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L’egiziano che tifa
per Mubarak

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Il mio benzinaio di fiducia, alla periferia di Milano,  è egiziano e oggi gli ho chiesto: “Allora, quando vi liberate di Mubarak?“. E’ scoppiato a ridere: “Mubarak bravo, bene! Deve restare!“. “Ma come, e quei due milioni di persone in piazza che chiedono le sue dimissioni? Quei ragazzi massacrati dalla polizia?“. “Sono tutti pagati!” è stata la sorprendente risposta. Pagati da chi, poi? Dalla Cia, dagli israeliani che temono la caduta del Rais?

Negare l’evidenza è l’espediente autoconsolatorio di tutti i sudditi soddisfatti. L’emigrato egiziano che ha fatto i soldi all’estero e quando torna in patria viene invidiato e trattato da signore è grato al dittatore, un po’ come il commerciante o il costruttore edile italiano che si è arricchito coi condoni o evadendo le tasse continua a votare Berlusconi anche se lo sorprende mentre gli tromba la figlia minorenne. Con una piccola, trascurabile differenza: che in Egitto la maggioranza della popolazione è povera e analfabeta. Ma forse questa è anche la ragione per cui loro si ribellano e noi no. Noi siamo analfabeti, ma con la pancia piena, la barca e il fuoristrada.

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