Sette anni fa, sul sito lavoce.info si è svolto un acceso dibattito tra diversi economisti. Motivo del contendere niente di meno che la fondazione di un nuovo istituto di ricerca, anzi del primo istituto di ricerca finalmente eccellente, in mezzo alla supposta mediocrità nostrana. Alesina e Giavazzi suonarono la carica sostenendo che riversare più fondi in questo sistema è come buttarli al vento…” e che l’unico modo per garantire “…rigore, controlli ed incentivi…è muoversi all’esterno dell’università italiana di oggi. Vittorio Grilli ci sta provando con l’IIT: è per questo che cerchiamo di aiutarlo mentre tutti i conservatori lo criticano”. Vittorio Grilli, anche lui economista formatosi alla Bocconi ed in America, è dunque diventato Presidente del nuovo Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) nel 2005, carica che ha conservato fino ad oggi, insieme a quella di direttore generale del tesoro al  Ministero dell’Economia da cui l’IIT dipende. L’IIT è stato dunque fondato con una struttura giuridica completamente diversa rispetto agli altri enti di ricerca italiana, così come diversa è la sua dote finanziaria: 100 milioni di euro all’anno dal 2005 al 2014, ovvero una spesa enorme visti gli attuali chiari di Luna. Infatti questa stessa cifra, 100 milioni di euro all’anno, è approssimativamente quanto viene speso, all’anno, per finanziare l’intera ricerca scientifica italiana con i progetti di rilevanza nazionale (PRIN) su tutto lo scibile umano. Come direttore scientifico è stato nominato, nel dicembre 2005, Roberto Cingolani già Direttore del Laboratorio Nazionale di Nanotecnologia (NNL) di Lecce.

Altri economisti hanno avuto delle posizioni meno massimaliste del duo Alesina-Giavazzi. Ad esempio, Jappelli e Pagano hanno proposto che i fondi assegnati per l’IIT fossero invece destinati all’università per assumere nuovi professori sotto il controllo di un comitato scientifico internazionale. Luigi Spaventa scrive: “Prendo nota piuttosto del leit motiv di Alesina e Giavazzi: l’università italiana è irredimibile e deve essere abbandonata al suo destino di squallore; qualsiasi intervento all’interno di essa sarebbe un vano spreco”.

L’effetto di questo dibattito è stato dunque quello di spianare la strada alla fondazione di un nuovo istituto nato con (Legge 326/2003) “lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico del paese e l’alta formazione tecnologica, favorendo così lo sviluppo del sistema produttivo nazionale”. Belle intenzioni. Tuttavia in questa selva d’articoli non si trova mai una risposta alle seguenti domande: cosa dovrebbe fare il nuovo istituto? Quale ricerca, su quali temi, perché? Perché non c’è stata una selezione nazionale pubblica dei gruppi e delle tematiche di ricerca, in modo da scegliere i migliori? Da chi sono stati decisi i vertici dell’istituto e con quali motivazioni scientifiche? Ci si è concentrati piuttosto nel costituire un istituto di ricerca con un’architettura completamente diversa non solo da quella di altri enti italiani, ma anche della gran parte dei centri di ricerca del mondo compreso il glorioso Massachusetts Institute of Technology (MIT). Ad esempio non c’è l’ingombrante e polveroso personale permanente come invece succede nelle obsolete istituzioni come, appunto, il  MIT. Inoltre si è pensato bene di mettere nel consiglio di amministrazione lo stesso Alberto Alesina e vari rappresentanti del mondo confindustriale, mentre le risorse sono assicurate dallo Stato. Le industrie per il momento non hanno partecipato al suo finanziamento: una situazione piuttosto tipica per il nostro paese, di cui abbiamo già discusso in questo blog.

Che la situazione fosse e sia piuttosto nebulosa è testimoniato da diversi fatti. Ad esempio Marco Cattaneo, Direttore de “Le Scienze”, ha messo in luce vari aspetto poco chiari, dall’impatto scientifico, alla valutazione ed al finanziamento dell’IIT: “E perché lì e soltanto lì si vanno a investire montagne di fondi quando l’Università, il CNR, l’ENEA e tutti gli altri enti di ricerca sono al soffocamento. Perché l’IIT non deve sottostare alle regole di trasparenza e di valutazione che si brandiscono come mannaie all’indirizzo di tutti gli altri?”

In un recente articolo su l’Espresso viene denunciato che la maggior parte del finanziamento accumulato negli anni non è stato speso e che si è formato un bel tesoretto: per i comuni mortali i fondi di ricerca (nazionali ed internazionali) hanno una scadenza oltre la quale, se non sono stati spesi, devono essere restituiti. Ma per le “eccellenze” nostrane le regole sono ovviamente altre. Critiche pesanti sono poi giunte dalla prestigiosa rivista Science che ha recentemente dedicato un ampio articolo all’IIT nel quale vengono riportate le dichiarazioni di alcuni scienziati di prestigio che erano stati chiamati a progettare l’istituto e i cui suggerimenti sono stati completamente ignorati. La loro impressione era quella di essere stati usati come specchietto per le allodole, per coprire scelte arbitrarie. Nell’articolo si parla inoltre di un fantomatico rapporto, commissionato dal ministro dell’economia Tommaso Padoa-Schioppa, che indicava forti criticità nell’attività dell’IIT. Questo rapporto non è mai stato reso pubblico.

Per questo motivo poco tempo fa i deputati Bachelet, Tocci e Ghizzoni (PD) hanno fatto una interrogazione parlamentare per sapere “quando e con quale modalità si intenda rendere pubblico il rapporto indipendente commissionato nel 2007 dal Ministro dell’economia e delle finanze Tommaso Padoa Schioppa, affinché Parlamento e contribuenti possano autonomamente valutare se la prosecuzione e anzi l’aumento straordinario dei finanziamenti pubblici stabilito con il decreto-legge sia o meno congruo con il contenuto di quel rapporto, allora fresco di stampa“. Un punto chiave nelle discussioni sulla valutazione è che questa sia effettuata da persone competenti e realmente indipendenti. Nell’interrogazione si nota inoltre il conflitto d’interessi che coinvolge sia Grilli, come presidente dell’IIT e direttore generale del Tesoro che alloca le risorse all’IIT, che Cingolani, direttore scientifico IIT e fondatore del laboratorio NNL di Lecce che beneficia di collaborazioni con l’IIT. Ad esempio, quando Cingolani era contemporaneamente direttore scientifico dell’IIT e responsabile del CNR-INFM, l’IIT ha finanziato con 3.5 milioni di euro proprio il laboratorio CNR-INFM NNL di Lecce. Nulla di penalmente rilevante, ma chissà se nell’obsoleto MIT una gestione del genere sarebbe stata accettata senza problemi.

Il Governo non  risponde in maniera soddisfacente a questi appunti. In particolare si scrive che “Con riferimento ai risultati dell’attività svolta dal Comitato di Valutazione 2007, si fa presente  che non risulta pervenuta copia del relativo rapporto né al Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento del Tesoro, né all’istituto in questione”. Giovanni Bachelet, replicando “si dichiara totalmente insoddisfatto. Rileva come l’esistenza del rapporto commissionato nel 2007 dal Ministro pro tempore Padoa Schioppa in materia di valutazione dell’IIT sia stata confermata dagli estensori stessi del rapporto, da lui interpellati, nonché dallo stesso Professor Padoa Schioppa. … Quindi rileva che ci si trova in una situazione paradossale in cui gli estensori dichiarano di averlo consegnato e che solo il Governo ha l’autorità per divulgarlo mentre l’Esecutivo dichiara di non possederlo. Osserva che è difficile capire cosa significhi questa risposta cioè se essa voglia sottolineare che nella burocrazia si perdono documenti rilevanti oppure se si voglia operare una burla nei confronti del deputato interrogante.”

Sui risultati scientifici la situazione ancora non è affatto chiara. A prescindere dal rapporto perduto nei meandri della burocrazia (?) di  tanto in tanto leggiamo qualche articolo su qualche progetto targato IIT (ad esempio il robot I-CUBE ) in cui non si specifica quale sia il contributo reale ed originale effettivamente svolto dall’istituto (visto che il progetto del robot esisteva anche prima dell’IIT). L’IIT infatti, da qualche tempo, distribuisce una parte dei suoi ingenti fondi (tramite bandi pubblici – progetti SEED) per finanziare progetti universitari o di altri enti di ricerca italiani,  attraverso un processo di valutazione per nulla limpido (molti progetti non hanno ricevuto nessun tipo di giudizio). Ma non era tutta da buttare via la ricerca pubblica? Se alla fine l’IIT agisce come un’agenzia di finanziamento, non si poteva direttamente creare un’agenzia di finanziamento seria, basata su procedure di peer-review trasparenti, senza mischiare la produzione della ricerca con l’assegnazione dei finanziamenti? L’obsoleto MIT non ha un ruolo d’agenzia di finanziamento, che invece negli Stati Uniti è svolto dalla National Science Foundation.

Negli articoli sui quotidiani che decantano le attività dell’IIT ci sono spesso affermazioni inesatte soprattutto rispetto alla situazione di altri enti pubblici. Ad esempio si dichiara che nell’IIT il rapporto tra ricercatori e personale amministrativo è 8 a 2 mentre per il CNR è 1 a 1. Come replicato dal presidente del CNR Luciano Maiani, questa affermazione è falsa in quanto il personale amministrativo costituisce il 12% del totale ed il resto sono ricercatori e tecnologi (figure pertinenti alla ricerca, pari al 60% del totale) e tecnici (28%). Maiani nota anche che il CNR ottiene più del 30% del budget in aggiunta alla dotazione del ministero mentre l’IIT solo il 10%. Infine, nella classifica di Scimago delle università e degli istituti di ricerca, che considera i dati per il periodo 2004-2008 (e dunque preliminari per l’IIT), troviamo che l’IIT ha una produzione molto limitata, per lo più in collaborazione esterna, di 216 documenti mentre il CNR ne ha 31,164. Paragonare un grande ente come il CNR all’IIT non ha comunque molto senso: e allora perché si continua a gettare discredito sul CNR per glorificare l’IIT? Forse per giustificare l’intera operazione dell’IIT? L’IIT ha il 10% del personale e solo il 4% delle pubblicazioni del CNR (dati 2009) e finanzia varie attività che proprio al CNR si svolgono. Questa situazione avvalora l’opinione comune che nell’IIT ci siano molte risorse ma poche idee e che il CNR, sia pur con tutti i suoi limiti, sia molto più produttivo (anche pro capite) dell’IIT.

Insomma l’idea che non funziona è proprio quella di voler fare “il nuovo” a discapito del “vecchio”,  l’“eccellente” lasciando morire tutto il resto. L’obsoleto MIT esiste perché è inserito in un sistema universitario e di ricerca molto articolato e ben strutturato. Non ci si venga comunque a raccontare la favola sul MIT italiano fatto di “rigore, controlli ed incentivi” perché, come anche spesso accade, si unisce al danno la beffa soprattutto verso i tanti che lavorano nelle università e nei centri di ricerca pubblici e che sono stimati e rispettati nel mondo. Comunque è il caso di dirlo e ribadirlo: viva la libertà, viva la California!

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