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Dalle biomasse ai rifiuti illeciti
Sette arrestati. Indaga la Dda di Milano

Le biomasse venivano mescolate con materiali contenenti metalli pesanti. L'azienda aveva avuto incentivi statali: si ipotizza la truffa ai danni dello Stato. La Dda di Milano indaga sulla presunta partecipazione della criminalità organizzata
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Un giro d’affari da 30 milioni di euro in due anni, un business basato sullo smaltimento di rifiuti illegali, la produzione di energia e truffe ai danni dello Stato. È quanto ha scoperto l’operazione “Dirty Energy” del Corpo Forestale che ha portato all’arresto di sette persone, tra cui Giorgio Radice, presidente della Riso Scotti Energia, società che opera nell’ambito della produzione di energia elettrica e termica da fonti rinnovabili. Al momento gli indagati dai pm Roberto Valli, Luisa Rossi e Paolo Mazza della procura di Pavia sono dodici, mentre sono stati sequestrasti un impianto di co-incenerimento e 46 automezzi. L’indagine è passata alla direzione distrettuale antimafia di Milano, coordinata da Ilda Bocassini, sulla base di innovazioni normative del piano straordinario contro le mafie.

L’impianto della Riso Scotti Energia produceva energia elettrica e termica a partire dalle biomasse vegetali, “per ridurre al minimo l’impatto ambientale e il consumo di fonti energetiche tradizionali nel pieno rispetto delle esigenze di un progresso biocompatibile”, è scritto sul sito internet dell’azienda. Tuttavia le biomasse venivano mescolate con altri rifiuti di varia natura (plastiche, imballaggi, fanghi di depurazione di acque reflue urbane e industriali) che per le loro caratteristiche chimico-fisiche superavano i limiti massimi di concentrazione dei metalli pesanti previsti dalle autorizzazioni. Tra i materiali combustibili impiegati c’era anche la lolla di riso miscelata con polveri provenienti dall’abbattimento dei fumi, fanghi, terre dello spazzamento strade e altri rifiuti consegnati da ditte esterne. Dopo questa miscela la lolla diventava un rifiuto speciale, anche pericoloso, che non poteva più essere destinato alla produzione di energia pulita, ma doveva essere smaltito in impianti esterni autorizzati.
Per aggirare la legge venivano usati falsi certificati d’analisi, laboratori compiacenti e la miscelazione con rifiuti prodotti nell’impianto, così da celare e alterare le reali caratteristiche dei combustibili destinati ad alimentare la centrale.

Le miscele venivano anche vendute illecitamente ad altri impianti di termovalorizzazione, a industrie di fabbricazione di pannelli in legno e ad aziende agricole e allevamenti zootecnici (pollame e suini) che la utilizzavano per le lettiere degli animali. Oltre al traffico illecito di rifiuti e alla redazione di certificati di analisi falsi si ipotizza una frode in pubbliche forniture e truffa ai danni dello Stato, visto che tali rifiuti non potevano essere utilizzati in un impianto destinato alla produzione di energia da fonti rinnovabili che ha goduto di pubbliche sovvenzioni.

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