Il registro dei tumori della regione Campania non è mai stato attivato. Per le strade di Terzigno ancora oggi la gente scende in strada in protesta contro l’apertura di una nuova discarica, ma nella regione dell’infinita emergenza rifiuti e degli sversamenti abusivi di fanghi tossici dimostrare una correlazione tra malattie e inquinamento non è possibile.
La scoperta del vuoto è merito di un meticoloso lavoro di ricerca fatto da Vittoria Operato, avvocato e consulente giuridico dell’Isde (Associazione Internazionale Medici per l’Ambiente). Uno strumento come il registro dei tumori è fondamentale per mettere in relazione, attraverso studi ufficiali, gli incrementi di casi di cancro con l’esposizione a ipotetici fattori di rischio.
In altre parole, senza il registro è impossibile stabilire una relazione, valida in tribunale, tra un’impennata di tumori su un certo territorio e la presenza nei paraggi di una discarica o di un sito di smaltimento di rifiuti tossici. A nulla servono sotto il profilo legale gli studi di scienziati indipendenti o le analisi epidemiologiche condotte da medici ed esperti che si battono contro l’inquinamento ambientale nella Regione. Può fare testo solo il registro tumori. Che in quasi tutte le regioni esiste. Ma non nella terra devastata dalla più grave emergenza rifiuti del dopoguerra, dove le cave hanno ingoiato per decenni le scorie delle fabbriche del Nord, dove quotidianamente si scoprono casi di inquinamento delle falde acquifere, e dove la spazzatura viene bruciata impunemente per strada lungo i vialoni dell’hinterland napoletano, sprigionando quantità industriali di diossine, come testimoniato da decine di video messi in rete dall’associazione “La Terra dei Fuochi”.
Quel poco che c’è è soltanto un registro ridotto. Copre solo 35 comuni del napoletano e la provincia di Salerno. Ne sono fuori comuni ad alto rischio come quelli dell’area giuglianese e dell’intera provincia di Caserta, devastate da una serie di sversatoi fuorilegge. Su sei milioni di campani, il registro ne copre meno di un milione. Ma non solo. Per carenze di risorse e a causa di software primordiali, dal 2007 fatica nel produrre dati utilizzabili, proprio in coincidenza con lo scoppio di alcune delle più gravi emergenze spazzatura (estate 2007 – dicembre-gennaio 2007-2008).
Quanto sarebbe necessario un registro più completo lo dimostrano i pochi dati disponibili, definiti “agghiaccianti”. Come ricorda l’avvocato Operato, “nel 2007 il tumore al colon-retto in Campania, reputato tumore ‘sentinella’ per tastare il polso all’incremento del tasso di incidenza tumori correlati all’inquinamento ambientale, raggiunge quota 3500 annui (10 nuovi casi al giorno”.
Del resto, che il registro in funzione fosse insufficiente di fronte all’emergenza rifiuti, fu proprio la giunta Bassolino a scriverlo in una delibera del 17 luglio 2007, la numero 1293. “Nella Regione Campania, in relazione anche all’attuazione dei programmi legati alla risoluzione delle problematiche derivate dalla gestione dei rifiuti, è necessario ed improcrastinabile pianificare lo sviluppo di attività di sanità pubblica e sorveglianza epidemiologica dello stato di salute della popolazione, attraverso il potenziamento delle strutture ad esse dedicate, dotandole di risorse umane e strumentali adeguate”. E ancora: “Allo stato attuale in Campania non esiste un sistema di sorveglianza integrato salute-ambiente tale da consentire rapide valutazioni in campo di tutela della popolazione da rischi ambientali”.
Di qui la scelta di stanziare con la delibera 1293 circa 2 milioni e mezzo di euro per “ampliare la quota di popolazione coperta da registri tumori, in particolare estendendo l’osservazione alla provincia di Caserta e all’intera provincia di Napoli”. Peccato che di quei fondi si siano perse le tracce. Lo ammettono candidamente l’ex assessore regionale alla Sanità Angelo Montemarano e il consigliere per la sanità del Governatore Stefano Caldoro, il parlamentare Raffaele Calabrò. Il registro tumori di fatto non c’è. E’ documentato in una delibera del commissario straordinario dell’Asl Napoli 3, datata 3 marzo 2010: “Tale finanziamento aggiuntivo – si legge – non ha trovato però, ancora al momento, posto nelle previsioni di spesa della Regione per gli anni 2008 e 2009, per cui non è al momento possibile programmare il potenziamento del registro tumori”.
Con quali conseguenze? “Devastanti – afferma la Operato – perché di fatto ha bloccato in un pantano senza vie d’uscita i risarcimenti connessi ai procedimenti penali già avviati in Campania per i reati di disastro ed epidemia colposa e riferite alle gestioni criminali di discariche abusive, alle modalità oscure di gestione delle stesse discariche legali e alle attività illecite di tumulazione e sversamento incontrollati di rifiuti tossici che appestano le falde acquifere e le coltivazioni ortofrutticole”.
A cominciare dall’inchiesta sui veleni della discarica di Pianura, per la quale il pm Stefania Buda ha chiesto l’archiviazione. Motivazione? E’ impossibile stabilire un rapporto tra i casi di morte di cancro e gli sversamenti illegali dei fanghi e dei rifiuti tossici compiuti per oltre vent’anni nel buco nero della periferia napoletana. Gli avvocati Giovanni Copertino e Valerio De Maio, che seguono 22 parti lese tra parenti delle vittime e l’onlus Oceanus, hanno proposto opposizione per riaprire le indagini, il ricorso verrà discusso a novembre. Ma non è solo una questione di processi e risarcimenti: ”Questo accertamento scientifico mancato – afferma la Operato a proposito del registro tumori – avrebbe potuto orientare diversamente le scelte di politica ambientale sulla localizzazione delle discariche e degli inceneritori in termini di distanza rispetto ai luoghi residenziali ad alta densità abitativa”.