Se le notizie diffuse nelle ultime ore dovessero risultare confermate, significherebbe che, alla fine, in materia di regolamentazione delle attività di fornitura di servizi media audiovisivi (web radio e web tv) ha prevalso il buon senso.
L’Agcom, infatti, sembrerebbe aver rinunciato al proprio originario proposito di seguire il percorso segnato dal Decreto Romani che avrebbe, inesorabilmente, condotto a una pesante burocratizzazione dell’attività di web radio e tv, rendendola, peraltro, tanto onerosa da non risultare accessibile ai tanti cittadini che oggi utilizzano le nuove tecnologie della comunicazione per fare informazione libera e indipendente e raccontare storie e notizie che i media mainstream non possono o non vogliono – salvo poche eccezioni – raccontare.
Stando ai primi lanci di agenzia, non sarà necessario richiedere alcuna autorizzazione per gestire un’attività di web radio o web tv senza superare la soglia di 100 mila euro, non è ancora chiaro se di fatturato o di ricavi. Soprattutto, non sarà necessario richiedere un’autorizzazione, ma basterà inviare una denuncia di inizio attività.
Se fosse così si tratterebbe di un adempimento certamente alla portata del “piccolo imprenditore web” che ha deciso di investire tempo e risorse in un’attività, evidentemente, ispirata ad un certo modello di business.
Condivisibile l’invito a leggere il testo dei due regolamenti del senatore Vincenzo Vita che esprime soddisfazione per il risultato raggiunto, ricordando come lo stesso sia stato frutto di un’accesa battaglia sia dentro che fuori dall’Autorità garante.
Proprio la circostanza che sia stata necessaria un’autentica sollevazione del “popolo del web” e le dimissioni dall’incarico di uno dei due commissari dell’Agcom per arrivare – se confermato – al risultato odierno, rappresenta l’unica nota stonata della giornata.
Oggi, infatti, ci si trova a dirsi soddisfatti e, quasi, a gioire per una decisione dell’Autorità garante che rappresenta semplicemente la più ovvia e naturale soluzione del problema. Stiamo festeggiando la raggiunta quasi normalitá in un settore nevralgico per l’esercizio da parte di tutti i cittadini di una libertá fondamentale e costituzionalmente garantita quale quella di manifestazione del pensiero.
Per quanto tempo ancora, toccherà alla societá civile invitare il Palazzo all’utilizzo del buon senso e a preoccuparsi di conoscere il contesto deontologico prima di deliberare?
Se il popolo della Rete fosse rimasto in silenzio, se non fosse riuscito a coinvolgere nella sua battaglia di libertà pochi soggetti illuminati dentro il Palazzo, se l’Agcom avesse seguito le orme del ministro Romani, oggi saremmo forse costretti a prendere atto di essere il primo Paese al mondo nel quale un cittadino prima di dire la sua attraverso le nuove tecnologie, avrebbe dovuto chiedere permesso allo Stato, dotandosi di una speciale autorizzazione e pagando tremila euro.
C’è da augurarsi che questa vicenda sia da monito per tutti e che valga a scongiurare il rischio che altre analoghe iniziative, con lo stesso carico liberticida, domani vengano assunte da una classe politica che, salvo rare eccezioni, sembra non aver ancora compreso l’importanza del libero utilizzo di internet. Esso rappresenta oggi un diritto fondamentale di ogni cittadino. Un diritto che non puó e non deve essere subordinato a nessuna forma di autorizzazione, specie se – come in questo caso – la burocratizzazione dell’utilizzo della Rete non è giustificata da un reale interesse per la collettività.