È passato quasi un mese da quando la Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibili due dei quesiti referendari proposti dal Forum dei Movimenti per l’acqua contro la privatizzazione dei servizi idrici, e uno presentato dall’Idv di Antonio Di Pietro per cancellare circa 70 norme contenute in provvedimenti che, con il governo Berlusconi, prevedono il rilancio del nucleare italiano. Un referendum che si terrà, salvo elezioni anticipate, una domenica compresa tra il 15 aprile ed il 15 giugno.
Un successo per molti, soprattutto se si considera la possibilità per la cittadinanza di esprimersi a favore o contro la “privatizzazione” dell’acqua pubblica, ma che, riguardo alla questione nucleare, politicamente risponde sempre e solo all’esigenza di respingere proposte altrui. Come nel referendum del 1987, del resto. Politicamente è infatti insufficiente limitarsi alla mobilitazione popolare contro una proposta che si ritiene dannosa, perché il vero problema è prevenire la necessità di ricorrere al nucleare, sviluppando una politica energetica che renda inutile il ricorso all’atomo.
La contrapposizione è soprattutto fra chi dice sì al nucleare per (dubbie) ragioni economiche, e chi dice no per motivi ambientali. Si sa, per rendere del tutto inutile il ricorso al nucleare, ciò che occorre è proporre di soddisfare il fabbisogno energetico in maniera ecologicamente pulita ed economicamente conveniente. Come si può fare? Il primo passo è la riduzione degli sprechi, l’aumento dell’efficienza e l’eliminazione degli usi impropri (ne sono un ottimo esempio gli scaldabagni elettrici, coi quali si genera calore usando elettricità a sua volta generata da calore).
I consumi energetici italiani si possono suddividere in tre grandi voci quasi equivalenti: un terzo nel riscaldamento degli ambienti, un terzo nei trasporti, e un terzo nella produzione di energia elettrica attraverso le centrali termoelettriche. Nel riscaldamento degli ambienti il nucleare sarebbe ininfluente (produrrebbe elettricità, ma non calore), in un contesto nel quale gli sprechi sono già dell’ordine del 70% (in Italia siamo a una media di 200 kWh al m² all’anno, mentre in Germania il massimo consentito è 70 kWh al m², con le case migliori che arrivano a consumarne solo 15).
Il primo punto di una politica energetica finalizzata a ridurre costi e impatto ambientale è la ristrutturazione energetica degli edifici esistenti. Il secondo è l’autotrasporto: anche qui il nucleare potrebbe far poco, a meno che non si pensi ad una sostituzione di tutto il parco automobilistico circolante con auto elettriche. A quel punto però l’energia prodotta dal nucleare non sarebbe comunque sufficiente. E la maggiore offerta non andrebbe a soddisfare i bisogni elettrici attuali, in particolare quelli delle industrie.
Terzo punto: la produzione di energia elettrica. Qui il nucleare potrebbe dare dei contributi, ma prima di vedere se c’è bisogno di nuove fonti, sarebbe più opportuno andare a vedere a quanto ammontano gli sprechi. E’ una questione di logica.
Per questo ciò su cui bisogna lavorare in primo luogo è la produzione di energia termica da fonti fossili. Perché bruciare un combustibile pregiato, con cui si possono raggiungere alte temperature, per limitarsi a portare dell’acqua a 80 gradi, è una follia sia dal punto di vista termodinamico che dal punto di vista economico. Tutte le volte che si ha bisogno di calore, questo può essere ottenuto come sottoprodotto della produzione di energia meccanica, che diventa energia elettrica. Cosa fatta in piccolissima parte con il teleriscaldamento. Ma che si potrebbe fare anche tutte le volte che devo riscaldare una casa.
Si dovrebbero trasformare gli impianti di riscaldamento in impianti di produzione elettrica, e utilizzare il calore di scarto per il riscaldamento. Tutte le caldaie possono diventare in prospettiva impianti di produzione elettrica, utilizzando la stessa fonte fossile che oggi si usa per fare riscaldamento. E si può fare riscaldamento con gli scarti di calore: è la tecnica della cogenerazione.
Se la politica energetica viene impostata in maniera da ridurre gli sprechi, si possono soddisfare più utenze con meno energia e si creano posti di lavoro che vengono pagati con i risparmi sui costi energetici. Se le case che consumano 200 kWh al m² all’anno vengono ristrutturate e ne consumano 50 per ottenere lo stesso risultato, l’Italia deve comprare meno petrolio e meno gas dall’estero, per cui può usare i soldi che si risparmiano per pagare salari e stipendi di tutti coloro che lavorano per fare in modo che le case consumino di meno. Si avvierebbe contestualmente un circolo virtuoso dell’economia e dell’ecologia.
Riguardo al referendum, perché diciamo che non basta il fatto di andare a votare, se o quando si sarà (nuovamente) chiamati a farlo? Perché siamo sempre qui a giocare di rimessa, a subire e a difenderci dall’iniziativa altrui. Sarebbe tempo che prendessimo noi l’iniziativa. Attraverso una politica energetica articolata e stratificata in tutti i passaggi sopra riportati.
Poi, se avremo bisogno di altra energia, vedremo qual è la maniera migliore per produrla, se con le rinnovabili o col nucleare. Ma solo dopo.
Maurizio Pallante e Andrea Bertaglio
Esperti di risparmio energetico - MDF
Ambiente & Veleni - 4 Febbraio 2011
Il referendum sul nucleare non basta
È passato quasi un mese da quando la Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibili due dei quesiti referendari proposti dal Forum dei Movimenti per l’acqua contro la privatizzazione dei servizi idrici, e uno presentato dall’Idv di Antonio Di Pietro per cancellare circa 70 norme contenute in provvedimenti che, con il governo Berlusconi, prevedono il rilancio del nucleare italiano. Un referendum che si terrà, salvo elezioni anticipate, una domenica compresa tra il 15 aprile ed il 15 giugno.
Un successo per molti, soprattutto se si considera la possibilità per la cittadinanza di esprimersi a favore o contro la “privatizzazione” dell’acqua pubblica, ma che, riguardo alla questione nucleare, politicamente risponde sempre e solo all’esigenza di respingere proposte altrui. Come nel referendum del 1987, del resto. Politicamente è infatti insufficiente limitarsi alla mobilitazione popolare contro una proposta che si ritiene dannosa, perché il vero problema è prevenire la necessità di ricorrere al nucleare, sviluppando una politica energetica che renda inutile il ricorso all’atomo.
La contrapposizione è soprattutto fra chi dice sì al nucleare per (dubbie) ragioni economiche, e chi dice no per motivi ambientali. Si sa, per rendere del tutto inutile il ricorso al nucleare, ciò che occorre è proporre di soddisfare il fabbisogno energetico in maniera ecologicamente pulita ed economicamente conveniente. Come si può fare? Il primo passo è la riduzione degli sprechi, l’aumento dell’efficienza e l’eliminazione degli usi impropri (ne sono un ottimo esempio gli scaldabagni elettrici, coi quali si genera calore usando elettricità a sua volta generata da calore).
I consumi energetici italiani si possono suddividere in tre grandi voci quasi equivalenti: un terzo nel riscaldamento degli ambienti, un terzo nei trasporti, e un terzo nella produzione di energia elettrica attraverso le centrali termoelettriche. Nel riscaldamento degli ambienti il nucleare sarebbe ininfluente (produrrebbe elettricità, ma non calore), in un contesto nel quale gli sprechi sono già dell’ordine del 70% (in Italia siamo a una media di 200 kWh al m² all’anno, mentre in Germania il massimo consentito è 70 kWh al m², con le case migliori che arrivano a consumarne solo 15).
Il primo punto di una politica energetica finalizzata a ridurre costi e impatto ambientale è la ristrutturazione energetica degli edifici esistenti. Il secondo è l’autotrasporto: anche qui il nucleare potrebbe far poco, a meno che non si pensi ad una sostituzione di tutto il parco automobilistico circolante con auto elettriche. A quel punto però l’energia prodotta dal nucleare non sarebbe comunque sufficiente. E la maggiore offerta non andrebbe a soddisfare i bisogni elettrici attuali, in particolare quelli delle industrie.
Terzo punto: la produzione di energia elettrica. Qui il nucleare potrebbe dare dei contributi, ma prima di vedere se c’è bisogno di nuove fonti, sarebbe più opportuno andare a vedere a quanto ammontano gli sprechi. E’ una questione di logica.
Per questo ciò su cui bisogna lavorare in primo luogo è la produzione di energia termica da fonti fossili. Perché bruciare un combustibile pregiato, con cui si possono raggiungere alte temperature, per limitarsi a portare dell’acqua a 80 gradi, è una follia sia dal punto di vista termodinamico che dal punto di vista economico. Tutte le volte che si ha bisogno di calore, questo può essere ottenuto come sottoprodotto della produzione di energia meccanica, che diventa energia elettrica. Cosa fatta in piccolissima parte con il teleriscaldamento. Ma che si potrebbe fare anche tutte le volte che devo riscaldare una casa.
Si dovrebbero trasformare gli impianti di riscaldamento in impianti di produzione elettrica, e utilizzare il calore di scarto per il riscaldamento. Tutte le caldaie possono diventare in prospettiva impianti di produzione elettrica, utilizzando la stessa fonte fossile che oggi si usa per fare riscaldamento. E si può fare riscaldamento con gli scarti di calore: è la tecnica della cogenerazione.
Se la politica energetica viene impostata in maniera da ridurre gli sprechi, si possono soddisfare più utenze con meno energia e si creano posti di lavoro che vengono pagati con i risparmi sui costi energetici. Se le case che consumano 200 kWh al m² all’anno vengono ristrutturate e ne consumano 50 per ottenere lo stesso risultato, l’Italia deve comprare meno petrolio e meno gas dall’estero, per cui può usare i soldi che si risparmiano per pagare salari e stipendi di tutti coloro che lavorano per fare in modo che le case consumino di meno. Si avvierebbe contestualmente un circolo virtuoso dell’economia e dell’ecologia.
Riguardo al referendum, perché diciamo che non basta il fatto di andare a votare, se o quando si sarà (nuovamente) chiamati a farlo? Perché siamo sempre qui a giocare di rimessa, a subire e a difenderci dall’iniziativa altrui. Sarebbe tempo che prendessimo noi l’iniziativa. Attraverso una politica energetica articolata e stratificata in tutti i passaggi sopra riportati.
Poi, se avremo bisogno di altra energia, vedremo qual è la maniera migliore per produrla, se con le rinnovabili o col nucleare. Ma solo dopo.
PERCHÉ NO
di Marco Travaglio e Silvia Truzzi 12€ AcquistaArticolo Precedente
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Sana'a, 15 mar. (Adnkronos) - Almeno nove civili sono stati uccisi e nove feriti negli attacchi statunitensi su Sanaa, nello Yemen. Lo ha dichiarato un portavoce del ministero della Salute guidato dagli Houthi su X.
Washington, 15 mar. (Adnkronos) - "Sono lieto di informarvi che il generale Keith Kellogg è stato nominato inviato speciale in Ucraina. Il generale Kellogg, un esperto militare molto stimato, tratterà direttamente con il presidente Zelensky e la leadership ucraina. Li conosce bene e hanno un ottimo rapporto di lavoro. Congratulazioni al generale Kellogg!". Lo ha annunciato su Truth il presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Washington, 15 mar. (Adnkronos) - "Oggi ho ordinato all'esercito degli Stati Uniti di lanciare un'azione militare decisa e potente contro i terroristi Houthi nello Yemen. Hanno condotto una campagna implacabile di pirateria, violenza e terrorismo contro navi, aerei e droni americani e di altri paesi". Lo ha annunciato il presidente americano Donald Trump su Truth. Senza risparmiare una stoccata all'ex inquilino della Casa Bianca, il tycoon aggiunge nel suo post che "la risposta di Joe Biden è stata pateticamente debole, quindi gli Houthi sfrenati hanno continuato ad andare avanti".
"È passato più di un anno - prosegue Trump - da quando una nave commerciale battente bandiera statunitense ha navigato in sicurezza attraverso il Canale di Suez, il Mar Rosso o il Golfo di Aden. L'ultima nave da guerra americana ad attraversare il Mar Rosso, quattro mesi fa, è stata attaccata dagli Houthi più di una decina di volte. Finanziati dall'Iran, i criminali Houthi hanno lanciato missili contro gli aerei statunitensi e hanno preso di mira le nostre truppe e i nostri alleati. Questi assalti implacabili sono costati agli Stati Uniti e all'economia mondiale molti miliardi di dollari, mettendo allo stesso tempo a rischio vite innocenti".
"L'attacco degli Houthi alle navi americane non sarà tollerato - conclude Trump - Utilizzeremo una forza letale schiacciante finché non avremo raggiunto il nostro obiettivo. Gli Houthi hanno soffocato le spedizioni in una delle più importanti vie marittime del mondo, bloccando vaste fasce del commercio globale e attaccando il principio fondamentale della libertà di navigazione da cui dipendono il commercio e gli scambi internazionali. I nostri coraggiosi Warfighters stanno in questo momento portando avanti attacchi aerei contro le basi, i leader e le difese missilistiche dei terroristi per proteggere le risorse navali, aeree e di spedizione americane e per ripristinare la libertà di navigazione. Nessuna forza terroristica impedirà alle navi commerciali e navali americane di navigare liberamente sulle vie d'acqua del mondo".
Whasington, 15 mar. (Adnkronos) - Funzionari statunitensi hanno affermato che gli attacchi aerei contro l'arsenale degli Houthi, gran parte del quale è sepolto in profondità nel sottosuolo, potrebbero durare diversi giorni, intensificandosi in portata e scala a seconda della reazione dei militanti. Lo scrive il New York Times. Le agenzie di intelligence statunitensi hanno lottato in passato per identificare e localizzare i sistemi d'arma degli Houthi, che i ribelli producono in fabbriche sotterranee e contrabbandano dall'Iran.
Washington, 15 mar. (Adnkronos) - Funzionari statunitensi hanno detto al New York Times che il bombardamento su larga scala contro decine di obiettivi nello Yemen controllato dagli Houthi - l'azione militare più significativa del secondo mandato di Donald Trump - ha anche lo scopo di inviare un segnale di avvertimento all'Iran. Il presidente americano - scrive il quotidiano Usa- vuole mediare un accordo con Teheran per impedirgli di acquisire un'arma nucleare, ma ha lasciato aperta la possibilità di un'azione militare se gli iraniani respingono i negoziati.
(Adnkronos) - Gli attacchi - ordinati secondo quanto riferito dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump - hanno colpito radar, difese aeree e sistemi missilistici e di droni. Secondo il Times, l'obiettivo è riaprire le rotte di navigazione nel Mar Rosso che sono state minacciate dagli attacchi degli Houthi alle navi israeliane.