MILANO – Davanti c’è Expo 2015, dietro il grande lavoro per infiltrare la classe politica milanese. Sono questi gli obbiettivi dichiarati della ‘ndrangheta che nel terzo millenio si appresta a scalare l’ex capitale morale d’Italia. Un’opa mafiosa che a quanto risulta a ilfattoquotidiano.it inizia quattro anni fa durante una tiepida nottata di mezza estate passata tra brindisi, palloncini e manifesti elettorali che tanto ricordano le feste dei repubblicani americani. Al posto di Nixon o Regan, a pochi passi da piazza Duomo, si celebra, invece, Letizia Moratti, futuro sindaco di Milano.
E’ il 26 maggio 2006, ultimo giorno della campagna amministrativa. Per settimane i due candidati alla poltrona di palazzo Marino si sono dati battaglia. Il centrosinistra presenta l’ex prefetto Bruno Ferrante, mentre il centrodestra corre con l’ex ministra dell’Istruzione nel secondo e terzo governo Berlusconi. In realtà non c’è gara, soprattutto dopo i due mandati consecutivi di Gabriele Albertini. Del resto in città dal 1993 governano Forza Italia e Lega nord. E dunque a Le Banque, un lussuoso locale a due passi dal palazzo della Borsa, più che la fine della maratona che ha portato alle elezioni, si festeggia la scontata vittoria di donna Letizia. Tra gli ospiti però ci sono due uomini. Sono arrivati in compagnia delle rispettive mogli a bordo di un Porsche Cayenne. Indossano giacche eleganti e hanno i volti visibilmente soddisfatti. Un particolare, però, li rende speciali: sono uomini vicini alla ‘ndrangheta. Chi li conosce? Non certo il futuro sindaco, certamente ignaro della loro presenza. Gli investigatori della polizia, invece, sanno molto bene chi sono. Loro, quella sera, fotografano, riprendono e annotano tutto.
Per questo il racconto della festa si trasforma ora in una storia politicamente imbarazzante per un sindaco che, dopo aver fatto naufragare la commissione antimafia, periodicamente si affretta a dire che “la mafia a Milano? Fatemela vedere”. Da cinque giorni, infatti, le parole servono a poco. Perché tra gli atti dell’inchiesta della procura di Reggio Calabria che, il 23 giugno ha ottenuto l’arresto di 44 presunti affiliati alle cosche dei Condello e dei Di Stefano, c’è anche un rapporto, non della polizia, ma del Ros dei Carabinieri che ricostruisce, intercettazione dopo intercettazione, la storia della l’ascesa della mafia calabrese sino ai vertici della politica lombarda. Settecento pagine in cui compare anche il nome di uno dei due strani personaggi presenti a quel ricevimento di fine campagna elettorale.
È Giulio Giuseppe Lampada (sotto inchiesta ma piede libero). E’ nato a Reggio Calabria il 16 ottobre 1971. Originario del quartiere di Archi, gli investigatori lo definiscono “una tipica figura criminale che si innesta pienamente nel substrato mafioso, con compiti e ruoli connessi alla gestione del patrimonio economico del cartello mafioso riconducibile a Pasquale Condello“, il boss arrestato nel febbraio 2008 dopo 18 anni di latitanza. E come in tutte le storie di mafia, a suggellare l’alleanza c’è di mezzo un matrimonio. In questo caso si tratta delle nozze tra il fratello di Giuseppe Lampada, Francesco, e Maria Valle, giovane rampolla di una nota famiglia di ‘ndrangheta che da anni domina tra Pavia e Milano. Alla cerimonia partecipano il figlio e il genero del capo bastone.
Lampada sta perfettamente a suo agio tra i tavolini di cristallo del locale. In fondo lui è abituato a trattare con i politici. Il suo grande amico e sponsor si chiama Armando Vagliati. Dal 1997 Vagliati è uno storico consigliere comunale di Palazzo Marino. Fedelissimo di Berlusconi, l’ingegner Vagliati (non indagato), già membro della segreteria cittadina di Forza Italia, il febbraio scorso è stato pizzicato a proporre un emendamento al Piano regolatore del Comune per trasformare un’area da industriale a residenziale. Peccato che uno dei proprietari di quel terreno fosse Alberto Bonetti Baroggi, consigliere regionale del Pdl e capo gabinetto del sindaco Moratti.
Grazie a Vagliati, il presunto braccio finanziario dei Condello è riuscito a partecipare alla festa. Ultimo atto di una serata intensa. Iniziata nella zona della vecchia Fiera dove il consigliere della Moratti ha il suo comitato elettorale. I due, assieme alle mogli, vanno a cena, dopodiché si presentano alle celebrazioni di donna Letizia. Con loro c’è anche un personaggio legato a doppio filo con la cosca di Africo capeggiata da Giuseppe Morabito, alias u tiradrittu, il cui nome è per ora segreto.
Così, da quel 26 maggio 2006, Giuseppe Lampada spicca il volo. Giunto da Reggio Calabria con alle spalle un modesto negozietto di macelleria, a Milano si ritrova a gestire un patrimonio in locali e società che commerciano in videopoker. Di questa improvvisa liquidità Lampada ne parla per telefono con Alberto Sarra. Presidente del Gruppo consiliare di Alleanza nazionale alla regione Calabria. “Quando mi muovo a Milano – racconta Lampada a Sarra – ho una chiavetta nera. Ho praticamente un centinaio di sportelli Bancomat, perché quella è la la chiave del cambiamoneta (si riferisce ai videpoker)”. Poi prosegue: “Ti faccio un esempio: stasera sono con te e mi serve da prendere mille euro, vado in uno dei bar apro e me li prendo”, così vanno le cose per Giulio Giuseppe Lampada che come buen ritiro ha scelto una villa dell’hinterland milanese.
In realtà, però, quello che gli preme di più è la politica. Ecco, allora, cosa racconta a Sarra nel novembre 2007 mentre i carabinieri del Ros intercettano tutto. “Sono stato a cena in una villa d’epoca con Formigoni. Eravamo assieme ad Armando (Vagliati, ndr). C’erano tutti i consiglieri comunali, provinciali, regionali”. Millanterie? Forse. Fatto sta che il rapporto con Vagliati, invece, appare consolidato. Come anche quello con Giovanni Pezzimenti, altro consigliere azzurro (non indagato) alla corte dell’ignara Letizia Moratti.
“Armando – dice Lampada, che con il consigliere ha appena parlato di licenze per aprire locali pubblici – mi ha fatto capire che il problema si può risolvere con quelli del Comune”. A margine del borgliaccio ecco cosa annotano i gli investigatori. “E’ importante sottolineare che il Vagliati, stando alle affermazioni di Lampada, aveva preferito non parlare al telefono, attestando l’illecità dell’operazione”. Del consigliere comunale, Lampada discute anche con Vincenzo Giglio, un medico di Reggio Calabria, che alle politiche del 2008 tentò senza riuscirci di farsi eleggere nel movimento La rosa bianca. “Questo – gli dice Lampada a proposito di Vagliati – ha sete di fare. E’ uno che ha la massima fiducia”. Quindi passa alla programmazione futura “per il raggiungimento degli scopi criminali nella città di Milano”. Ecco allora di nuovo Lampada su Vagliati: “Siamo accreditati, c’è la fiducia, capisci cosa voglio dire. Perché lui sa che sputazza io non ne ho mai fatta. E allora si butta a capofitto. E mi dice facciamo quello che cazzo ti interessa”. A questo punto gli investigatori riferiscono di come “Vagliati fosse a conoscenza dell’appartenenza di Lampada al gruppo criminale”. Ed è sempre grazie a lui che la cosca Condello pensa di avvicinare Claudio De Albertis, presidente delle Associazioni imprese edili e complementari delle province di Milano, Lodi, Monza e Brianza. “Lui – dice Lampada – conosce trecentomila persone nel campo dell’impresa”. Ma quando si parla di Provincia, l’uomo del clan può contare anche su Antonio Oliverio, ex assessore al Turismo nella giunta di Filippo Penati, poi passato al Pdl nel 2009 ed ex segretario provinciale dell’Udeur. Insomma, un bel ventaglio di conoscenze per quell’ex macellaio di Reggio, che all’ombra del Duomo è diventato straricco investendo, secondo i detective, i denari della mafia.
di Enrico Fierro e Davide Milosa
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