Le maestre le avevano offerto il loro pasto, il sindaco aveva accusato le maestre di danno erariale e la preside aveva minacciato le insegnanti di provvedimenti disciplinari spiegando di essere “obbligata dalla legge”. Ieri mattina – per fortuna – i genitori degli altri bambini della scuola hanno rimesso le cose a posto, con un bellissimo gesto di solidarietà. Sul palcoscenico di un asilo del basso Piave, si sono alternati l’alfabeto della ferocia e quello della gentilezza, il gesto di chi ha pagato per la piccola Speranza (anche se questo non è il suo vero nome) e la straordinaria scelta di un pensionato che oggi ospita gratuitamente la famiglia della bambina. Ma anche le parole di un sindaco che si è giustificato con queste incredibili argomentazioni: “La bambina è figlia di un noto estremista islamico”. Forse, nella sua visione tribale e integralista, l’idea di una rappresaglia legittimava lo sproposito della sua circolare.
Ma anche questa accusa ieri non trovava alcun riscontro: “Kabir (anche se questo non è il suo vero nome) – ci ha spiegato Giuseppe Dalcin, l’ex consigliere comunale del Pci che ha messo a disposizione della sua famiglia la propria casa – è andato in Belgio a cercare un impiego onesto perché aveva perso il lavoro. Ha lavorato otto anni come metalmeccanico, non l’ho mai visto lamentarsi. Quando è finito in cassa integrazione, un giorno mi ha detto: ‘Devo trovare un modo per sfamare la mia famiglia’”. Integralista islamico? “Un religioso islamico, direi. Qualcuno deve spiegare al sindaco la differenza”.
Così, quella di oggi è la seconda puntata di un dramma padano, la storia di una bambina di quattro anni che tre giorni fa si era addormentata, ritrovandosi suo malgrado in un incubo, e che adesso potrebbe risvegliarsi in una meravigliosa fiaba solidale. Ieri, da tutta Italia, migliaia di persone hanno chiamato e scritto per raccontarci i loro timori, la loro solidarietà e la loro rabbia. Un grande vento che ha iniziato a soffiare quando un lettore che si offriva di pagare la retta della mensa a mezzanotte e cinque di ieri, subito dopo aver letto il nostro giornale nell’edizione online. E che di prima mattina si è abbattuto come una tempesta sui centralini della scuola “Il flauto magico” e su quelli del Comune (di fatto inagibili per tutto il giorno). Non c’è molto da aggiungere: grazie. Ieri un frammento di Italia ha detto: “Se serve, pago io”.
Ma è anche la storia del cuore profondo del Veneto, dei tanti che a Fossalta di Piave, leghisti, non leghisti, di destra o di sinistra, facoltosi o indigenti, hanno considerato inaccettabile la decisione della preside della scuola, Simonetta Murri, che su queste pagine aveva difeso la decisione di riprendere le maestre per il loro digiuno a rotazione: “Quella scelta era grave e dannosa”. Ieri la preside è stata più prudente (e silente), mentre i rappresentanti dei genitori hanno provveduto a consegnare i buoni alla madre di Speranza: “La scena della bambina che piangeva perché veniva separata dai suoi amichetti – ha raccontato una di loro – ci ha devastato il cuore. Non avevamo e non abbiamo nulla contro l’amministrazione, non facciamo politica! Abbiamo fatto quello che qualsiasi genitore di buonsenso vorrebbe fare”.
Vuole restare anonima questa madre (come tutti gli altri che abbiamo sentito): “Non vogliamo medaglie. Non vogliamo che questa diventi una guerra sulle teste dei bambini. Vogliamo e volevamo, ‘solo’, risolvere un problema che non si poteva ignorare”. Un altro padre aggiunge: “Avevamo chiesto un colloquio con la preside. Le abbiamo parlato. E lei, ancora ieri, ci ha detto che non poteva fare nulla. Alcuni di noi hanno scelto di intervenire in forma privata. Le polemiche non servono a nessuno”.
Quella che stiamo scrivendo è una storia italiana. La storia di un paese sempre in bilico fra la cialtroneria e la generosità. Ieri il sindaco Massimo Sensini, leghista puro e duro, si è difeso come ha potuto: “Il buono pasto non può essere ceduto. E soprattutto non può essere istituzionalizzato il regalo a chi si vuole. È inammissibile”. Speranza è di origine africana, mulatta. Padre del Senegal e madre del Ciad, in Italia da dieci anni. La bimba ha quattro fratellini. Da quando il padre è partito per il Belgio la famiglia si trova in gravi difficoltà: la madre non parla l’italiano, ha chiesto aiuto ai servizi sociali. E qui il sindaco si impunta: “Sono già aiutati dal Comune che ha tagliato il costo del buono pasto da 4 euro e 45 centesimi a 2”. Una infanzia a rischio per 50 euro. A un passo dalla scuola, la famiglia viveva nella casa di Dalcin. Per un comodato di 300 euro, finché il papà ha lavorato. Poi gratis. L’ex consigliere parla con una voce calda, un lessico curato: “Usavo quei soldi per ammortizzare i costi, solo di riscaldamento: solo di quello, per il mio piano ed il mio spendo 700 euro al mese”.
Già, perché Dalcin vive da solo, con una pensione da mille euro. Ma adesso dice: “Io cinque bambini per strada non li metterò m-a-i. Piuttosto ci vado io, al freddo e al gelo”. Dalcin racconta che a fare la spesa è il fratello di Kabir: “Ha vent’anni. Si è diplomato brillantemente. Ha un lavoro, una famiglia da mantenere, ma si cura anche dei nipoti”. La Speranza questa sera è uscita dall’incubo, ha trovato un nome, una casa. E – pensate un po’ – persino un buono pasto.
da il Fatto Quotidiano del 5 febbraio 2011