L’anziano clown che chiamiamo convenzionalmente premier è volato a Berlino, non alla ricerca di un giudice, ma per spiegare alla cancelliera Merkel, che non ci dormiva la notte, di essere “totalmente indifferente” alla sentenza della Consulta sul legittimo impedimento perché i suoi processi sono “ridicoli, su fatti per i quali ho avuto modo di garantire che sono inesistenti, giurando sui miei figli e nipoti” e quando lui garantisce e giura sui figli e i nipoti è inutile insistere: gli si crede sulla parola. Insomma “la sentenza della Corte, qualunque sia, non comporta alcun pericolo per la stabilità di governo”.

Una volta tanto, senza volerlo, B. ha detto la verità. Non perché i suoi processi siano basati sul nulla (Mills, per dirne una, è stato già dichiarato colpevole dalla Cassazione di essere stato corrotto da B.). Ma perché almeno quelli attualmente pendenti sono destinati alla prescrizione: se, com’è probabile, la Consulta li scongelasse bocciando anche solo parzialmente lo scudo, ripartirebbero tutti e tre daccapo. E riposerebbero in pace.

Nel caso Mediaset (frode fiscale) tutti e tre i giudici sono stati trasferiti altrove. Nel caso Mills-B. (corruzione giudiziaria), la presidente del Tribunale è passata alla Corte d’appello e c’è poco più di un anno per celebrare primo, secondo e terzo grado. Nel caso Mediatrade (appropriazione indebita e frode fiscale), ancora in udienza preliminare, il gup è passato al tribunale dibattimentale, dunque andrà anch’esso sostituito e la prescrizione scatta nel 2015.

In più B., anche col legittimo impedimento semplice (quello previsto dal Codice di procedura), avrà mille scuse e cavilli per dimostrare o inventare impegni di governo e mandare in fumo quasi tutte le udienze. In ogni caso non rischia la galera, e nemmeno la condanna. Tutto l’allarme creato intorno alla stabilità del governo, alle sorti della nazione e ai destini dell’Umanità nel caso in cui i processi riprendessero è una truffa piuttosto dozzinale e lo capirebbero tutti, se in Italia esistesse l’informazione.

L’esigenza di “consentire al presidente del Consiglio e ai ministri il sereno svolgimento delle funzioni” sbandierata dalla legge sul legittimo impedimento, attorno a cui i giudici costituzionali stanno spaccando il capello in quattro alla ricerca di tragicomici “compromessi” e “mediazioni”, è la bufala del secolo. Da 17 anni B. convive serenamente con le sue indagini e i suoi processi, come se non esistessero, e l’opposizione pure (a parte Di Pietro e pochi altri). E allora perché tutta questa drammatizzazione? Per vari motivi, l’uno più inconfessabile dell’altro.

1) Per terrorizzare i giudici della Consulta, caricandoli di responsabilità politico-istituzionali inesistenti e paventando cataclismi di pura fantasia.
2) Per una questione di principio: la concezione mafiosa del potere che B. spande a piene mani dal 1994 – chi ha il potere si giudica da solo – deve entrare a viva forza nella Costituzione al posto di quel maledetto articolo 3 che si ostina a proclamare tutti i cittadini uguali di fronte alla legge.
3) Ciò che spaventa B. non sono i processi attuali, ma quelli futuri che potrebbero scaturire dalle indagini sulle trattative Stato-mafia e sui mandanti occulti delle stragi del 1993 (nessuno lo ricorda, ma il presidente del Consiglio è indagato per strage a Firenze con Dell’Utri) e da altre inchieste che noi ancora non conosciamo ma lui – conoscendosi – già prevede, per reati così gravi da non prevedere prescrizione né arresti domiciliari.
4) Il referendum Di Pietro pro o contro il legittimo impedimento, siccome la legge riguarda una sola persona, diventerebbe un referendum pro o contro B. E, agganciato alle amministrative di primavera, rischierebbe di raggiungere il quorum. I cittadini sono tutti uguali di fronte alla legge o uno più uguale degli altri? Per la prima volta nella sua carriera, il Cainano dovrà presentarsi agli elettori e dire finalmente la verità: “Votatemi, se no mi arrestano”.

Il Fatto Quotidiano, 13 gennaio 2011

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