“Guido Bertolaso si ama, non si discute”. E’ la fede cieca nel capo che emerge da alcune mail del circuito interno del Dipartimento di Protezione civile. Fra di esse, anche un invito ai dipendenti, che prima dell’era Bertolaso erano 400, oggi sono 1.300: salutare il capo, che lascia dopo dieci anni di regno, indossando tutti la maglietta blu. Insieme a loro, verosimilmente, ci saranno i dirigenti del dipartimento: 11 di prima fascia, 43 di seconda. Una struttura paramilitare fidelizzata e modellata da Bertolaso a sua immagine e somiglianza. L’appuntameto è fissato per oggi all’Auditorium di Roma.
Durante la sua gestione autoritaria, l’uomo del fare, potente e quasi immacolato, nonostante gli scandali, ha esasperato il potere straordinario dell’ordinanza: se ne contano oltre 600, dal 2001 a oggi. Ma Bertolaso ha contribuito anche a creare una fitta rete di connessioni e intrecci, di amicizie, favori, uomini scelti piazzati nei posti strategici. Con il suo pensionamento, consegna al Paese una Protezione civile sconnessa dal territorio, che ha dimenticato la previsione e la prevenzione con effetti evidenti anche di recente: bastano pochi giorni di pioggia perché i terreni cedano, le case crollino, gli uomini muoiano.
E intanto, la Protezione civile si è dedicata ai costosissimi Grandi eventi e agli scontri con gli enti locali. L’eredità di Bertolaso appare come un groviglio quasi inestricabile di poteri striscianti che, in maniera sotterranea, aggirano il normale vivere democratico, riscrivono le leggi senza dibattito parlamentare, con il rischio di generare clientele e vassallaggi.
Tutti gli uomini di Guido
E’ il 2008 quando Bertolaso trova il modo di gestire assunzioni ad personam in ruoli dirigenziali di prima fascia nel Dipartimento di Protezione Civile, mediante una legge che doveva essere destinata alla risoluzione dell’emergenza rifiuti in Campania (L. 213 del 2008). Durante la riunione del 15 ottobre 2010, quella in cui il Sottosegretario si fa sfuggire l’infelice battuta sul Vesuvio (ascolta l’audio), Bertolaso ricorda che all’epoca andò a colloquio personalmente con Gianni Letta e gli propose un elenco di 8 persone da nominare: “Alcuni di loro non erano altro che signori, perché non erano funzionari dello Stato”.
Fra questi signori, c’è Bernardo De Bernardinis, detto Chicco. E’ stato vice capo dipartimento nell’area operativa. E’ indagato per le presunte responsabilità della Commissione Grandi Rischi che si riunì il 31 marzo 2009 rassicurando gli aquilani, appena una settimana prima del sisma del 6 aprile. Da metà ottobre è il Presidente dell’Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale (ISPRA). E dietro questa nomina c’è lo zampino di Bertolaso. Lo ammette lui stesso, sempre il 15 ottobre: “Ho immaginato che si dovesse organizzare una strategia, visto che qua nessuno è immortale […] strategia, ovviamente, che vuole che il Dipartimento segua la sua mission – sappiamo qual è, ne abbiamo parlato tante volte – ma che abbia però dei pilastri sui quali contare e sui quali appoggiarsi. Questo è il disegno. Ecco perché Chicco va lì al ministero dell’Ambiente: per rinforzare la nostra struttura”. Come dire, il Dipartimento alla conquista degli enti.
Marcello Fiori, ex dirigente dell’Acea (società che si occupa di gestione di servizi energetici, ambientali e idrici), diventa Responsabile dell’Ufficio Emergenze del Dipartimento. E’ stato anche commissario straordinario per l’emergenza dell’area archeologica di Pompei, senza alcuna competenza specifica nel campo dei Beni culturali. La Corte dei Conti ha mosso eccezioni a proposito di questa gestione emergenziale e la procura di Torre Annunziata, dopo un esposto della UIL, ha aperto un fascicolo per rilevare eventuali responsabilità. Nel frattempo, Pompei crolla, proprio mentre Bertolaso va in pensione. Fiori è stato anche uno dei collaudatori che hanno dato il via libera al termovalorizzatore di Acerra, struttura messa in funzione per ordinanza dal Dipartimento di Protezione civile.
Poi c’è Angelo Borrelli, che ha fatto il “ministro dell’economia” del Dipartimento e ora diventa vice capo nell’area amministrativa. Di lui, Bertolaso dice: “Lui si che è una persona seria, una persona perbene, una persona dotata di umanità, una persona che sa quando si deve dire di no ma capisce anche quando è il caso di sire di sì.” Il nome di Borrelli compare nelle carte dell’inchiesta della procura di Napoli sulla gestione emergenziale dei rifiuti in Campania.
L’elenco degli uomini di Bertolaso, fuori e dentro il Dipartimento, è sterminato ed è impossibile renderne conto in maniera esaustiva. C’è Vincenzo Spaziante, ex vice capo, poi commissario per l’emergenza socio-economico-sanitaria nella Regione Calabria, nonché presidente di una società del gruppo Finmeccanica e commissario per la realizzazione del nuovo Palazzo del Cinema di Venezia. C’è Marta Di Gennaro, dirigente di prima fascia indagata per la gestione rifiuti campana. Ci sono tutti coloro che con Bertolaso hanno lavorato con procedure d’urgenza: dalla Sebach a Impregilo, dalla Maltauro alla RTI Selex Sistemi Integrati Spa; ci sono gli uomini di Fintecna.
E ovviamente va citato Gian Michele Calvi, a capo dell’Eucentre, la struttura – fondata dall’Università di Pavia e dalla Protezione civile – che ha progettato i pilastri antisismici delle C.A.S.E. costruite ex novo all’Aquila dopo il terremoto. Calvi è stato anche soggetto attuatore per il G8 alla Maddalena dopo Angelo Balducci e Fabio De Santis due degli uomini della cricca dei Grandi Eventi. Calvi è indagato per la Commissione Grandi Rischi. Ha partecipato al collaudo ad Acerra, pur essendo esperto di edilizia antisismica.
Poi c’è quella che Paolo Berizzi, su Repubblica, ha definito la “parentopoli” di Bertolaso: da Carla Angioni, figlia del Generale Franco, a Marta Sica, figlia del vice segretario generale di Palazzo Chigi, la Protezione civile è diventata una catena di montaggio per assunzioni di figli di potenti. Al suo interno, anche figli di magistrati della Corte dei Conti. L’organo che dovrebbe fornire un parere consuntivo sull’operato del Dipartimento stesso.
Emergenze infinite
L’enorme numero di ordinanze ha creato, nella sostanza, un corpus giuridico parallelo. La gestione emergenziale è diventata prassi e ha interessato contesti di ogni genere: alluvioni e terremoti, traffico e grandi eventi, mondiali di nuoto e G8, opere pubbliche, gare d’appalto a chiamata, leggi su appalti e subappalti pubblici aggirate secondo la logica dell’emergenza. Il tutto, con una straordinaria costruzione mediatica che non fa che raccontare successi e miracoli. E se le cose vanno male, la colpa si fa ricadere sugli enti locali.
L’Aquila e la Campania
Per raccontare L’Aquila oggi bisogna parlare di 2.700 persone in alberghi e caserme da diciannove mesi, 26mila persone in autonoma sistemazione, di cui non si conosce l’ubicazione, tonnellate di macerie non rimosse, attività produttive che non ripartono, il centro storico in degrado progressivo, infiltrazioni mafiose, diciannove new town che diventano sempre più non-luoghi, privi di qualsiasi centro d’aggregazione, una situazione economica che vede l’aumento della cassa integrazione dell’800%.
All’Aquila, Bertolaso aveva detto che responsabilità pregresse gravavano sulla tragedia. Promise a un padre, che aveva perso il figlio sotto le macerie, che ne avrebbe parlato. Non ha mai rilasciato dichiarazioni in merito; in compenso, ospite ad Annozero mentre a Terzigno scoppia la rivolta, si produce in una difesa a oltranza del suo Dipartimento: dichiara, fra l’altro, di aver lasciato sul territorio campano cinque discariche perfettamente a norma. Solo che, come rileva il prof. Ortolani, ordinario di geologia della Federico II di Napoli, Bertolaso si dimentica di dire che le norme le ha riscritte lui stesso a colpi d’ordinanza. Così come ha messo in funzione il termovalorizzatore di Acerra, consentendo che venisse bruciato il tal quale, mettendo l’esercito ai cancelli e dichiarando il segreto di stato.
Vicenza Capitale dell’Emergenza
Ma non ci sono solo L’Aquila e la Campania: il sistema Bertolaso dilaga in tutta Italia. Una situazione emblematica è quella di Vicenza che, come scrive Manuele Bonaccorsi su Terra, oggi è la capitale dell’emergenza. Tre stati di calamità dichiarati sullo stesso territorio: uno fino al 30 giugno 2011, per un tifone del 2009. Uno di pochi giorni fa, per l’alluvione. E uno per l’emergenza traffico: il commissario straordinario nominato da Bertolaso è Silvano Vernizzi, amministratore delegato di Veneto Strade S.p.A., già commissario straordinario per il passante di Mestre (tratto autostradale che, al primo esodo estivo, collassa in 50 chilometri di coda fra Venezia Ovest e Cessalto). Il suo compito? Costruire la Pedemontana veneta, in un tragitto che potrebbe aggravare pesantemente il rischio idrogeologico sul territorio: per questo i cittadini del comitato locale faranno ricorso al Tar.
Compiti mancati
In questo quadro complesso, durante l’era Bertolaso i fondi per la previsione e prevenzione sono stati drasticamente tagliati; come più volte denunciato dalla FP CGIL non esistono i piani nazionali d’emergenza; il volontariato è stato depotenziato in una Consulta che ha sostituito il Comitato previsto per legge; il comitato paritetico Stato-Regioni-Comuni (istituito con la Legge 401/01) non è mai stato convocato. E non si è mai dato conto della ripartizione dei fondi di Protezione civile.
Antonio Crispi, della FP CGIL, chiede che il commissario uscente rendiconti le risorse spese per i grandi eventi e quelle impiegate per la salvaguardia del territorio: “Credo che Bertolaso lasci una Protezione civile che non si è attenuta ai dettami della legge”, afferma. E prosegue: “Una Protezione civile più militarizzata. Continueremo a chiedere che i Grandi eventi vengano separati dalla protezione civile e che si torni a fare messa in sicurezza del territorio. Quanto alle assunzioni e alla crescita del Dipartimento, ci sono sicuramente anche persone valide, ma Bertolaso lascia un’Italia diseguale anche in questo: le assunzioni ci sono state solo per i precari fidelizzati, mentre in altri settori della pubblica amministrazione i tagli sono all’ordine del giorno”.
Il Futuro
Salvo improbabili sorprese (nulla si può escludere, visto il potere che racchiude in sé la figura del Capo Dipartimento), a Guido Bertolaso succederà Franco Gabrielli, già ai servizi segreti e braccio destro di Bertolaso stesso nella gestione emergenziale dell’Aquila: Gabrielli era stato nominato Prefetto dell’Aquila proprio il 6 aprile. Dopo un ex medico, un ex poliziotto alla Protezione civile. Non è dato sapere se Gabrielli seguirà le linee del suo predecessore, ma difficilmente potrà disporre di altrettanto potere assoluto. Anche se con Bertolaso ha lavorato a braccetto e ha gestito in maniera quantomeno dubbia i controlli sugli appalti e subappalti all’Aquila. Finché un’ordinanza di Protezione civile ha cancellato, grazie al potere derogatorio, la legge sui subappalti non autorizzati. Così Gabrielli ha potuto preoccuparsi di un altro nemico: dopo la mafia, le “carriole” degli aquilani.
Quanto a Bertolaso, il suo destino resta un punto interrogativo. Tempo fa Berlusconi gli aveva promesso un ministero, come premio per il grande lavoro svolto. Il Sottosegretario nel frattempo ha dichiarato più volte che vorrebbe andare a far del bene in Africa, come “medico degli ultimi”. Voci di corridoio lo vorrebbero in rapida ascesa verso ruoli internazionali (la Protezione Civile Europea), ma Berlusconi non vuole perderlo. In ogni caso, Bertolaso può contare su un sistema perfettamente oliato, su un’immagine pressoché immacolata, nonostante gli avvisi di garanzia per Napoli (posizione archiviata, dopo lo stralcio del processo iniziato a Napoli e poi trasferito a Roma) e per il G8 della Maddalena, e nonostante lui stesso si aspetti “un piccolo avvisuccio di garanzia per quel che abbiamo fatto all’Aquila”: forse è un’altra battuta ironica, visto che lo afferma nel corso della solita riunione del 15 ottobre.
Il suo potere si è accresciuto negli anni. Bertolaso lascia una Protezione civile che non agisce più per sussidiarietà ma che opera per sostituzione, che gestisce le emergenze di ogni genere come un corpo parallelo alle forze dell’ordine, alle istituzioni, ai vigili del fuoco. Un corpo che, a parte pochi dissidenti, gli rimarrà fedele. Per ora, il grande capo che se ne va, aspetta il saluto del suo esercito in maglietta blu e si gode il regno tecnocratico, quasi teocratico, frutto della sua strategia. Una strategia che potrebbe portarlo ovunque.