L’incubo per i sei ragazzi sulla gru è finito: sono scesi dopo 17 giorni in cui a Brescia é successo davvero di tutto: cariche della Polizia, scontri di piazza e proteste per una sanatoria che solo in Lombardia coinvolge decine di migliaia di immigrati. Loro hanno ottenuto la possibilità di rimanere nel nostro Paese. Non saranno espulsi come temevano e come è accaduto a dodici egiziani portati in un centro di identificazione, dopo lo sgombero del presidio lunedì scorso sotto la gru. Avevano chiesto una moratoria per tutti gli immigrati che hanno presentato la domanda di sanatoria e, invece, dovranno accontentarsi dell’opera di un collegio difensivo composto da quattro avvocati (messi a disposizione da Cgl, Cisl e dall’associazione Diritti per Tutti) e, se tutto andrà bene, di un permesso di soggiorno concesso per motivi di giustizia. I quattro saranno liberi finché il procedimento a loro carico non sarà concluso, non saranno rimpatriati e non saranno condotti in un Cie. Questo è ciò che la mediazione della Camera del Lavoro di Brescia ha potuto ottenere: non promesse o forzature alla legge Bossi-Fini, ma diritti: perché Arun, Jimmy, Rachid e Sajad stanno ancora aspettando l’esito della domanda di sanatoria e non potrebbero essere comunque espulsi.
Ilfattoquotidiano.it ha incontrato Arun e Jimmy, i due ragazzi che hanno guidato i 17 giorni di protesta, nella sede di radio Onda d’Urto, il primo mezzo di comunicazione a dare l’annuncio della loro discesa dalla gru: “Ho deciso di salire su quel braccio meccanico – dice Arun – perché in Italia ho perso tutto. Ho perso il lavoro, ho perso i soldi e la possibilità di fare quello che mi ero proposto: mantenere la mia famiglia. Sono venuto a Brescia, quando é morto mio padre e mi sono trovato nella necessità di dover provvedere a mia madre gravemente ammalata e alle mie sorelle, più piccole di me”.
“Non ho mai avuto paura durante questi lunghi e interminabili giorni – continua Arun – i primi quattro sono stati davvero terribili: su quella gru eravamo in nove persone. Faceva freddo, pioveva a diritto, eravamo senza riparo e non avevamo neppure lo spazio per stendere le gambe. In tutti questi giorni avrò dormito sì e no due ore per notte. Tra di noi ci sono stati momenti che non dimenticherò mai: una forte solidarietà di gruppo e un’amicizia che niente e nessuno potrà mai cancellare. Io e Jimmy, parlavamo tanto, abbiamo anche scherzato. E com’é bella Brescia vista dall’alto! Io dicevo che quella gru era il nostro attico. Un attico sospeso a 35 metri d’altezza”.
Ma ci sono stati momenti davvero duri come quando Arun e i suoi amici hanno assistito allo sgombero del presidio e all’arresto dei loro amici, italiani ed egiziani: “Per me sono come fratelli, non dimenticherò mai la solidarietà di tanti italiani, di tutti quelli che per permetterci di avere una risposta dalle istituzioni o anche solo di poter mangiare, hanno sfidato i divieti della Questura e le cariche della Polizia”.
Dalle istituzioni e dalla politica Arun e Jimmy attendono delle risposte : “Loro ci hanno promesso che se fossimo scesi avrebbero dato vita a un tavolo interistituzionale, con il sindaco, il prefetto, il questore e i nostri avvocati per vedere di risolvere i problemi creati da questa legge vergogna, da questa sanatoria truffa”.
Gli immigrati solo nella città di Brescia sono almeno 40.000 e 160.000 in tutta la provincia. “Gente privata di tutto”, dice Jimmy. Senza garanzie minime sul lavoro – e io lo so perché sono un operaio metalmeccanico costretto a lavorare in nero – senza diritto di voto e costretti alla clandestinità e allo sfruttamento. I politici devono sapere una cosa: se non daranno delle risposte concrete, questa città é piena di gru e gli immigrati sono pronti a riprendere la lotta”. Arun spiega che i suoi famigliari non sapevano nulla del suo gesto e che non voleva dare un dispiacere a sua madre: “E’ molto malata e sarebbe morta di dispiacere a sapermi lassù. L’ho sentita durante i primi cinque giorni, quando avevo ancora un poco di batteria nel cellulare e le ho detto che stavamo manifestando pacificamente per ottenere il diritto a tornare nel nostro Paese”. E’ da sei anni che Arun non può lasciare l’Italia perché non ha ancora ottenuto il permesso di soggiorno. “Ma vi rendete conto cosa significa non poter rientrare nel proprio Paese? Non avere la possibilità di rientrare a casa quando muore un fratello, o un amico. Ma cos’é questa? E’ forse umanità? Lo chiedo, a Rolfi, il vicesindaco della città in cui abito anch’io…”
Nemmeno Jimmy se l’è sentita di raccontare ai suoi dell’occupazione della gru: “Non potevo raccontare di una protesta tanto estrema. Ho pure pensato che a un certo punto tanto valeva farla finita e buttarsi giù. Almeno, con questo gesto i nostri fratelli avrebbero ottenuto il diritto alla sanatoria. Sono stanco ma al tempo stesso determinato e vi dico che non molleremo, finché non vedremo rispettati i nostri diritti”.
di Leonardo Piccini