auspicato dal sistema delle imprese attraverso Confindustria. È stato infatti prorogato il sostegno ai giovani under 36 per l’acquisto della prima casa, un fondo di garanzia importante che dovrebbe possibilmente diventare strutturale”.
Per il direttore Hr e Ict di Edison si tratta di provvedimenti che vanno nella direzione auspicata ma che, al contempo, hanno bisogno di due condizioni. “La prima è quella di essere strutturali nel tempo - specifica Colombo - e la seconda è la capacità di mettere insieme il bisogno di un sostegno immediato con una progettualità futura sul lungo periodo, attraverso un piano edilizio che, anche con la rigenerazione del patrimonio, oggi scarsamente utilizzato, possa mettere a disposizione progressivamente delle soluzioni abitative a costo contenuto che soddisfino questo bisogno con una prospettiva di medio lungo termine. Il nostro intervento è una risposta immediata in attesa di un processo di sistema-Paese che dia uno sviluppo strutturale”.
Milano, 15 gen. (Adnkronos) - “Il progetto di company social housing di Edison 'Una casa per i giovani' nasce per dare un concreto e immediato aiuto ai giovani neolaureati, che assumiamo in tutte le sedi italiane, qualsiasi sia la tipologia di laurea in loro possesso, affinché possano avere un'abitazione di prossimità alla sede in cui operano. E’ un progetto funzionale a metterli in condizione di poter avviare, oltre a un progetto professionale con il nostro Gruppo, anche un progetto di vita personale dovendo pagare un affitto che, comprese le utenze, non supera un terzo del reddito di primo impiego che garantiamo”. Così, il direttore Hr e Ict di Edison, Giorgio Colombo, ha illustrato all'Adnkronos il piano di company social housing 'Una casa per i giovani', lanciato dall’azienda, società energetica che da 140 anni contribuisce all’innovazione e allo sviluppo nel Paese. (VIDEO)
L’iniziativa è parte di un più ampio impegno di Edison quale operatore responsabile che prevede per i più giovani un programma triennale di sviluppo e formazione, modalità di lavoro che garantiscono l’equilibrio tra vita personale e professionale, una dinamica retributiva che premia il merito e un sistema di welfare integrativo, da settembre arricchito dell’iniziativa 'Una casa per i giovani'. “Vogliamo creare le condizioni affinché i giovani possano rimanere nelle città dove hanno studiato per lavorare con Edison e possano avviare un proprio progetto di vita personale, oltre che professionale - spiega Colombo - Questo è molto importante per noi, poiché investiamo molto nei ragazzi fin dalla loro formazione all'università, pertanto, abbiamo interesse che rimangano per un periodo significativamente prolungato in azienda, non solo perché è funzionale alla loro crescita, ma anche perché è funzionale all'investimento importante che Edison fa per formarli e farli crescere”.
Il piano 'Una casa per i giovani', è rivolto ai neolaureati che non hanno un alloggio diverso da quello del proprio nucleo di origine. A loro Edison dà la possibilità di affittare un bilocale arredato, in una zona che si trova entro mezz’ora dalla sede di lavoro e collegato con mezzi pubblici. Un partner esterno specializzato nelle locazioni immobiliari si occupa della ricerca, identificazione e gestione contrattuale e amministrativa della locazione abitativa nonché di tutte le utenze a essa connesse. Al giovane è richiesto un contributo spese mensile che, considerate anche le utenze a suo carico, è ritenuto sostenibile e ha un valore non superiore a un terzo della retribuzione netta.
La ratio dell’iniziativa di Edison, pertanto, è investire sui giovani. “Abbiamo notato negli ultimi anni, purtroppo, un problema crescente di difficoltà dei giovani, soprattutto per coloro che hanno studiato nelle città metropolitane, a rimanere professionalmente in questi luoghi, in quanto il costo della vita, e in particolare degli alloggi, diventa sempre più insostenibile anche rispetto a un buon reddito di primo impiego - sottolinea - Ciò, spesso, determina una scelta, talvolta per motivi economici, di fuga dall'Italia e di lavoro all'estero, perché il primo impiego in alcuni paesi europei garantisce uno stipendio che, rapportato al costo della vita, è molto più interessante di quanto offerto in Italia”.
“Pertanto, siamo intervenuti per affrontare il tema del bisogno abitativo così che possano reggere il costo di un affitto in una città metropolitana rapportato al loro reddito. In questo modo, rendiamo possibile e sostenibile la scelta di rimanere a lavorare nella città in cui hanno studiato, effettivamente possibile e sostenibile, mitigando la necessità di una decisione dettata esclusivamente da motivi economici di un'esperienza lavorativa all'estero - prosegue Colombo - Noi abbiamo bisogno che questi giovani, una volta terminati gli studi scelgano di rimanere in Italia, iniziando un progetto con noi e che, una volta entrati continuino a rimanere in azienda per il tempo che riteniamo adeguato e ragionevole, affinché possano crescere e l'azienda possa avere un ritorno sul grande investimento che fa su di loro”.
L’Italia ha, rispetto agli altri grandi Paesi europei, un saldo import-export di giovani laureati negativo e questo dato ha un diretto collegamento anche con il problema abitativo. A questo riguardo Colombo ha sottolineato che "il sistema Italia, fortunatamente, ha compreso che quello dell’housing è un problema enorme per tutto il Paese, che contribuisce all’importante flusso migratorio dei giovani laureati italiani verso l’estero, che negli ultimi dieci anni ha raggiunto cifre importanti. Altro problema rilevante è il calo demografico. Il Paese ha bisogno di tornare a investire sui giovani in generale ed in particolare su quelli ad elevato titolo di studio. Nell'ultima legge di Bilancio ci sono già importanti segnali in questa direzione, come auspicato dal sistema delle imprese attraverso Confindustria. È stato infatti prorogato il sostegno ai giovani under 36 per l’acquisto della prima casa, un fondo di garanzia importante che dovrebbe possibilmente diventare strutturale”.
Per il direttore Hr e Ict di Edison si tratta di provvedimenti che vanno nella direzione auspicata ma che, al contempo, hanno bisogno di due condizioni. “La prima è quella di essere strutturali nel tempo - specifica Colombo - e la seconda è la capacità di mettere insieme il bisogno di un sostegno immediato con una progettualità futura sul lungo periodo, attraverso un piano edilizio che, anche con la rigenerazione del patrimonio, oggi scarsamente utilizzato, possa mettere a disposizione progressivamente delle soluzioni abitative a costo contenuto che soddisfino questo bisogno con una prospettiva di medio lungo termine. Il nostro intervento è una risposta immediata in attesa di un processo di sistema-Paese che dia uno sviluppo strutturale”.
Roma, 15 gen (Adnkronos) - "Adesso basta. È davvero troppo che siano passati oltre 4 mesi senza che la maggioranza si sia mossa di un millimetro dal proprio atteggiamento arrogante e antidemocratico, continuando ad ostacolare deliberatamente le attività della Commissione di Vigilanza Rai. Bloccare un organo istituzionale cruciale e di garanzia per le opposizioni per mere questioni di potere legate alla nomina del presidente della Rai è un atto irresponsabile e lesivo della democrazia parlamentare. È una situazione che non può protrarsi oltre. Pensano di farsi beffe delle opposizioni, ma in realtà stanno umiliando le istituzioni”. Lo dice il capogruppo del M5S in commissione di Vigilanza Rai Dario Carotenuto.
Roma, 15 gen (Adnkronos) - "Una maggioranza litigiosa, inconcludente e incapace di fare politica sta bloccando ogni attivita della Vigilanza Rai". Lo hanno detto le parlamentari di Italia viva in commissione di Vigilanza Rai Maria Elena Boschi e Dafne Musolino.
“Da mesi la maggioranza diserta la commissione, facendo mancare il numero legale, non solo quando convocata per il parere per la presidenza Rai, ma in ogni seduta, bloccando di fatto ogni attività. Il comportamento irresponsabile di una maggioranza incapace di trovare un accordo sulla presidenza sta impedendo all’opposizione di svolgere il proprio compito di vigilanza e sta lasciando nel limbo l’azienda. Evidentemente - concludono - in maggioranza sono più interessati alla lotta per il potere che al bene del servizio pubblico”.
Roma, 15 gen (Adnkronos) - “È inaccettabile che dopo quattro mesi dall’insediamento del consiglio di amministrazione della Rai ancora non si sbocca la commissione di Vigilanza. È la prima volta nella storia che il management della Rai non venga audito dopo quattro mesi e non si permetta alla commissione di vigilanza Rai di poter esercitare quelle che sono appunto le funzioni di vigilanza". Lo ha detto Stefano Graziano, capogruppo Pd in commissione di Vigilanza sulla Rai, intervenendo in apertura di seduta alla Camera.
"Riteniamo questo comportamento inaccettabile, anche perché noi come Partito Democratico lo avevamo detto fin dall’inizio che c’era un problema ad eleggere il Cda se non c’era la riforma prima. Invece si è voluti andare avanti e noi avevamo detto con chiarezza che si andava in questo imbuto e così si è finiti”, ha aggiunto.
“Faccio appello alla maggioranza affinché sblocchi il funzionamento della vigilanza Rai e sopratutto non leghi e tenga distinto il funzionamento della vigilanza Rai alla elezione del Presidente della Rai”, ha concluso Graziano.
Roma, 15 gen (Adnkronos) - "Sono state depositate oggi due interrogazioni parlamentari firmate dall’onorevole Francesco Bonifazi e rivolte alla presidenza del Consiglio dei ministri sui regali ricevuti dalla premier in questi anni e sull’abitazione recentemente acquistata da Giorgia Meloni". Lo rende noto l'Ufficio stampa di IV.
"Nella prima interrogazione Bonifazi chiede di verificare l’elenco dei regali superiori a 300€ ricevuti dalla Premier negli ultimi due anni e mezzo e di avere accesso agli atti per capire se la Premier abbia restituito la differenza dei regali superiori a 300€ che ha tenuto nella sua disponibilità. Nella seconda il parlamentare fiorentino chiede di conoscere se per l’abitazione della Premier siano stati spesi denari pubblici e se la Premier non ritenga di dover pubblicare l’elenco di tutti i fornitori per evitare dubbi su conflitti di interesse e su eventuali regali ricevuti, superiori ai 300€ consentiti", spiega sempre Iv.
"Proprio nelle ore in cui in Corea del Sud un Presidente viene arrestato per le conseguenze di uno scandalo nato da comportamenti poco trasparenti della sua famiglia, è giusto fare chiarezza sulla nostra Presidente e sui suoi comportamenti. A differenza di altri rispettiamo la privacy e la libertà dei singoli ma crediamo anche che la Premier – così rigorosa nel polemizzare contro gli avversari – debba rendere conto pubblicamente e in modo trasparente di eventuali regalie ricevute. Attendiamo con curiosità la risposta di Palazzo Chigi, in attesa di formulare altre due interrogazioni parlamentari la settimana prossima”, dichiara Bonifazi.
Mosca, 15 gen. (Adnkronos) - Gli Emirati Arabi Uniti potrebbero ospitare un possibile incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump. Lo ha detto alla Tass Oleg Karpovich, vicerettore per gli affari scientifici presso l'Accademia diplomatica del Ministero degli esteri russo. "Durante la sua campagna elettorale, Donald Trump ha dichiarato che avrebbe contribuito a risolvere la crisi ucraina. È giunto il momento di passare alla fase successiva e di mantenere le promesse fatte", ha affermato Karpovich, aggiungendo che Trump si è reso conto che la politica perseguita dal presidente degli Stati Uniti uscente Joe Biden ha portato a una profonda crisi nelle relazioni tra Russia e Stati Uniti.
L'esperto ha scartato la Svizzera come possibile sede per l'incontro. "La Svizzera ha cessato di essere un paese neutrale da quando ha aderito alle sanzioni anti-russe. Non è più il territorio neutrale che era una volta", ha affermato. "Quindi, è probabile che venga scelto un paese mediorientale. A questo proposito, gli Emirati Arabi Uniti si distinguono come un'opzione praticabile, data la loro storia di facilitazione di vari scambi, negoziati e consultazioni. Gli Emirati Arabi Uniti hanno una storia positiva nell'ospitare tali colloqui", ha spiegato.