L’hanno già ribattezzato così, il “taglio con il gettone”. Non perdono mai il senso dell’ironia i parlamentari italiani quando utilizzano il loro preziosissimo tempo non solo per garantire il pieno funzionamento della macchina democratica del Paese ma, soprattutto, per studiare il modo di recuperare, senza scosse e senza scandalo, i soldi che la manovra di Tremonti ha tagliato dai loro faraonici stipendi. E anche stavolta ci sono riusciti.
15.000 euro in busta paga meno 1.000. Da ieri, intanto, è ufficiale; sono mille euro netti al mese che usciranno da una busta paga di circa 15mila e composta di una serie innumerevole di indennità. 500 euro saranno sottratti alla voce “diaria di soggiorno” e altri 500 da quella di tremila circa che serve per pagare i cosiddetti “collaboratori”, meglio noti come portaborse. Mille euro sono tanti? “Sì, sono tanti – ci racconta alla Camera un Gaetano Quagliariello, vicepresidente dei senatori Pdl, che quando si parla di soldi non scherza mai – e io me lo ricordo bene come era il mio 730 quando non ero ancora parlamentare e facevo il giornalista! Ci ho guadagnato almeno il 30% e mille euro al mese, fatte le debite proporzioni, sono davvero tanti!”. Ecco, allora, che si capisce perché fin dall’8 di giugno scorso, l’ufficio di presidenza della Camera dei deputati, annusata l’aria dei tagli in vista, abbia subito cominciato a studiare come mitigare il rigore annunciato dai presidenti delle Camere per le tasche dei componenti della “casta”.
I gettoni di presenza. Il trucco è stato trovato quasi subito: introdurre un meccanismo di gettoni di presenza per la partecipazione ai lavori delle commissioni. Ora, quasi tutti i parlamentari sono incardinati in almeno due commissioni che svolgono lavoro diverso e hanno una diversa frequenza di riunione. Per questo, “in prospettiva – si legge in un comunicato ufficiale della Camera – si dovrà definire una disciplina (leggere “regolamento”, ndr) per rilevare le presenze in commissione”. E anche per stabilire una cifra corrispondente ad un giorno di lavoro del parlamentare in commissione, nonché i meccanismi tecnici dell’operazione. Che non piace granchè a Fabio Granata: “Io penso che sia giusto abbassare gli stipendi dei parlamentari perché sono troppo alti rispetto a quello che guadagnano le persone che ci eleggono, farei anche di più se possibile”. Solo che i suoi colleghi – per lo più del centrodestra – non sono della stessa opinione. E, infatti, stanno studiando anche la faccenda che riguarda la frequenza di riunione delle varie commissioni. Ce ne sono alcune che si riuniscono più spesso, come quella di Bilancio e alcune che non si riuniscono quasi mai, come quella sulle Politiche Ue. Per non parlare poi delle bicamerali come la Vigilanza Rai; lì, proprio, dipende molto dal presidente. “Comunque – sostiene Lorenzo Cesa, segretario dell’Udc – il taglio degli stipendi parlamentari è un segnale contro la crescente antipolitica che monta nel Paese”. Certo, se poi si scopre che il trucco è quello di far rientrare dalla finestra quello che è stato pomposamente espulso dalla porta, il “partito” dell’antipolitica non potrà che trarne le conseguenze. Anche perché la questione del gettone è venuta fuori come l’unica possibilità sul campo per restituire ai parlamentari quanto lasciato sul fronte della manovra. Il gettone, infatti, aggira l’ostacolo posto dal fatto che la retribuzione dei parlamentari per legge è “onnicomprensiva” ed è difficilissimo poter intervenire diversamente sulle varie voci che compongono lo stipendio senza un’apposita legge. Insomma, fatta la legge, trovato l’inganno.
I poveri portaborse Stavolta, però, ad essere indirettamente colpiti sono i portaborse. Che ieri, infatti, hanno fatto sentire pesantemente la loro voce: “Si tratta di una vera e propria beffa – dicono pressoché all’unisono in un comunicato del Cocoparl, il loro coordinamento parlamentare – per chi guadagna uno stipendio che oscilla intorno ai mille euro al mese; si è preferito fare una scelta che penalizzerà chi lavora mentre favorirà i deputati furbi, che già si intascano l’indennità molto spesso senza assumere nessun collaboratore”. O, più spesso, pagandolo al nero e comunque sempre una cifra irrisoria rispetto ai 3.000 euro che percepiscono di indennità per il portaborse. “Vedremo chi avrà il coraggio di scaricare su di noi i costi della crisi”, ammoniscono i più battaglieri in Transatlantico. Peccato che “la casta” da questo punto di vista non ci senta. E continuerà a far finta di non sentire, a botte di “tagli a gettone”.
Politica
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