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L’ignoranza degli italiani

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E se fosse l’ignoranza il primo problema della democrazia in Italia?

Sono allarmanti, ma non hanno generato un gran dibattito, i risultati di due indagini internazionali sull’istruzione primaria e la cultura diffusa degli italiani pubblicati a cura della ricercatrice Vittoria Gallina nei saggi: “La competenza alfabetica in Italia. Una ricerca sulla cultura della popolazione” (Franco Angeli 2000); “Letteratismo e abilità per la vita. Indagine nazionale sulla popolazione italiana” (Armando editore 2006).

Cosa dicono queste indagini? “Cinque italiani su cento tra i 14 e i 65 anni non sanno distinguere una lettera da un’altra, una cifra dall’altra: sono analfabeti totali. Trentotto su cento lo sanno fare, ma riescono solo a leggere con difficoltà una scritta semplice e a decifrare qualche cifra. Trentatré superano questa condizione, ma qui si fermano: un testo scritto che riguardi fatti collettivi, di rilievo anche nella vita quotidiana, è oltre la portata delle loro capacità di lettura e scrittura, un grafico con qualche percentuale è un’icona indecifrabile. Tra questi, il 12 per cento dei laureati. Soltanto il 20 per cento della popolazione adulta italiana possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per orientarsi in una società contemporanea“.

Sono parole del linguista Tullio De Mauro.
Sono numeri che spiegano molte cose.




Sia chiaro: la tendenza al declino delle competenze e all’analfabetismo di ritorno riguarda tutte le società occidentali. Ma in Italia il fenomeno ha un impatto maggiore. Tant’è vero che siamo in coda all’Europa per lettura di libri e giornali. Secondo l’Istat più della metà degli italiani non legge nemmeno un libro all’anno, mentre la tv generalista, pur in declino, rimane il mezzo di comunicazione dominante.

Inutile dire che l’homo videns, come l’ha definito Giovanni Sartori in un suo saggio, è assai più suggestionabile dalla propaganda e dalla demagogia rispetto alla minoranza ancora affezionata alla parola scritta. Tra i pochi intellettuali che denunciano il rischio per la tenuta della democrazia della de-alfabetizzazione di massa c’è proprio De Mauro, “La democrazia vive se c’è un buon livello di cultura diffusa”, mi ha detto nell’intervista che allego, “se questo non c’è, le istituzioni democratiche – pur sempre migliori dei totalitarismi e dei fascismi  –  sono forme vuote”. Prima ancora del deficit di informazione, dunque, alla radice del “caso Italia” c’è un problema di formazione, anzi meglio: di istruzione primaria. “Quanti di noi hanno la possibilità di ragionare sui dati di fatto – prosegue  De Mauro – partecipando alle scelte collettive con la possibilità di documentarsi sul senso di quelle scelte?

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