Da qualche anno si sente parlare sempre più spesso di omofobia (in inglese homophobia e in francese homophobie). Il termine deriva dal greco, anche se non esiste se non dagli anni Settanta del secolo scorso. Le sue componenti semantiche sono la radice “omo-“, che vuol dire “stesso” (e qui indica le persone omosessuali in generale) e “fobia”, che significa “paura”, “avversione”. L’omofobia è dunque l’avversione per le persone omosessuali o per l’omosessualità.

Oltre ad essere entrata nel linguaggio corrente, l’omofobia è ormai parte del gergo giornalistico e di quello legale. Legge anti-omofobia, violenze e attacchi omofobi (anche se secondo me sarebbe più corretto dire “omofobici”), omofobia interiorizzata e così via.

Una delle definizioni più utilizzate del termine la si ritrova nella risoluzione del Parlamento europeo del 2006 dedicata proprio al tema. L’omofobia, ci dice il Parlamento europeo, è “una paura e un’avversione irrazionale nei confronti dell’omosessualità e di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali (GLBT), basata sul pregiudizio”. Ma il punto più importante è quello che segue alla definizione, ove si legge che l’omofobia è “analoga al razzismo, alla xenofobia, all’antisemitismo e al sessismo”. Stabilendo questa analogia tra omofobia e razzismo si evidenzia ciò che l’omosessualità ha in comune rispetto alla razza: il fatto di essere una caratteristica della persona che non ha niente a che vedere con le scelte o con la statura morale di un individuo.

Questo punto è di importanza fondamentale.

Non si sceglie di essere omosessuali, così come non si sceglie di essere eterosessuali. Ma al di là delle elucubrazioni di chi si domanda se l’omosessualità sia convertibile o meno (chi si sogna di convertire un eterosessuale?), resta il fatto che giuridicamente parlando l’orientamento sessuale fa parte di quelle cose considerate “innate”, proprie della persona e non modificabili se non al prezzo di sacrifici difficilmente sostenibili da parte dell’individuo. In questo senso l’omosessualità è come la razza. E del resto, non per tutte le caratteristiche protette si domanda un sacrificio: anche la religione è modificabile e non è per nulla “innata”, eppure la si protegge sotto l’ombrello della legge…

Nel nostro Paese esistono delle norme penali a tutela della discriminazione per motivi razziali, etnici o religiosi. C’è una legge che risale al 1975, prodotto di una convenzione internazionale sul tema, che a sua volta è stata integrata dalla famigerata “Legge Mancino”, che è del 1993. La legge predispone “misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa”. Il legislatore va al sodo: è punito con con la reclusione sino a tre anni chi “diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” e con un periodo di reclusione superiore “chi in qualsiasi modo incita” a commettere i predetti delitti. E’ chiaro che si tratta di un reato che limita la libertà di pensiero: non posso dire certe cose che penso. La mia libertà è quindi fortemente limitata.

Ma qual è la ragione di questa limitazione? Ce lo dice la Cassazione: vi sono altri principi di rilevanza costituzionale che prevalgono sulla libertà di pensiero, ed in particolare vi è il principio di uguaglianza rispetto al quale “è ampiamente giustificato il sacrificio del diritto di libera manifestazione del pensiero”. Le manifestazioni d’odio, infatti, sia esso razzismo, sessismo oppure odio religioso, rappresentano negazioni della persona, perché attribuiscono a una determinata categoria di persone una dignità superiore rispetto alle altre. Poiché al centro della nostra Costituzione vi è la persona, con il suo patrimonio di dignità rispetto al quale neppure lo Stato può mettere mano. Basta leggere gli articoli 2 e 3 della Costituzione per rendersi conto di quanto la persona sia veramente il pilastro del nostro ordinamento costituzionale, l’ultimo baluardo rispetto al quale neppure gli interessi della collettività possono prevalere.

Detto questo, è evidente che estendere i principi vigenti in materia di razzismo all’orientamento sessuale significa stabilire una pena per chi diffonde idee fondate sulla superiorità di un particolare orientamento sessuale rispetto ad un altro. Significa sottoporre a processo chi abbia seminato parole d’odio nei confronti delle persone LGBT, anche incitando alla discriminazione. Proprio per questa ragione, nella sua risoluzione del 2006, il Parlamento europeo ha chiesto all’Europa e ai singoli Stati membri “di assicurare che le persone GLBT vengano protette da discorsi omofobici intrisi d’odio e da atti di violenza omofobici e [che] i partner dello stesso sesso godano del rispetto, della dignità e della protezione riconosciuti al resto della società”, invitando altresì “con insistenza gli Stati membri e la Commissione a condannare con fermezza i discorsi omofobici carichi di odio o le istigazioni all’odio e alla violenza”, pur garantendo la libertà di espressione già prevista nei vari strumenti internazionali e costituzionali. Non si combatte l’odio lasciando che esso venga diffuso da persone che lo celano dietro un manto di libertà: la libertà fa una brutta fine dove l’odio la fa da padrone.

Ecco allora la domanda centrale: una legge che estendesse la legge Mancino all’orientamento sessuale limiterebbe la libertà di espressione di coloro che pensano e dichiarano pubblicamente che l’omosessualità è una malattia, che gli omosessuali sono una minaccia per l’umanità e che la disgregazione della società moderna (ma quale?) ha luogo per colpa delle unioni omosessuali? Secondo me, si. Gentilini – disse: “Ripulirò Treviso dai culattoni” e invocò la “pulizia etnica” per gli omosessuali – sarebbe oggi in un’aula di tribunale. Ma la limita per un fine giusto e sacrosanto: quello di garantire che tutti siamo uguali e che tutti, a prescindere da quello che siamo, abbiamo pari dignità. Lo dicono gli articoli 2 e 3 della Costituzione.

Ed è per queste ragioni che sono profondamente convinto che chi non concorda con una piena equiparazione dell’omofobia rispetto al razzismo ha un grosso problema rispetto ad un concetto più generale, che è quello di dare eguale valore a tutte le persone. Davvero si può convenire con chi crede che essere nato bianco, eterosessuale, maschio e cattolico conferisca automaticamente il diritto di sentirsi superiori?

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