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Il Pd ci dica cosa vuole fare

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Abbiamo passato anni a sentirci dire che nel lato “democratico” del Paese era necessario (e utile) smussare gli angoli e democristianare gli animi per non rimanere schiacciati dal berlusconismo. E mentre tutti si esercitavano in un opposizione sempre più pia e a tratti reverenziale abbiamo reso possibile che un uomo come Mister B. e le sue cricche diventassero un “sistema” stabile, collaudato e proprietario delle istituzioni. In una lenta e nemmeno sotterranea OPA lanciata con successo alla res publica.

Alla mia generazione hanno detto di stare tranquilli, di non fare colpi di testa, di non scialacquare la nostra giovinezza in attesa di ottenere il certificato DOC dello spettatore prematuramente disarmato mentre vede e commenta i giochi di Palazzo. Ci hanno raccontato che non bisognava attaccarlo frontalmente ma giocare di sponda (chissà, forse per un attaccamento alle buone maniere) in un’opposizione che a guardarla oggi ha l’odore acre del “concorso interno”. Ci hanno fatto raccontato che erano tutti impegnati nell’esercitare la propria “vocazione maggioritaria” per costruire visioni e progetti per il paese e oggi, al primo spiraglio, balbettano Tremonti come neo statista salvifico e una coalizione “magna” (nel senso latino e romanesco del termine) con centristi adescatori di niente e neo legalitari con la firma in calce alle leggi-regalo alla mafia e al riciclaggio di questi ultimi anni.

Abusare della pazienza degli onesti è un gioco vile e codardo tanto quanto opprimerli e, ora, la misura è colma. Quello che stiamo vivendo non è né uno sfascio né una crisi: è un’opportunità. Il momento che si aspettava per esporre i modi e i contenuti. In poche parole per raccontare e illustrare la propria identità. E allora dica il PD se è voglioso di andare a braccetto con questo “nuovo” centro che cambia i simboli ma mai le facce, ci dicano i finiani quanto oltre a pentirsi sono disposti a correggere, scendano in campo i movimenti con il proprio diritto costituzionale a manifestare e (finalmente) anche a pretendere.

Con chiarezza, onestà intellettuale e senza remore. Ognuno con la fierezza della propria posizione, se serve. Ma non perdiamo l’occasione del riassestamento per pescare ancora una volta nelle zone d’ombra, ritrovandoci con una valigia di consenso che non possiamo e non vogliamo rappresentare. Il Governo bollito racconta la fine della strategia del grigio e della chiarezza ad intermittenza. Qui fuori c’è il partito più grande d’Italia, senza colonnelli né nominati: il Partito degli astensionisti. Costruiamo coerenza, concretezza e partecipazione e ripartiremo a discutere di lavoro, famiglia, scuola e salute. Con fuori tutti i corrotti e i corruttori di una mignottocrazia che oggi non interessa a nessuno.
È saltato il tappo, fuori i contenuti.

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