Niente restrizioni, siamo speculatori. Ipotesi di nuove regole non sono ancora state rese note ma il motto dei lobbisti già riecheggia prepotentemente tra Washington e Wall Street. Per il momento siamo appena alle fasi iniziali ma la battaglia si preannuncia epica. Perché al centro della contesa non c’è qualche criptica norma patrimoniale o un modesto segmento di mercato sregolato. C’è una pratica, al contrario, diffusa come poche altre e in grado, forse, di rappresentare una minaccia senza eguali: l’high speed trading.
Comprare, vendere, e poi ancora comprare. Tutto in pochi istanti, anzi, microistanti. La pratica è ampiamente collaudata. Al posto degli esseri umani ci sono i computer, al posto delle intuizioni ci sono gli algoritmi. Le operazioni prendono di mira i titoli di borsa, si protraggono per mezz’ora, magari un’ora, e bruciano miliardi. In fondo non è difficile: basta sfruttare ogni micro oscillazione compiendo operazioni di compravendita in singole frazioni di secondo. Ci pensa il computer: segue il proprio algoritmo, compra e vende millisecondo dopo millisecondo e moltiplica il tutto su volumi azionari mostruosi (nello scorso mese di maggio ci sono state in media 500 milioni di operazioni giornaliere sul solo titolo Citigroup, 132 milioni su Ford, 116 su Bank of America). La macchina precede l’uomo e qualsiasi forma di controllo “manuale”. Specula, devasta il mercato e alla fine vince. Agli occhi di molti il sistema sembra una follia eppure, che ci crediate o no, l’high speed è ormai la regola. Si stima che questo genere di trading interessi ormai oltre il 60% dei titoli quotati a New York compensando dal 50 al 75% degli scambi giornalieri. Una massa finanziaria a dir poco mostruosa.
Ora però i regolatori sono pronti a dire basta. La Sec e la Cftc (Commodity Futures Trading Commission) si sono messe al lavoro per porre un freno ai maniaci dell’alta velocità. Le norme non sono ancora note ma lo spirito della riforma è chiaro: monitorare, individuare le speculazioni, prevenirle. Già a maggio il NY Times ipotizzò che la Sec fosse pronta a sperimentare un sistema automatico di monitoraggio in grado di bloccare lo scambio dei titoli di fronte a fluttuazioni sospette (variazioni superiori al 10% in un arco temporale di 5 minuti). Il sistema potrebbe essere stato ulteriormente perfezionato nei mesi successivi.
Gli speculatori, manco a dirlo, sono già pronti alla battaglia. Organizzano la loro offensiva lobbista e nel frattempo, come è nel loro stile, negano tutto. Pochi giorni fa, Stuart Kaswell, consigliere generale della Managed Funds Association, un’associazione di categoria di base a Washington, ha scritto alla Sec invitandola a desistere dai propositi regolamentari. Un mercato high speed soggetto a limitazioni, ha spiegato, risulterebbe più costoso, meno efficiente e – prospettiva poco incoraggiante in tempi di stentata ripresa – meno “liquido”. Quello che Kaswell e i suoi non hanno voluto spiegare, tuttavia, è come certe anomalie possano avere avuto luogo così tante volte provocando danni micidiali a quello stesso mercato efficiente e “low cost” che ora vedono minacciato dalle velleità della Sec.
L’esempio è noto a tutti e risale a non molto tempo fa. Il 6 maggio scorso, la borsa di New York andò incontro a una volatilità dei prezzi del tutto anomala e capace di scatenare il panico. Dietro all’altalena dei titoli, ovviamente, non c’erano i guai della Grecia, le speculazioni valutarie o il boom dell’oro. C’erano loro, i signori della velocità. Rispondendo a input precisi basati sul mutamento di una lunga serie di variabili (tassi di interesse, prezzi di altri titoli etc.), i computer avevano lanciato un’offensiva senza precedenti. 700 punti base vennero bruciati in pochi minuti e il saldo negativo peggiorò ulteriormente. In seguito sopraggiunse il recupero e la conseguente chiusura contenuta. Ma alla fine delle contrattazioni, i broker che ancora scossi abbandonavano Wall Street per fare ritorno a casa avevano maturato una certezza comune. Una giornata come quella non l’avrebbero scordata mai più.