Primarie per tutti i candidati parlamentari del Partito Democratico e limite di due mandati consecutivi. Quando lo proposero Giuseppe Civati e Matteo Renzi furono coperti di insulti dai vertici del Pd. Ma l’idea si è insinuata nella base, è maturata e adesso da Milano parte la rottamazione: un gruppo di oltre centotrenta tra sindaci e responsabili locali del partito hanno messo nero su bianco la proposta e la voteranno alla direzione provinciale e regionale. Dove sarà approvata facilmente, perché deputati e senatori sono in minoranza e raramente partecipano alle riunioni.
Al provinciale milanese, ad esempio, dei circa 150 esponenti territoriali almeno ottanta hanno firmato la petizione e i parlamentari che potrebbero votare contro sono meno di quaranta. Dalla Lombardia l’iniziativa si è già diffusa in Liguria ed Emilia Romagna. In Toscana le primarie per i parlamentari sono già previste nello statuto regionale del partito, che però la direzione nazionale non ha mai approvato, mentre in Friuli Venezia Giulia un ordine del giorno impegna i vertici del Pd locali a introdurre le primarie per i candidati di Montecitorio e Palazzo Madama entro i 15 giorni successivi dallo scioglimento delle Camere. Anche in Puglia il segretario regionale Sergio Blasi è pronto ad avviare il percorso.
Obiettivo condiviso è quello di non permettere più alla direzione nazionale di preparare le liste a tavolino e imporle. “Si sta diffondendo una coscienza critica nel partito stesso”, commenta Civati, tra i primi firmatari della petizione lombarda. “Tutti devono sottoporsi alle primarie. Quando lo proponemmo io e Renzi – ricorda – ci diedero degli stronzi, ora però si può realizzare e l’importante è questo: che si avvii il meccanismo, poi se il limite dei mandati viene fissato a due o tre non importa, ciò che conta è il principio”.
Principio che preoccupa non poco Roma. Tanto che lunedì scorso dagli uffici di Pierluigi Bersani sono partite due telefonate dirette a Maurizio Martina e Roberto Cornelli, rispettivamente segretario regionale e provinciale del Pd, per suggerire loro di non sostenere in alcun modo l’iniziativa. E così finora è stato. “Quando sarà il momento ne discuteremo”, ribatte Martina. Insistiamo: che ne pensa? “Sicuramente bisognerà individuare un meccanismo che garantisca una larga partecipazione alla costruzione delle liste, ma non adesso”. Cornelli, invece, pubblicamente ha parlato di una “idea legittima” ma ieri durante l’assemblea provinciale ha distrutto l’iniziativa. “È uno strumento populista e non ci perdo neanche dieci secondi”. A chi gli ha ricordato che da solo non decide niente, è sbottato: “Le liste le stabilisce il partito nazionale e a Milano non possiamo andare contro il partito nazionale”. Esattamente l’opposto di quello previsto nella petizione: avanti a prescindere. Cornelli ha ripiegato proponendo di “attivare una commissione che elabori una proposta da inviare a Roma”. Ma non basta e non basterà.
Martina e Cornelli sono considerati responsabili, con altri dirigenti locali, della sconfitta di Stefano Boeri alle primarie di coalizione per il candidato sindaco di Milano vinte da Giuliano Pisapia. E che le loro dimissioni siano state respinte ha ulteriormente inasprito gli animi. “Siamo ancora lì a elaborare il lutto”, dichiara uno dei giovani emergenti cittadini del Pd, Pietro Bussolati. “Serve vitalità, dobbiamo svegliare il partito e tutti noi ci aspettiamo che i leader prendano decisioni nette e precise a prescindere da Roma” perché “Milano deve uscire dall’angolo e serve coraggio”. Da qui “deve partire il segnale di rinnovamento per tutta Italia e per il Pd”, aggiunge Civati. Fiduciosa che il progetto si realizzi Debora Serracchiani. L’eurodeputata è anche segretario regionale del partito in Friuli Venezia Giulia. “Nel Pd ci sono più forze fresche di quel che si vede in Tv o si legge sui giornali”, dice. “È per questo che, anche se ora sembra dura, io ho fiducia. Da noi si discute e si litiga ma, a parte qualcuno che ha sbagliato strada dall’inizio, il Partito democratico non è in discussione, anzi è ben vivo”.
In discussione semmai sono gli attuali vertici. Che potrebbero essere azzerati. Se venisse introdotto il limite dei due mandati, pochi degli attuali parlamentari potrebbero candidarsi. Nella sola Lombardia ben 25 rimarrebbero esclusi. Barbara Pollastrini, Gerardo D’Ambrosio, Roberto Zaccaria, Enrico Letta, tra gli altri. “La rottamazione ha inizio e a volerla è la base”, Civati docet.
Da Il Fatto Quotidiano del 4 dicembre