Gianfranco Soldera, fra i viticoltori più autorevoli d’Italia e più noti al mondo, a gennaio compirà 74 anni. È tanto schietto e categorico, quanto esperto e appassionato. Da quasi quarant’anni fa vino presso Montalcino, dove si è trasferito con la famiglia nel 1972. Nato a Treviso, è cresciuto a Milano, dove ha fatto il broker d’assicurazione prima di fare il vitivinicoltore in Toscana.
La viticoltura italiana ha avuto una trasformazione radicale negli ultimi trent’anni. È migliorata la qualità dei vini, come si sente dire spesso?
Negli ultimi trent’anni ci sono stati cambiamenti epocali. Che però sia migliorata la qualità dei vini, è tutto da dimostrare. Basta considerare i fatti: negli anni Settanta io producevo 15.000 bottiglie su 700-800.000 totali di Brunello. Oggi, che si producono più di 7 milioni di bottiglie, e si vorrebbe arrivare a 14 milioni, io continuo a produrre la stessa quantità di vino. Ciò dà la misura del cambiamento. Il mercato del vino è in mano agli industriali, non più ai viticultori. Di contro c’è una netta diminuzione dei bevitori intenditori.
Perché è aumentata la quantità e non la qualità?
L’industria ha avuto sviluppo perché ha in mano il commercio del vino. La difficoltà attuale dell’economia vinicola è che il piccolo non riesce ad arrivare al consumatore finale. Perché non ha i numeri, né l’immagine per contare sul mercato globale. Io credo nella filiera corta dei prodotti quotidiani. Il problema è la cultura del consumatore e la forza mediatica o economica di chi non vuole che il consumatore abbia cultura.
Ma i critici, le guide, non hanno indicato e favorito i vini o i produttori di alta qualità?
La critica vinicola è quasi del tutto inesistente. Esiste la pubblicità all’industria del vino. Le guide hanno fatto pubblicità a vini che avevano bisogno di pubblicità per essere venduti.
E che opinione ha di Carlo Petrini e di Slow Food?
Sono avvezzo a giudicare le persone non per le parole ma per i fatti.
La sua azienda vinicola risente della crisi?
No, perché faccio ancora 15.000 bottiglie. Non ho diminuito i prezzi e, vendendo meno in Italia, ho ovviato aumentando le vendite all’estero: come ad esempio nel mercato americano, del quale gli altri oggi si lamentano.
Lei faceva il broker d’assicurazioni. Chi le ha insegnato a fare vino?
E’ la sensibilità olfattiva che conta. Ognuno ha la propria sensibilità olfattiva e quella è il limite per me invalicabile di ogni produttore di vino. Se uno ha “naso”, percepisce le differenze che esistono nei grandi vini. Allora può fare un grande vino. Deve però averlo bevuto prima: io bevo grandi vini dagli anni Cinquanta. Certamente anche gli studi, le ricerche, le sperimentazioni che faccio da sempre con università e centri di ricerca mi hanno insegnato e mi insegnano moltissimo; ritengo che senza ricerca non si possa andare avanti nella produzione di vino. Pensi che nel 2012 pianterò una vigna di Sangiovese ad Alberello…
Qual è il vino italiano che preferisce, oltre al suo?
Barolo Monfortino di Giacomo Conterno.
Che ne pensa dei movimenti di vino naturale, biologico o organico?
Ognuno fa quello che vuole. Io faccio vino naturale. Se non è naturale, non è vino. Non ho mai dato e mai darò nessun tipo di veleno alla mia terra, alle mie vigne e ai miei vini. La terra è la vita. Non è detto che il vino biologico o organico abbia caratteristiche indispensabili per un vino naturale.
E la biodinamica?
Ripeto: ognuno fa quello che vuole. Comunque Steiner, ossia il padre della biodinamica, non sapeva molto di agricoltura. E chi interpreta la teoria biodinamica non mi convince. I vini biodinamici che assaggio non mi fanno pensare diversamente.
Che ne pensa degli Ogm?
Ogm è l’industria. A livello scientifico si può studiare ciò che si vuole. Tutto è mutazione. La vite di tremila anni fa non è la stessa di adesso. Bisogna però vedere in che tempi avvengono i cambiamenti. E quanto viene distrutto o arricchito il terreno. Io sono persuaso che quanto faccio non solo non distrugge, ma arricchisce il terreno. Il mio intento è dare in eredità una terra migliore di come l’ho presa. Nel 1972 in questa terra non c’era una vite, il terreno era stato abbandonato dai mezzadri. Oggi ci sono 10.000 piante ed arbusti, oltre alle vigne e al giardino che cura mia moglie.
La sua azienda appartiene al Consorzio del Brunello di Montalcino: dunque avrà saputo che il nuovo presidente Ezio Rivella (già direttore dell’azienda Banfi) dopo gli ultimi anni di indagini e patteggiamenti, ha recentemente dichiarato che l’80% dei Brunelli era notoriamente fatto aggiungendo del Merlot al Sangiovese, e dunque violando il disciplinare di produzione che impone l’uso di solo Sangiovese.
Se lo dice, vuol dire che lo sa. Io non lo so. Vorrei però chiedere ai critici: cosa hanno visto e assaggiato negli ultimi 20 anni? Io vorrei anche sapere dov’era la critica, che senza dubbio dovrebbe fare auto-critica.
Anche alcuni dipendenti del Consorzio sono stato indagati per vari reati e sono in attesa di sentenza a settembre. Quali sono i motivi per cui il Consorzio, nei decenni, è stato utile?
In questo momento non mi vengono in mente.
Tenterò di aiutarla: il Consorzio nasce come compagine di produttori che si unisce per tutelare e promuovere la realtà vinicola, il marchio.
Considerando gli intenti da lei enunciati, non mi viene in mente niente di positivo.
Per quanto la Procura di Siena abbia dato smentita al Fatto Quotidiano, c’è chi continua ad affermare che sia stato lei a mandare una lettera anonima per avviare nel 2007 le indagini sul Brunello di Montalcino.
Chi crede questo, è in mala fede. Io non ho mai mandato una lettera anonima. Ho sempre scritto lettere con nome, cognome e indirizzo.
Il Brunello ha avuto bisogno di Banfi per diventare il vino italiano più famoso al mondo?
No. L’area di Montalcino si sarebbe dovuta sviluppare in un altro modo. Ci voleva una crescita lenta e con qualità superiore.
Il Brunello ha avuto bisogno della barricche per essere famoso?
I sapori e i profumi della quercia non sono quelli dell’uva. Se il vino fatto con l’uva ha bisogno della quercia, è perché manca dei requisiti essenziali per essere commercializzato. In ogni caso diventa un prodotto diverso e maschera, cioè nasconde, il prodotto vino.
C’è un gusto americano cui è stato destinato il Brunello assemblato col Merlot?
Non c’è nessun gusto americano. Il Brunello è Sangiovese e il gusto è del Sangiovese.
È però innegabile che siano stati prodotti vini più colorati e più dolci che in passato.
Sono problemi di chi li ha prodotti. Non problemi del Brunello o del Sangiovese che non è identificato con quei vini. Perché se lo fosse, sarebbe già morto. La verità è che il mercato non vuole quei vini, come non vuole più i Super Tuscan… mi sbaglio?
Il motivo per cui è stato usato il Merlot, secondo alcuni, è che il Sangiovese ha problemi di maturazione. Lei che dice?
Il Sangiovese può avere problemi di maturazione solo se manca la terra vocata o la capacità di coltivare la vigna… Problemi di maturazione del Sangiovese li ho avuti solo un paio di volte in 35 vendemmie: nel 1976 e nel 1989. Ho appreso molto da tali annate. Tanto che ho saputo cosa fare nel 2002 e 2003.
Perché i suoi vini, rinomati nel mondo, sono stati respinti più d’una volta in commissione di assaggio della Camera di Commercio, e dunque non ha potuto scrivere in etichetta Brunello? E perché i vini indagati dalla Procura di Siena e declassati l’anno scorso, in quanto illecitamente tagliati col Merlot, sono passati nella stessa commissione?
In tanti sanno che, fin dagli anni ’90, sono stati penalizzati i vini con il colore proprio del Sangiovese. E questo è avvenuto anche nelle commissioni di degustazione. Ora, anche per effetto dell’inchiesta della magistratura, questa penalizzazione non c’è più. Certo sarebbe stato opportuno che il problema avesse avuto la pubblicità che meritava dagli anni ‘90 al 2008. Ma così non è stato.
Cosa risponde a chi dice che i suoi vini costano troppo (150 euro in enoteca)?
Il prezzo deve essere espressione del valore. Ritengo che il prezzo sia adeguato, considerando che da 8 ettari di vigna faccio 15.000 bottiglie, ossia un quarto di quello che potrei fare. Inoltre vanno considerati anche i 5/6 anni di affinamento, gli studi scientifici, l’apprezzamento dei clienti che da sempre comperano i miei vini. Infine vanno considerati anche i prezzi di altri vini famosi ma prodotti in grandi quantità.
Foto di Angelo Tondini Quarenghi
Piacere quotidiano
Gianfranco Soldera: “Il mercato del vino
è nelle mani della grande industria”
Intervista a uno dei viticoltori più autorevoli d'Italia che risponde su Ogm, biodinamica e qualità dei prodotti. E sulla critica vinicola attacca: "E' quasi del tutto inesistente"
Gianfranco Soldera, fra i viticoltori più autorevoli d’Italia e più noti al mondo, a gennaio compirà 74 anni. È tanto schietto e categorico, quanto esperto e appassionato. Da quasi quarant’anni fa vino presso Montalcino, dove si è trasferito con la famiglia nel 1972. Nato a Treviso, è cresciuto a Milano, dove ha fatto il broker d’assicurazione prima di fare il vitivinicoltore in Toscana.
Negli ultimi trent’anni ci sono stati cambiamenti epocali. Che però sia migliorata la qualità dei vini, è tutto da dimostrare. Basta considerare i fatti: negli anni Settanta io producevo 15.000 bottiglie su 700-800.000 totali di Brunello. Oggi, che si producono più di 7 milioni di bottiglie, e si vorrebbe arrivare a 14 milioni, io continuo a produrre la stessa quantità di vino. Ciò dà la misura del cambiamento. Il mercato del vino è in mano agli industriali, non più ai viticultori. Di contro c’è una netta diminuzione dei bevitori intenditori.
Perché è aumentata la quantità e non la qualità?
L’industria ha avuto sviluppo perché ha in mano il commercio del vino. La difficoltà attuale dell’economia vinicola è che il piccolo non riesce ad arrivare al consumatore finale. Perché non ha i numeri, né l’immagine per contare sul mercato globale. Io credo nella filiera corta dei prodotti quotidiani. Il problema è la cultura del consumatore e la forza mediatica o economica di chi non vuole che il consumatore abbia cultura.
Ma i critici, le guide, non hanno indicato e favorito i vini o i produttori di alta qualità?
La critica vinicola è quasi del tutto inesistente. Esiste la pubblicità all’industria del vino. Le guide hanno fatto pubblicità a vini che avevano bisogno di pubblicità per essere venduti.
E che opinione ha di Carlo Petrini e di Slow Food?
Sono avvezzo a giudicare le persone non per le parole ma per i fatti.
La sua azienda vinicola risente della crisi?
No, perché faccio ancora 15.000 bottiglie. Non ho diminuito i prezzi e, vendendo meno in Italia, ho ovviato aumentando le vendite all’estero: come ad esempio nel mercato americano, del quale gli altri oggi si lamentano.
Lei faceva il broker d’assicurazioni. Chi le ha insegnato a fare vino?
E’ la sensibilità olfattiva che conta. Ognuno ha la propria sensibilità olfattiva e quella è il limite per me invalicabile di ogni produttore di vino. Se uno ha “naso”, percepisce le differenze che esistono nei grandi vini. Allora può fare un grande vino. Deve però averlo bevuto prima: io bevo grandi vini dagli anni Cinquanta. Certamente anche gli studi, le ricerche, le sperimentazioni che faccio da sempre con università e centri di ricerca mi hanno insegnato e mi insegnano moltissimo; ritengo che senza ricerca non si possa andare avanti nella produzione di vino. Pensi che nel 2012 pianterò una vigna di Sangiovese ad Alberello…
Qual è il vino italiano che preferisce, oltre al suo?
Barolo Monfortino di Giacomo Conterno.
Che ne pensa dei movimenti di vino naturale, biologico o organico?
Ognuno fa quello che vuole. Io faccio vino naturale. Se non è naturale, non è vino. Non ho mai dato e mai darò nessun tipo di veleno alla mia terra, alle mie vigne e ai miei vini. La terra è la vita. Non è detto che il vino biologico o organico abbia caratteristiche indispensabili per un vino naturale.
E la biodinamica?
Ripeto: ognuno fa quello che vuole. Comunque Steiner, ossia il padre della biodinamica, non sapeva molto di agricoltura. E chi interpreta la teoria biodinamica non mi convince. I vini biodinamici che assaggio non mi fanno pensare diversamente.
Che ne pensa degli Ogm?
Ogm è l’industria. A livello scientifico si può studiare ciò che si vuole. Tutto è mutazione. La vite di tremila anni fa non è la stessa di adesso. Bisogna però vedere in che tempi avvengono i cambiamenti. E quanto viene distrutto o arricchito il terreno. Io sono persuaso che quanto faccio non solo non distrugge, ma arricchisce il terreno. Il mio intento è dare in eredità una terra migliore di come l’ho presa. Nel 1972 in questa terra non c’era una vite, il terreno era stato abbandonato dai mezzadri. Oggi ci sono 10.000 piante ed arbusti, oltre alle vigne e al giardino che cura mia moglie.
La sua azienda appartiene al Consorzio del Brunello di Montalcino: dunque avrà saputo che il nuovo presidente Ezio Rivella (già direttore dell’azienda Banfi) dopo gli ultimi anni di indagini e patteggiamenti, ha recentemente dichiarato che l’80% dei Brunelli era notoriamente fatto aggiungendo del Merlot al Sangiovese, e dunque violando il disciplinare di produzione che impone l’uso di solo Sangiovese.
Se lo dice, vuol dire che lo sa. Io non lo so. Vorrei però chiedere ai critici: cosa hanno visto e assaggiato negli ultimi 20 anni? Io vorrei anche sapere dov’era la critica, che senza dubbio dovrebbe fare auto-critica.
Anche alcuni dipendenti del Consorzio sono stato indagati per vari reati e sono in attesa di sentenza a settembre. Quali sono i motivi per cui il Consorzio, nei decenni, è stato utile?
In questo momento non mi vengono in mente.
Tenterò di aiutarla: il Consorzio nasce come compagine di produttori che si unisce per tutelare e promuovere la realtà vinicola, il marchio.
Considerando gli intenti da lei enunciati, non mi viene in mente niente di positivo.
Per quanto la Procura di Siena abbia dato smentita al Fatto Quotidiano, c’è chi continua ad affermare che sia stato lei a mandare una lettera anonima per avviare nel 2007 le indagini sul Brunello di Montalcino.
Chi crede questo, è in mala fede. Io non ho mai mandato una lettera anonima. Ho sempre scritto lettere con nome, cognome e indirizzo.
Il Brunello ha avuto bisogno di Banfi per diventare il vino italiano più famoso al mondo?
No. L’area di Montalcino si sarebbe dovuta sviluppare in un altro modo. Ci voleva una crescita lenta e con qualità superiore.
Il Brunello ha avuto bisogno della barricche per essere famoso?
I sapori e i profumi della quercia non sono quelli dell’uva. Se il vino fatto con l’uva ha bisogno della quercia, è perché manca dei requisiti essenziali per essere commercializzato. In ogni caso diventa un prodotto diverso e maschera, cioè nasconde, il prodotto vino.
C’è un gusto americano cui è stato destinato il Brunello assemblato col Merlot?
Non c’è nessun gusto americano. Il Brunello è Sangiovese e il gusto è del Sangiovese.
È però innegabile che siano stati prodotti vini più colorati e più dolci che in passato.
Sono problemi di chi li ha prodotti. Non problemi del Brunello o del Sangiovese che non è identificato con quei vini. Perché se lo fosse, sarebbe già morto. La verità è che il mercato non vuole quei vini, come non vuole più i Super Tuscan… mi sbaglio?
Il motivo per cui è stato usato il Merlot, secondo alcuni, è che il Sangiovese ha problemi di maturazione. Lei che dice?
Il Sangiovese può avere problemi di maturazione solo se manca la terra vocata o la capacità di coltivare la vigna… Problemi di maturazione del Sangiovese li ho avuti solo un paio di volte in 35 vendemmie: nel 1976 e nel 1989. Ho appreso molto da tali annate. Tanto che ho saputo cosa fare nel 2002 e 2003.
Perché i suoi vini, rinomati nel mondo, sono stati respinti più d’una volta in commissione di assaggio della Camera di Commercio, e dunque non ha potuto scrivere in etichetta Brunello? E perché i vini indagati dalla Procura di Siena e declassati l’anno scorso, in quanto illecitamente tagliati col Merlot, sono passati nella stessa commissione?
In tanti sanno che, fin dagli anni ’90, sono stati penalizzati i vini con il colore proprio del Sangiovese. E questo è avvenuto anche nelle commissioni di degustazione. Ora, anche per effetto dell’inchiesta della magistratura, questa penalizzazione non c’è più. Certo sarebbe stato opportuno che il problema avesse avuto la pubblicità che meritava dagli anni ‘90 al 2008. Ma così non è stato.
Cosa risponde a chi dice che i suoi vini costano troppo (150 euro in enoteca)?
Il prezzo deve essere espressione del valore. Ritengo che il prezzo sia adeguato, considerando che da 8 ettari di vigna faccio 15.000 bottiglie, ossia un quarto di quello che potrei fare. Inoltre vanno considerati anche i 5/6 anni di affinamento, gli studi scientifici, l’apprezzamento dei clienti che da sempre comperano i miei vini. Infine vanno considerati anche i prezzi di altri vini famosi ma prodotti in grandi quantità.
Foto di Angelo Tondini Quarenghi
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Palermo, 12 mar. (Adnkronos) - "Affronterò il processo con la massima serenità e con la consapevolezza di poter dimostrare la correttezza del mio operato, avendo sempre agito nel pieno rispetto del regolamento previsto dall’Assemblea Regionale Siciliana. Non ho mai, nella mia vita, sottratto un solo centesimo in modo indebito e confido che nel corso del giudizio emergerà la verità, restituendo chiarezza e trasparenza alla mia posizione. Resto fiducioso nella giustizia e determinato a far valere le mie ragioni con il rispetto e la serietà che ho sempre riservato alle istituzioni". Così Gianfranco Miccichè, rinviato a giudizio per l'uso dell'auto blu, commenta il processo che partirà a luglio. "Sono però amareggiato da quanto la stampa riporta sul fatto che, secondo il pm avrei arraffato quanto più possibile- dice - Nella mia vita non ho mai arraffato alcun che e su questo pretendo rispetto da parte di tutti".
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Il suo ex autista, Maurizio Messina, che ha scelto il rito abbreviato, è stato invece condannato dal giudice per l’udienza preliminare Marco Gaeta a un anno e mezzo di carcere per truffa, più sei mesi con l'accusa di avere sottratto la somma che gli era stata sequestrata durante le indagini.
Milano, 12 mar. (Adnkronos) - La Corte di Assise di Appello di Milano ha assolto, ribaltando la sentenza a sette anni inflitta in primo grado, Salvatore Pace per il concorso nell'omicidio di Umberto Mormile, l'educatore del carcere di Opera ammazzato l'11 aprile 1990. Il delitto fu rivendicato dalla Falange Armata, organizzazione terroristica sulla quale gravitavano mafiosi, 'ndranghetista e componenti dei servizi segreti deviati. Mormile, 34 anni, venne assassinato a Carpiano, nel Milanese, mentre andava al lavoro, quando due individui in sella a una moto esplosero contro di lui sei colpi di pistola. Secondo l'accusa, Pace, 69 anni, diventato collaboratore di giustizia, si sarebbe messo a disposizione dei mandanti dell'omicidio. "Attendo di leggere le motivazioni" è il commento dell'avvocato Fabio Rapici, legale di alcuni dei familiari della vittima.
Roma, 12 mar (Adnkronos) - La Difesa europea non salva il Pd. Anzi, lo spacca. A Strasburgo, al momento del voto sul piano ReArmEu, gli europarlamentari dem si sono divisi: 10 favorevoli e 11 astenuti. Non un banale testa a testa, che già sarebbe una notizia, ma una spaccatura politica. La prima, almeno così evidente, nella gestione di Elly Schlein. I riformisti dem, infatti, si sono tutti schierati per il sì. Mentre sino all'ultimo istante il capo delegazione Nicola Zingaretti ha lavorato per portare il gruppo sull'astensione in modo da disinnescare ogni tentazione a votare no. Ma la frattura non si è ricomposta.
Dopo il voto, la segretaria dem ha tenuto il punto, confermando le "molte critiche" avanzate su ReArmEu: "Quel piano va cambiato" e per farlo "continueremo a impegnarci ogni giorno", ha detto tra le altre cose. Ma l'onda del voto sulla Difesa Ue è arrivata fino al Nazareno, aprendo una discussione interna al partito in cui è riemersa anche la parola 'magica' Congresso. La foto di Strasburgo, del resto, è netta. Per il sì si sono schierati Stefano Bonaccini (il presidente del partito), Antonio Decaro, Giorgio Gori, Elisabetta Gualmini, Giuseppe Lupo, Pierfrancesco Maran, Alessandra Moretti, Pina Picierno, Irene Tinagli, Raffaele Topo.
Tra gli astenuti Zingaretti, Lucia Annunziata, Brando Benifei, Annalisa Corrado, Camilla Laureti, Dario Nardella, Matteo Ricci, Sandro Ruotolo, Cecilia Strada, Marco Tarquinio, Alessandro Zan. Dalle tabelle dell'aula emerge tra l'altro che nel gruppo S&D gli unici ad astenersi sono stati gli italiani più un bulgaro, un irlandese e uno sloveno. Per non farsi mancare nulla, c'è stato anche il 'giallo' Annunziata, inizialmente conteggiata tra i sì e poi conteggiata come astenuta.
(Adnkronos) - Mentre a Strasburgo i più maliziosi hanno enfatizzato non solo la presenza di Nardella tra gli astenuti, ma soprattutto quella di Strada e Tarquinio: apertamente contrari al Piano Ue, alla vigilia erano dati certi tra i no. "C'è stato l'aiutino per non far vincere il sì", ha valutato un eurodeputato dem. Lo stesso Tarquinio, del resto, a Un giorno da pecora ha ammesso: "Se avessi votato no sarebbe mancato quel po' di più che ha consentito alla delegazione Pd di avere la maggioranza pro Elly Schlein".
"E' stata sconfitta la linea dell'astensione? E' stato sconfitto il no, perché si partiva dal no", è stata la valutazione di Lia Quartapelle. La deputata dem è stata tra quelli che hanno subito chiesto l'apertura di un confronto interno. "Dobbiamo dimostrarci all'altezza. Il Pd, un grande partito, deve argomentare dove vuole stare con una discussione che sino ad oggi non c'è stata", ha spiegato. Sulla stessa linea Piero Fassino e anche Marianna Madia: "Abbiamo la necessità di discutere e capire. Non possiamo fare tutto questo stando zitti o con un mezzo voto. Congresso o Direzione? Va bene tutto, basta che ci sia una discussione", ha detto la deputata.
Ai riformisti ha risposto Laura Boldrini: "Mi sarei aspettata che il gruppo del Pd al Parlamento europeo votasse compatto sull'astensione, che è la strada trovata dalla segretaria Schlein. Non è il momento di alimentare divisioni". Ma anche nell'area di maggioranza interna non è mancata la chiamata al confronto: "E' giusto che ci sia una discussione seria. E' una responsabilità che abbiamo tutti ed è interesse della segretaria, che io sostengo, che questa discussione si faccia nelle forme e con la rapidità necessarie", ha detto Gianni Cuperlo. Mentre è stato Andrea Orlando a chiedere un Congresso tematico: "Potrebbe essere utile anche per portare la discussione fuori dal solo gruppo dirigente" e per "chiarirsi le idee".
Milano, 12 mar. (Adnkronos) - "Morte naturale per infarto". Sono questi i primi risultati dell'autopsia per Carmine Gallo, l'ex super poliziotto protagonista della lotta contro la criminalità organizzata a Milano e ai domiciliari dallo scorso ottobre per l'inchiesta Equalize sui presunti dossier illeciti, morto domenica nella sua abitazione a Garbagnate Milanese. Si tratta dei primi riscontri dei medici legali, poi "arriveranno i tossicologici" chiesti in via precauzionale per escludere qualsiasi altra causa.
Roma, 12 mar (Adnkronos) - "Il libro di Follini rappresenta la foto di un mondo rovesciato rispetto al presente, un’America rovesciata, ieri prevaleva il senso della misura e il ragionamento, oggi prevale il populismo”. Lo ha detto il deputato del Pd Stefano Graziano presentando in conferenza stampa a Montecitorio il libro di Marco Follini 'Beneficio d’inventario'.
"Centrale è la parte che racconta della vita politica all’epoca del padre di Marco Follini, Vittorio, e dei leader politici del tempo da Francesco Cossiga, ad Aldo Moro, passando per Marco Pannella. Non tutti avevano la stessa idea politica ma erano tutti uniti nella forza di voler difendere la democrazia, una democrazia ottenuta con lotte, sangue, catastrofi e quindi seppur lontani politicamente, erano uniti dal dialogo. Una differenza abissale con l’Italia di oggi pericolosamente in mano ai sovranisti, dove tutto è concepito fuorché il dialogo. Forse questo abisso non è solo italiano ma sta prevalendo in tutto l’Occidente e la cosa è abbastanza preoccupante”, ha aggiunto Graziano.
Milano, 12 mar. (Adnkronos) - "La manovra repentina, improvvisa e del tutto imprevedibile, frutto certamente di una decisione di decimi di secondo attuata dal conducente del motoveicolo TMax non ha consentito al conducente del veicolo Giulietta di poter attuare alcuna manovra difensiva efficace". E' quanto sostiene la consulenza cinematica disposta dalla Procura di Milano e affidata all'ingegnere Domenico Romaniello. La relazione attribuisce la responsabilità dell'incidente a Fares Bouzidi, già indagato per omicidio stradale, l’amico di Ramy Elgaml che guidava lo scooter. Quando lo scooter da via Ripamonti svolta a sinistra verso via Quaranta, "con una deviazione improvvisa", per il consulente Fares imprime "una correzione di rotta verso destra", in direzione del marciapiede, e il carabiniere alla guida "non poteva certamente prevedere tale pericolosissima manovra e nulla ha potuto fare per evitare tale contatto, in ragione della impossibilità di poter attuare sia una correzione di rotta, sia una frenata efficace nello spazio a disposizione".
Non solo: il militare alla guida "non avrebbe altresì potuto neanche sterzare verso destra per la presenza del pedone (il testimone che riprende la scena con il cellulare) che per il conducente dell’autovettura è stato chiaramente percepito con la vista periferica" spiega l'ingegnere che ha realizzato la consulenza ricostruendo le condizioni di visibilità e velocità dell'inseguimento avvenuto la notte del 24 novembre scorso. Quella che mette in atto il carabiniere ora indagato per omicidio stradale (per lui si va verso la richiesta di archiviazione) è "una manovra difensiva obbligata": se lo scooter guidato da Fares avrebbe mantenuto la traiettoria 'naturale' chi guidava la Giulietta "non avrebbe sostanzialmente avuto problemi a mantenere il proprio veicolo iscritto nella curva da percorrere per la svolta a sinistra".
Quando Fares imposta la curva verso via Quaranta il T Max viaggia a una velocità di quasi 55 chilometri l'ora, quando il motociclo finisce la sua corsa contro il palo semaforico l'urto avviene a circa 33 chilometri orari. Per il consulente incaricato dalla procura la macchina che insegue, per evitare l'urto, "avrebbe dovuto disporre di uno spazio complessivo per l’arresto di circa 24 metri", mentre "il conducente aveva a disposizione circa 12 metri soltanto prima di giungere all’urto contro il palo semaforico".