“Spot elettorali realizzati con i soldi della sanità pubblica devastata dai tagli”, era l’accusa. Adesso è arrivata la sentenza: Agcom (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) ha bocciato gli spot pagati dalla sanità ligure in periodo elettorale perché trasmessi in violazione della par condicio: “Non erano essenziali per le funzioni dell’Ente”.
Un macigno nell’acqua dell’informazione ligure, che mette in discussione il rapporto tra politica targata centrosinistra, giornali e tv. Tutto parte da un’inchiesta del Fatto: la Asl 3 di Genova aveva varato una campagna pubblicitaria definita “istituzionale” da 654mila euro. Un record: duemila euro al giorno, mentre la Regione annunciava tagli alla Sanità. Denaro speso per centinaia di spot che puntellavano i bilanci degli organi di informazione. Gli spot, reclamizzando i servizi della Asl, mettevano in buona luce il governo della Regione Liguria. Di più: la pubblicità sulle quattro maggiori emittenti tv si svolgeva in pieno periodo elettorale. Anzi, come confermavano gli interessati, la trasmissione si era interrotta proprio nei giorni delle elezioni che videro la vittoria del centrosinistra di Claudio Burlando. La stessa giunta che aveva nominato i vertici della Asl “incriminata”.
Il dibattito elettorale si era concentrato sulla sanità. Convincere i cittadini dell’efficienza del servizio era essenziale. Così Luigi Morgillo (Pdl) accusò: “I liguri hanno visto gli spot che inondavano tv e giornali in campagna elettorale, magnificando l’operato della Regione. Pagati con denaro della sanità, mentre le Asl tagliano i servizi, dalla maternità alla psichiatria. Uno scandalo che si aggiunge al milione e mezzo in pubblicità cosiddetta istituzionale che la Regione per conto proprio ha finanziato fino a ridosso delle elezioni”.
Il Fatto si procurò le delibere della Asl 3. I documenti (a partire dalla delibera 1597 del 24 dicembre 2008, “Piano di comunicazione 2009”) confermavano che la Asl della direttrice Renata Canini aveva deliberato la spesa di 654mila euro per attività di comunicazione. Di questi almeno 359mila erano finiti a tv e giornali, dai maggiori alle pubblicazioni di quartiere.
La fetta maggiore (appunto 359mila euro) era così suddivisa: Primocanale 138.000, Publirama (Il Secolo XIX) 68.000, Telenord 36.000, City Gold 36.000, Telecity 12.000, Telegenova 12.000, Corriere Mercantile (La Stampa) 10.000, Mentelocale 8.500, Maxischermo Palazzo Ducale 6.000, Gazzettino Sampierdarenese 4.500, Televideo Rai 4.000, Corriere di Sestri 3.000, Genova Medica 3.000, Genova Dove 2.200, La Repubblica 1.800 euro. Non manca neppure il Giornale dei Berlusconi: 10.000 euro.
Il precedente direttore della Asl 3, Alessio Parodi, aveva dedicato alla comunicazione 15.000 euro. Un caso? In Emilia un’azienda di dimensioni analoghe dichiarava di aver speso per spot 50.000 euro in dieci anni e di produrre in proprio i documenti da fornire a costo zero alla stampa. Stesse risposte arrivarono da Piemonte e Toscana.
Canini confermò: “È una spesa permessa dalla legge Frattini del 2002”. Ma perché pagare, visto che altrove alle Asl non costa nulla? “Volevamo essere più efficaci e abbiamo fatto contratti con tutti i giornali”. Non era meglio spendere per i malati? “Noi destiniamo molto ai servizi. Ma la comunicazione è essenziale”. E il divieto previsto dalla par condicio? “Non sono d’accordo”, tagliò corto Canini. Perché gli spot sono finiti con le elezioni? “È un caso”.
Caso chiuso, almeno per la Regione e per Canini. Adesso, però, arriva la pronuncia dell’Agcom. La Asl, si legge negli atti, ha sostenuto che “il divieto non riguarda tutta l’informazione istituzionale, ma solo quella che si traduce in propaganda elettorale”. Ancora: le informazioni degli spot sono “essenziali” per i fini “istituzionali”. Infine: “Canini non era candidata”.
Agcom non condivide: “Il divieto della legge sulla par condicio vale per ciascuna consultazione elettorale, dalla convocazione dei comizi fino alla chiusura del voto”. Non solo: “Manca il requisito dell’impersonalità, perché Canini compare negli spot… Una più attenta programmazione dell’attività di comunicazione avrebbe potuto evitare la coincidenza con il periodo elettorale”.
Infine ecco la decisione: Agcom ordina alla Asl di pubblicare sul suo sito un messaggio che indichi “la non corrispondenza dell’attività di comunicazione svolta sulle emittenti Primocanale, Telecity, Telegenova e Tele Nord (le principali tv liguri, ndr) alla legge del febbraio 2000 in quanto carente dei requisiti dell’impersonalità e dell’indispensabilità per l’efficace assolvimento delle funzioni dell’Ente”. La Asl 3, sostiene l’Agcom, “non ha nemmeno presentato appello”.
Per l’informazione ligure è la punta di un iceberg. La pubblicità istituzionale della Regione è fondamentale per i bilanci di tv e giornali. La Asl 3 è una piccola fetta. “Come ha ammesso la Regione, nel solo 2008 la giunta Burlando stanziò 1,5 milioni per pubblicità e inserti, soldi che a pioggia finirono a giornali ed emittenti”, spiega Christian Abbondanza della Casa della Legalità. Aggiunge il consigliere regionale Morgillo: “E dal conto restano fuori le pubblicità degli assessorati e delle società controllate dalla Regione”. Abbondanza accusa: “Esiste il dubbio che si tratti di propaganda politica pagata con soldi pubblici. Potevano fare ospedali, scuole o centri per anziani”. La Regione si è sempre difesa: “È essenziale informare i cittadini sui servizi”. L’opposizione, però, replica: “Perché negli spot compare spesso Burlando?”.
Secondo Abbondanza non è una questione solo economica: “Gli spot potrebbero rivelarsi un’inopportuna ingerenza della Regione di Burlando nella stampa. C’è un rischio per la libertà. Chi può garantirci che l’informazione non tratti con riguardo l’ente che contribuisce ai suoi bilanci? Che questa valanga di pubblicità non condizioni assunzioni e promozioni, emarginando cronisti non graditi?”. Attilio Lugli, presidente dell’Ordine dei giornalisti ligure, aveva promesso: “Verificheremo”. Dopo la pronuncia di Agcom, la parola adesso spetta all’Ordine.