Quanti vulcani ci sono nella contea di Cambridge? E in Gran Bretagna? Ovviamente nessuno, giusto qualche antica roccia lavica per gli amanti del genere. Però ci sono le università e i fondi per mandare avanti in laboratori di ricerca.
Chiara Petrone ne sa qualcosa. Da tre anni dirige il laboratorio di Microsonda elettronica della prestigiosa università inglese. La miscrosonda elettronica è uno strumento molto importante, che permette di determinare la composizione chimica di minerali e altri materiali inorganici con estrema precisione. Di laboratori come questo ce ne sono in tutta la Gran Bretagna, ma anche in Italia. Quello di Firenze, dove era Chiara, adesso ha chiuso. L’Italia è stata, usando un eufemismo, poco generosa con lei, fino ad ora. E poco attenta ad un settore di ricerca di cui il nostro Paese potrebbe davvero aver bisogno.
“I fenomeni geologici che studio sono concentrati in Messico, Sud America e ovviamente anche Italia. Non salvo vite, d’accordo, con il mio lavoro”, aggiunge. “Non prevedo neanche quando un’eruzione avverrà, perché non mi occupo dello stato attuale dei vulcani. Ho un compito diverso. Sono un po’ come una psicologa: studio la storia dei vulcani, e su questa base vado a ricostruirne il “carattere”, per provare a capire indirettamente che cosa succederà”. Una ricerca di base che certo non sarebbe inutile, nella terra dell’Etna dello Stromboli e del Vesuvio.
Quanto ai motivi per cui è andata via, Chiara spiega che non si è trattato di una decisione spontanea, ma di una necessità. “Mi laureo a pieni voti all’università di Firenze, poi il dottorato di ricerca. All’estero subito, perché fare esperienza è importante”. Due anni in tutto, di cui 6 mesi in Giappone e il resto negli Usa. Periodi entrambi entusiasmanti: “In Giappone è stata dura, sia per la lingua, sia per la mentalità. Ma ho imparato tantissimo. A Washington il mix perfetto: lunghe giornate di studio, infinite discussioni su temi scientifici. E poi gli amici, le feste, la voglia di divertirsi”. Bello andare all’estero per formarsi insomma. Una parentesi da cui si rientra in Italia corroborati e pronti a una brillante carriera.
Invece le cose non sono andate come Chiara si aspettava. Dopo dottorato e post-doc, è iniziata la trafila dei concorsi da ricercatore. “Ho iniziato a muovermi in giro per l’Italia. Non sono di quelli che vogliono lavorare dietro casa, per me andava benissimo spostarmi da Firenze. Ho fatto tredici concorsi in dieci anni. Ogni volta, anche quando pensavo di avere le qualifiche giuste, il posto per me non c’era. A vincere, era sempre un interno. Nel frattempo ho continuato a fare ricerca, insegnando con contratti da fame per arrivare ad uno stipendio decente. Ho anche diretto a Firenze il laboratorio di microsonda elettronica”. I suoi contratti sono sempre stati precari: rinnovati dall’università ogni sei mesi.
Ma l’odissea del rimpallo tra gli atenei dello Stivale finisce con un piccolo annuncio trovato su internet. A Cambridge cercano il responsabile di un laboratorio di Microsonda, un posto importante con un contratto a tempo indeterminato. Da settembre a dicembre la trafila, poi il lavoro è suo. “Molto semplicemente, hanno scelto la persona che volevano per quella posizione, quella che secondo loro era qualificata per un lavoro del genere”. A Firenze, invece, partita lei, il laboratorio non c’è più. Chiuso per mancanza di fondi.
Adesso Chiara, che dei vulcani fa la “psicologa”, l’Etna e il Vesuvio li guarda forse da un po’ più lontano. Ma almeno non ha l’ansia di doverli guardare “a tempo determinato”.