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Romania e Ungheria fuori da Schengen
In Europa vince l’asse franco-tedesco

Il trattato prevede l'abolizione dei controlli e l'adozione di comuni norme per le persone alle frontiere interne. Ma la Romania minaccia l'uscita dall'organo europeo costituito per monitorare i progressi legislativi
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Si chiudono le porte di Schengen a Romania e Bulgaria. Dopo il no di Francia e Germania all’ingresso dei due Paesi all’interno dello spazio di libera circolazione Ue, espresso negli ultimi giorni di dicembre, per Bucarest e Sofia sembra non esserci più speranza. Nonostante i tentativi di mediazione dell’Ungheria, alla guida della Presidenza di turno Ue, l’asse franco-tedesco sembra aver avuto la meglio, anche perché per accogliere un nuovo Paese dentro Schengen ci vuole l’unanimità dei Paesi membri.

Lo spazio Shengen prevede l’abolizione dei controlli e l’adozione di comuni norme per le persone alle frontiere interne controbilanciati dai maggiori controlli a quelle esterne, il rafforzamento della cooperazione giudiziaria e della collaborazione tra le forze di polizia, il coordinamento degli stati nella lotta alla criminalità organizzata internazionale (per esempio mafia, traffico d’armi, droga, immigrazione clandestina) e l’integrazione delle banche dati delle forze di polizia (il Sistema di informazione Schengen, SIS).

A oggi ne fanno parte i Paesi Ue (ad eccezione di Regno Unito ed Irlanda), altri Paesi europei con condizioni particolari (Islanda, Norvegia, Svizzera e Liechtenstein), mentre per Cipro, Romania e Bulgaria sono in corso dei negoziati. E proprio qui sono intervenute a gamba tesa Francia e Germania, motivando il loro niet con presunti problemi “giuridici e di polizia” nonché con l’insufficiente sicurezza del confine bulgaro con la Turchia sul fronte immigrazione. Un modo legale di frenare l’integrazione di due Paesi “scomodi” dopo le espulsioni di massa dei Rom (cittadini rumeni e bulgari) dello scorso settembre da parte della Francia di Sarkozy.

Ma la Romania non ci sta e con il suo ministro degli esteri Teodor Baconschi fa la voce grossa e minaccia l’uscita dal Cooperation and Verification Mechanism istituito dalla Commissione europea per monitorare i progressi legislativi indispensabili per accedere a Shengen. La Romania è pronta anche a fare ostruzionismo sulla rettifica di una clausola del trattato di Lisbona che prevede l’aumento del numero degli eurodeputati (18), 3 dei quali dovrebbero essere tedeschi. Ma a pagare le conseguenze maggiori potrebbe essere la Croazia che dovrebbe entrare nell’Ue nei primi 6 mesi del 2011. La Romania potrebbe mettersi di traverso vendicandosi del semaforo rosso subito su Shengen.

Non fanno ben sperare i recenti scandali in Bulgaria. Rumer Petkov, ex Ministro dell’Interno dimessosi per rapporti con la malavita, denuncia i 30 milioni “scomparsi” dei 130 totali stanziati da Bruxelles per aiutare il Paese a raggiungere gli standard stabiliti da Shengen. A peggiorare le cose, le recenti intercettazioni telefoniche pubblicate sulle pressioni fatte dall’attuale ministro dell’Interno Tsvetan Tsvetanov per evitare i controlli a certe aziende.

A spegnere il fuoco della polemica dovrebbe essere l’Ungheria, alla guida della Presidenza di turno Ue e dilaniata dalla querelle sulla legge bavaglio finita sotto i riflettori della comunità internazionale. Ma Budapest sembra trovarsi tra due fuochi: da una parte il bisogno di aggraziarsi i favori di Francia e Germania, capisaldi dell’Unione, dall’altra le esigenze di buon vicinato con Romania e Bulgaria nonché le promesse sulla loro pronta inclusione in Shengen. Fatto sta che l’annuncio ufficiale dello stop ai due Paesi è stato più volte fatto e ritirato, con l’agenzia di stampa ungherese MTI che ha rettificato le dichiarazioni del ministro agli Interni ungherese circa la “priorità di garantire l’accesso a Romania e Bulgaria in Shengen”.

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