I ricercatori italiani all’estero di VIA-Academy pubblicano una tabella e la Repubblica si precipita ad incensarne le virtù, ipotizzando che col tempo migliorerà: ma non è buon vino e, nel mio piccolo, nutro seri dubbi che ciò potrà mai accadere. Poi, il presidente del Cnr, vedendosi collocato al secondo posto dopo l’Università di Bologna, si sente in dovere di rilasciare una dichiarazione che trasuda di soddisfazione. Ma è vera gloria?
Gli scienziati del “VIA” scelgono per la loro classifica il parametro di un tale Mr. Hirsch o “indice-H” che è un modo di tenere conto sia del numero delle pubblicazioni che di quello delle citazioni. Gli illustri colleghi hanno messo in fila gli Istituti (università e centri di ricerca pubblici e privati) sulla base della somma dei valori degli “indici-H” dei TIS (“Top Italian Scientists”) loro affiliati. Ma i raffronti dovrebbero essere fatti su basi omogenee: confrontare tout court Istituti con finalità e composizioni strutturalmente tanto diverse è un arbitrio. A prima vista gli estensori, un tentativo di “normalizzare”, ossia di mettere in scala i loro dati, lo fanno, rapportandoli ai numeri dei TIS che loro stessi hanno identificato. Peccato però che tutti i numeri della colonna finale della loro tabella oscillino davvero poco intorno al valore medio (che è 42) perché lo scarto relativo è solo un misero 4%. Quindi abbiamo scoperto che, in tutte le 50 Istituzioni italiane considerate, questi TIS sono tutti Einstein! Ben piccolo risultato.
Senza volere respingere subito il criterio di questo “indice H cumulativo” che ci viene proposto per classificare il rango scientifico degli Atenei, sembrerebbe più opportuno rapportare i dati rispetto a parametri quali i finanziamenti per ricerca o il costo complessivo del personale. Per fare in fretta si può provare a normalizzare, per le università pubbliche, rispetto alla consistenza del personale docente in organico fornita sul sito del MIUR.
A prima vista la classifica del “VIA” prende un aspetto più ragionevole, ma l’entusiasmo dura poco. Con uno scatto di reni, al primo posto schizza la Normale di Pisa che, con i suoi soli 102 professori, presenta un valore del rapporto pari a ben 4,7 mentre Bologna cede la testa del gruppo scendendo ad un pur dignitoso fattore 1,02. Certo è superata da Ferrara (1,6), ma almeno mantiene a distanza lo storico contendente della famosa Secchia (0,6). Roma La Sapienza che, secondo i nostri colleghi all’estero, occuperebbe il 5° posto, con un rapporto pari a 0,4 precipita a picco facendosi superare da molti contendenti: con un moto di sollievo posso constatare che viene superata di slancio anche dalla “mia” Tor Vergata (0,65).
E il Cnr? Per trovare i dati sul personale faccio un po’ di Googling nel loro sito e, pazienza, mi devo accontentare dei dati del 2004: persino basandomi solo sui ricercatori a tempo indeterminato (magnanimamente trascuro il resto del personale tecnico) trovo un deludente 0,64.
Tutto sembrerebbe tornare abbastanza a posto: gli Atenei del Sud, con la classifica riveduta e corretta, si piazzano malissimo (Bossi ringrazia). Vedo uno 0,10 e poi uno 0,13: insomma alle latitudini meridionali fioccano tante accademiche insufficienze. Una sede mi strappa per la disperazione uno 0,18 e la mando via con una firma veloce sul libretto e uno sguardo rattristato di riprovazione misto a senso di sconfitta.
Ma poi, cosa vedo? Il Politecnico di Milano, onusto di illustri colleghi ingegneri, mi prende soltanto uno 0,12? E il Politecnico di Torino? Quello nemmeno si presenta all’esame. Non ne ha il coraggio, troppo impreparato: secondo i “VIA” non è neppure degno di menzione (non presente tra le prime 50 Istituzioni)! Peggio dei meridionali (Cota non ringrazia).
Un po’ scosso per il trattamento riservato a queste antiche Scuole napoleoniche, decido di rapportare al valore della prima Istituzione, che è diventata senza che ne fossi sorpreso la Normale di Pisa, a cui assegno convenzionalmente un bel “30” (e lode se volete). Allora, mi chiedo, la seconda in graduatoria quanto prenderebbe? La seconda è la storica Bologna che prende proprio pochino (7, sì proprio così, sette trentesimi, bocciata!) e, poi, a seguire la Statale di Milano (poco più di 6, sempre in trentesimi, non confondiamoci… la candidata si ripresenti al prossimo appello!) e poi il galileiano Ateneo di Padova, a braccetto con quello di Pavia, e così via, giù giù a precipitare nel baratro della mediocrità.
Cado davvero in preda allo sconforto! Questa non è una classifica, ma una vera ecatombe di atenei. Sono davvero tutti così scarsi come ci dicono i colleghi del VIA? Suvvia… Avanti un altro, proviamo con l’indice “I”, e se non va, con quello “J”, “K”… prima o poi uno funzionerà!
La verità è che i sopravvalutati indici bibliometrici (adatti alle Scienze Naturali), dovrebbero essere usati con cautela, impiegandoli con sospetto e solo dove hanno un po’ di senso. Le Università non sono tutte uguali e fare un ranking del genere non aiuta alla comprensione del livello qualitativo del sistema accademico italiano: è solo un modo di sommare mele con patate.