Prosegue il nostro viaggio all’interno della musica, quella sotterranea, quella sconosciuta, quella all’ombra delle luci della ribalta.
Oggi si va in provincia, lontani dalla città, lontano dagli stereotipi e dalle ipocrisie. Laddove la vita è ancora spontanea, naturale e senza sovrastrutture.
Non una realtà finta o di plastica. Ma Vera.
Andiamo a conoscere gli Orange Beach degni rappresentanti della Provincia del suono, intesa come ricerca e abbattimento dei confini dove si lascia spazio infinito all’immaginario.
Un luogo fatto di atmosfere roccheggianti e psichedeliche dove spesso il confine col disincanto è labile.
Loro sono Paolo Broccoli (chitarra), Agostino Pagliaro (basso e voce) e Maurizio Conte (batteria e percussioni) che hanno dato vita a The Orange Beach e il primo gennaio 2010 hanno dato alla luce un bel disco “Fuzz You” regalandosi così un inizio d’anno davvero originale.
Il nome, se tradotto, evoca una calda spiaggia arancione forse californiana ma non importa: questi tre musicisti non provengono da una città solare che offre opportunità a chiunque sia dotato di un minimo di talento, ma da una difficile realtà del Casertano dove se non si è in grado di trovarsi una valvola di sfogo si diventa pazzi.
Fuzz you! è un lavoro modernamente rock con la Fender Stratocaster protagonista indiscussa di questo album chitarristico dai riflessi del Shockabilly mescolato a schizofrenia e malinconia.
Fuzz You! rappresenta il loro debutto ufficiale in studio: si tratta di un piccolo miracolo compiuto sotto l’ala di Mark Kramer uno dei bassisti avvicendatisi nei Butthole Surfers, annoverato fra i più grandi personaggi del panorama indie-rock americano anni Ottanta.
“Kramer ci contattò tramite MySpace offrendosi di produrre il nostro album (per lui è una cosa normale offrirsi, altre volte invece sono le etichette o le band a chiamarlo). L’idea ci solleticò da subito perché lui è un grande personaggio oltre che un grandissimo produttore e artista. Organizzammo il tutto, ma senza aver mai parlato di pubblicarlo per la sua etichetta. In studio filò tutto liscio (in meno di 5 giorni avevamo finito le session!); nel frattempo diventammo amici e trascorremmo un bel periodo insieme. Dopo un paio di mesi, ci spedì il master dell’album (mix e mastering sono stati fatti nei suoi studi in Florida) chiedendoci se ci fosse piaciuto e se avevamo deciso con chi pubblicarlo. Aggiunse che per lui sarebbe stato un piacere pubblicarlo per la sua etichetta personale, perché riteneva Fuzz you! uno dei migliori album che avesse mai prodotto nella sua carriera.
Sapevamo e lui fu esplicito al riguardo, che non avrebbe potuto fare molto per noi, la sua è un’etichetta minuscola che usa per ristampare il suo vecchio catalogo e poco più. Ci disse che ci avrebbe messo a disposizione un piccolo budget per la promozione, come effettivamente è avvenuto, ma ci ha lasciati liberi di gestirci come meglio ritenevamo“.
E non è un caso che a produrlo sia una label straniera, la Second Shimmy. “Viviamo in un paese dove i delinquenti sono impegnati a governare e i loro amichetti a spartirsi la torta: che c’è da aspettarsi? Con la musica non mi sembra che vada troppo diversamente. Non basta fare un buon disco, avere buone recensioni etc. Bisogna CONOSCERE qualcuno.
A noi ‘sta cosa fa girare i coglioni, ma purtroppo va così. Inoltre essere lontani dai grandi centri (Napoli col rock c’entra come il parmigiano sugli spaghetti alle vongole) non ti aiuta. Bisogna essere presenzialisti e, possibilmente, rientrare nelle grazie di qualcuno.
Dall’estero abbiamo avuto buoni feedback senza conoscere chicchessia: canzoni passate alla radio (Germania, USA, Slovenia), il portale Muzik Reviews ci ha anche nominati “band della settimana”.
In Italia, invece, nonostante si sia concentrata la promozione dell’album e le tante buone recensioni, le interviste, non siamo riusciti ad emergere.
Francamente ce ne freghiamo e continuiamo a fare quello che ci piace e che ci fa divertire. Di sicuro la nostra ambizione non è quella di diventare i nuovi Lunapop o cose del genere, ma vedere le etichette piccole comportarsi come le major e pubblicare robaccia che il meschinetto di turno incenserà come i novelli Beatles affossa un intero movimento (oltre a devastare l’apparato digerente)“.
In realtà Kramer non si limita a produrli, ma partecipa attivamente al cd come arrangiatore assieme alla band e suona il vibrafono in “Barbon”, pezzo tra jazz e la psichedelia buono per telefilm anni ’70 alla Starsky and Hutch.
Fortunato incontro il loro, nato sulle pagine di MySpace. Una storia moderna di abbattimento dei confini grazie alla Rete, dopo continui sbattimenti, sudore, demo, partecipazioni a compilation, concerti per intimi o per platee più vaste. E tutto questo è intriso nel sound di The Orange Beach.
Multiforme e coeso, Fuzz you! è il prodotto di una scelta ben calibrata dagli Orange Beach: far parlare la qualità della musica. Non per niente la contaminazione della parola è lasciata come marginale e ironica in sole tre occasioni (“Hey! Oh! Eh”, “CWhaWha”, “Ernest’s fear”).
È così che scorrono veloci pezzi come “Quoque tu BMW” (dedicata ai posti di blocco ben conosciuti dalla band), “Bds” (Bar del sole) e “I talk to the wine” (parodia di “I talk to the wind” dei King Crimson) dominate da chitarre tra psichedelia spensierata e ironia.
Malinconico e crepuscolare nell’album non mancano poi le storie d’amore come quella tra due fantasmi in “Ghost to ghost” con tanto di amplesso etereo.
L’ultima traccia invece è la perla del lavoro degli Orange Beach. Dopo un ultimo sfogo il cerchio si chiude. A tutti buon ascolto e sempre… Vive le Rock!