Quattro miliardi e duecento milioni di euro. È la somma che, secondo l’Associazione Bonifiche, sarebbe necessaria per risistemare torrenti e rogge, pendii e canali di tutta Italia. Una cifra importante, ma non impossibile per un Paese come il nostro. Denaro che salverebbe migliaia di vite umane. E invece l’Italia preferisce investire altrove: grandi opere, ponti e autostrade di dubbia utilità almeno per i cittadini, ma certo vantaggiosi per le imprese.
Così ecco altre tragedie, lutti cittadini, disastri ambientali: 6 morti nell’ultimo mese in una Toscana fragilissima, ormai in allarme rosso, gli ultimi tre la scorsa notte a Massa, uccisi da una frana (mamma e bimbo abbracciati), un treno deragliato in Liguria, caos nel Veronese (2500 sfollati). E poi di nuovo tutti avanti a costruire e a maltrattare il territorio. Mentre uomini e donne muoiono. Perché in Italia le frane sono migliaia ogni anno, colpa delle conformazione geologica, ma anche della mancanza di cura del territorio: negli ultimi cinquant’anni, secondo i dati dell’Associazione nazionale Bonifiche ci sono state 470 mila frane, a una media di 9.400 all’anno (783 al mese). Una tragedia continua: a volte i giornali se ne ricordano, altre volte passa tutto sotto silenzio. Così ogni mese, in media, sei vite umane vengono spazzate via da crolli e fango: in mezzo secolo ci sono stati 3.500 morti.
Giampilieri, Serchio Atrani: Paese fragile
È passato meno di un anno dall’alluvione della Toscana provocata dal lago di Massaciuccoli e dal fiume Serchio e siamo di nuovo da capo. Neppure un mese dal ritrovamento del corpo di Francesca Mansi, 25 anni, a Panarea, trascinata alle Eolie dalle correnti dopo esser stata travolta da una frana ad Atrani, in Costiera amalfitana il 9 settembre scorso. E quanti ricordano ancora il disastro di Giampilieri, in provincia di Messina, dove il 1° ottobre 2009 sono morte 39 persone? Pochi. E in Calabria? Quasi nessuno sa che soltanto a febbraio ci sono state 180 frane e che il 100 per cento dei Comuni della regione sono a rischio idrogeologico, come ricorda la Coldiretti. Intanto a pochi chilometri di distanza cominciano i primi scavi per il faraonico Ponte sullo Stretto voluto dal governo Berlusconi. Un’opera che rischia – in una zona ad altissima penetrazione mafiosa – di avere ricadute positive solo per le tasche della criminalità organizzata, oltre che per quelle delle imprese che hanno vinto l’appalto. Di sicuro da un punto di vista scenografico (ed elettorale) paga molto di più un ponte lungo 5.300 metri, sorretto da due piloni alti 382 metri. Già, i più alti del mondo, c’è di che gonfiarsi il petto d’orgoglio. Invece, risanare tutti i rivi e i fiumi d’Italia, ridurre drasticamente il rischio delle frane sarebbe un’opera che pochi noterebbero e non porterebbe benefici politici. E pensare che il costo dei due progetti sarebbe quasi uguale: 3 miliardi e 900 milioni (salvo aumenti in corso d’opera) per il Ponte sullo Stretto, appena 300 milioni meno della bonifica del territorio di un intero Paese.
Scandalo Nuova Romea
Le maxi opere volute da centrodestra e centrosinistra costellano l’intera Penisola. Che dire della colossale autostrada Mestre-Orte-Civitavecchia (Nuova Romea)? Qui i miliardi messi in preventivo sono addirittura 10,8. A favore di quest’opera sono scesi in campo tutti. Ma lo sponsor più agguerrito è Pier Luigi Bersani, che è presidente dell’Associazione Nuova Romea. Il 28 ottobre 2008 il segretario del Pd ha presentato un’interrogazione in Parlamento per sollecitare l’avvio del progetto. Un atto che sembra preso con il copia e incolla dal dossier presentato dalla Fondazione Nord-Est di Confindustria (difficile capire chi dei due abbia copiato, però). Bersani, giustamente, ricorda che sulle strade della costa Romagnola il tasso di mortalità è uno dei più alti d’Italia. Quindi la nuova autostrada sarebbe giustificata anche da ragioni di sicurezza. Ma i cittadini contrari all’autostrada contrattaccano: “Vero – spiega Mattia Donadel, dei Cat, Comitati ambiente e territorio della Riviera del Brenta – l’attuale percorso è pericoloso, ma con 10,8 miliardi si potrebbero risolvere i problemi di sicurezza di tutte le strade d’Italia”. E ricordano altre questioni spinose: i quasi 500 chilometri del percorso taglierebbero sei regioni, toccando – e stravolgendo – zone di pregio ambientale come il Delta del Po, l’Appennino tra le Marche e la Toscana (a due passi dalla Valmarecchia di Tonino Guerra o da Sansepolcro), poi la campagna umbra e quella del Lazio. E intanto, continuano i comitati, “sulla realizzazione dell’opera si concentrano gli obiettivi di persone come Vito Bonsignore”, politico in orbita berlusconiana, che, però, non disdegna contatti con i leader del centrosinistra. Chi non ricorda la celebre telefonata nel bel mezzo del ciclone Antonveneta-Unipol del 2005: “Ho parlato con Bonsignore… evidentemente è interessato a latere in un tavolo politico”, disse D’Alema.
Basta? Nemmeno per sogno: il governatore Roberto Formigoni è un sostenitore accanito dei progetti che porterebbero oltre 400 chilometri di nuove autostrade in Lombardia. Milano ha bisogno di decongestionare il traffico, ma, come ricorda Legambiente, rispetto alle altre metropoli europee mancano metropolitane e ferrovie. Non certo autostrade e inquinamento. E invece via con l’asfalto in Lombardia, su cui aveva messo gli occhi anche la Cricca (come dimostrano le carte dell’inchiesta P3).
L’autostrada Spaccamaremma
Il caso della Livorno-Civitavecchia è simbolo di tutto questo. Sponsor numero uno: Altero Matteoli, ministro delle Infrastrutture e sindaco di Orbetello. L’autostrada che taglierà la Maremma sarà realizzata dalla Sat (che fa riferimento a Benetton). Presidente del cda Antonio Bargone, ex deputato dalemiano nominato anche commissario governativo per la realizzazione dell’opera. Costo previsto: 3,7 miliardi, a carico dei privati, ma poi lo Stato dovrà pagare la stessa somma per rientrare in possesso dell’opera. Appena 500 milioni in meno di quanto servirebbe per salvare tutta l’Italia dalle frane. Per evitare tragedie come quelle di ieri a Massa.
Da Il Fatto quotidiano del 2 novembre 2010