“Abbiamo incrementato gli insegnanti di sostegno di 2700 unità”. Solo due mesi fa, il 2 settembre 2010, il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini rassicurava le famiglie con i figli disabili in vista dell’avvio dell’anno scolastico. Ma le cose non sono andate come promesso.
“Siamo costretti a tenere i nostri figli a casa, perché la riforma Gelmini ha ridotto drasticamente le ore di sostegno alla disabilità”. Parte da un disagio profondo la protesta di 30 genitori di alunni disabili che hanno deciso di intentare la prima azione collettiva (intrapresa con la collaborazione di Ledha, la Lega per i diritti delle persone con disabilità, e il sostegno dell’associazione Avvocati per niente) contro il ministero dell’Istruzione e gli Uffici scolastici locali, accusati di discriminare gli alunni disabili. “La scarsità delle risorse non può giustificare una lesione del diritto all’istruzione. Lo dice il diritto internazionale, ma anche la nostra Corte Costituzionale”.
L’iniziativa è stata illustrata nella sede del Comune di Milano, in occasione di un incontro pubblico sul diritto all’istruzione dei minori con disabilità al quale erano presenti alcune delle famiglie in causa. “Un Paese non può negare il diritto all’istruzione dicendo che non ci sono risorse”, dichiara Livio Neri di Avvocati per niente. “La Convenzione ONU del 2006 sui diritti dei disabili”, spiega l’avvocato, “afferma che il sostegno va garantito nella misura in cui è necessario”. E ancora: “Il tetto al numero di insegnanti di sostegno previsto dalla Finanziaria del 2007 è stato dichiarato incostituzionale perché – stabilisce la Consulta – lesivo di un diritto fondamentale”.
In Lombardia c’è un insegnante di sostegno ogni 2,34 alunni. Il dato, peggiorato rispetto all’anno scorso, mette la regione agli ultimi posti della classifica nazionale, seguita solo dal Lazio. La falce della riforma Gelmini ha messo in ginocchio moltissime famiglie, costringendole a tenere i figli a casa nelle ore di scuola non coperte dal sostegno. “La socialità in classe e l’affetto dei compagni è fondamentale”, assicura la pedagogista Sonia Mazzitelli, che avverte: “Emarginare il disabile nell’età scolare significa emarginarlo nel suo futuro di lavoratore e di cittadino”.
Nonostante le gravi difficoltà, c’è ancora scarsa consapevolezza dei propri diritti. Fino ad ora i ricorsi hanno riguardato singoli casi, che troppo spesso venivano risolti assegnando ore di sostegno sottratte ad altri. “Ecco il perché di un’azione collettiva”, spiega Marco Rasconi, disabile e presidente di Ledha Milano, “per impedire che una coperta troppo corta venga semplicemente tirata da una parte all’altra”. Tra i più restii a intraprendere vie legali sono gli stranieri, che preferiscono non aggiungere problemi a quelli già esistenti. “Un genitore straniero che aveva sottoscritto il ricorso”, racconta ancora l’avvocato Neri, “ha preferito fare marcia indietro”. In tal senso i ricorrenti si augurano che l’iniziativa contribuisca a una maggiore informazione, soprattutto per le famiglie che non possono difendersi o non sanno di poterlo fare. “Certo, nelle nostre condizioni”, sostiene Maria Spallino, uno dei genitori che hanno fatto ricorso, “dovremmo essere invitati a un tavolo. Invece siamo costretti a rivolgerci a un tribunale”.
“Le risorse ci sono”, protesta Patrizia Quartieri, consigliere comunale e promotrice dell’incontro di ieri. “Il Comune di Milano”, racconta la Quartieri, “concede indistintamente a tutti gli studenti un bonus libri che costa 5 milioni di euro l’anno, mentre la spesa per il sostegno alla disabilità è di 3,7 milioni”. E rilancia: “Senza ledere alcun diritto”, propone, “basterebbe ripensare l’allocazione di queste risorse”. La questione riguarda anche i fondi regionali, che per il novanta per cento finiscono alle scuole private, e soprattutto quelli stanziati a livello nazionale, dove, ricorda la Quartieri, “si preferisce spendere quaranta miliardi in armamenti”. Ne fa una questione di civiltà anche il costituzionalista Valerio Onida, candidato alle primarie del centrosinistra per le prossime comunali di Milano, che ha assistito all’incontro. “Il fatto che non si possa o non si voglia soddisfare i diritti fondamentali delle persone più deboli fa di questa una società non civile”. E precisa: “Siamo di fronte a uno di quei diritti che possono definirsi assoluti, e in quanto tali devono essere soddisfatti. Non può essere una questione di risorse: non ci sono scuse”.
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