È l’anno del turismo. Almeno per la Presidenza del Consiglio dei ministri che, nei mesi della crisi finanziaria internazionale, ha deciso l’8 maggio 2009 di creare un ministero ad hoc, farlo gestire a Michela Vittoria Brambilla, e rivedere le proprie previsioni di spesa: dagli iniziali 642.960 euro fissati con Tremonti, ai 15 milioni e mezzo finali, con un aumento di 14.892.052. Un vero e proprio successo per un ministro “senza portafoglio”. Tra le voci più interessanti per il solo “funzionamento” ci sono i 378.360 euro spesi per il solo trasporto in Italia e all’estero del ministro e dei responsabili del dicastero da maggio a dicembre (già più di metà del budget iniziale complessivo, e quattro volte gli 88.360 euro previsti), i 3 milioni di euro per “iniziative di rilancio dell’immagine dell’Italia” e i 2 milioni e 900mila susseguenti per la “struttura di missione per il rilancio dell’immagine dell’Italia”. A questi si aggiungono i 75mila euro per il funzionamento “della segreteria permanente del comitato mondiale per l’etica del turismo”, i 72.652,93 euro per uffici e interpreti, i 22mila euro per le “spese di rappresentanza” e gli 85mila per “esperti e incarichi speciali, ivi comprese le indennità e il rimborso spese di trasporto”.

La cifra maggiore, però, parliamo di 8 milioni e 600mila euro, è quella pagata per la resurrezione del sito www.italia.it, portale del Turismo, già inaugurato da Lucio Stanca con un investimento faraonico di 45 milioni di euro, e immediata pioggia di polemiche, e chiuso l’anno seguente da Francesco Rutelli (all’epoca ministro ai Beni Culturali), che pure aveva provato a rilanciarlo da par suo, per l’evidente scarso rapporto tra costo e benefici. La nuova e dispendiosa vita di italia.it, portale che la rete non ama, collocandolo al posto 4562 del rank italiano e al 184.594 di quello internazionale, ben al di sotto dei portali turistici degli altri paesi e anche, sia detto, del sito www.enit.it, non sembra giustificarsi con il proprio contenuto. Anche perchè le quattro informazioni “turistiche” che fornisce si limitano a un “cosa vedere”, “cosa fare” e “cosa assaggiare”, senza dar conto, ad esempio, di “dove dormire” (sul sito dell’Enit ovviamente presente). A volte, inoltre, l’informazione si limita a qualcosa di meno che una cartolina. Imbarazzante, ad esempio, la voce dedicata allo “shopping in Italia”: dopo aver segnalato la presenza di via Condotti a Roma e via Montenapoleone a Milano, afferma, sprezzante del ridicolo “andare a fare shopping in Italia non significa soltanto negozi e boutique: esistono più di 3700 outlet e spacci aziendali”. E il sottotesto è: andateveli a cercare. Oltre al sito “fratello” dell’Enit (decisamente meglio costruito) , d’altronde, italia.it può contare anche su innumerevoli portali messi su da regioni, enti locali ed enti per il turismo territoriali. Il risultato è una inutile somma di informazioni che spesso non dialogano nemmeno tra loro. In fondo, però, non di soli siti internet si vive. Perché, se 15 milioni è la spesa per il solo funzionamento del dicastero, la spesa complessiva del ministero del Turismo quest’anno è costata alle casse dello Stato 189.611.361,56 euro, con una variazione complessiva rispetto alle previsioni di circa 113 milioni di euro.

La sproporzione dei conti è dovuta essenzialmente all’assistenza che il ministero ha dovuto dare a un settore che quest’anno ha dovuto fare i conti con la crisi. Oltre alla cifra fissa data all’Eni t (33.556.000 diventati 33.838.624), ci sono i 5.115.198 investiti per l’erogazione dei “buoni vacanze” e i 118 milioni investiti per “l’incentivazione dell’adeguamento dell’offerta delle imprese turistico-ricettive e della promozione di forme di turismo ecocompatibile”. La cifra prevista all’inizio per questo investimento in conto capitale era di 26.900.279 euro. Alla fine c’è stata una “leggera” variazione di 91.164.777 euro. Nel decreto di istituzione di questi fondi, si pensava al turismo montano, al turismo in bicicletta e al turismo legato all’attività sportiva e ricreativa del golf. Che si sia speso un po’ troppo?

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