Lui mostra i muscoli, promette sfracelli sulla giustizia, assicura che adesso con una mezza dozzina di parlamentare in più al proprio fianco chiuderà per sempre i conti con la magistratura. Eppure il futuro del Cavaliere resta tutt’altro che in discesa.
All’improvviso Silvio Berlusconi deve fare i conti anche con il vento caldo del Maghreb. Al caso Ruby, si sommano le rivolte degli abitanti dei paesi del Nord Africa e le minacce dell’amico dittatore Gheddafi il quale, dopo aver fatto massacrare la folla con granate Rpg, dice di star pensando di aprire le frontiere se l’Unione Europea non cesserà di sostenere le (giuste) richieste dei manifestanti.
Nell’immediato la prospettiva è che centinaia di migliaia di profughi arrivino sulle coste italiane. Nel medio periodo invece il pericolo (per Berlusconi) è che l’incendio del Mediterraneo si propaghi anche qui.
Non è uno scherzo. È un’eventualità concreta che preoccupa più d’uno dei signori del Palazzo. Il gradimento del premier è ormai in caduta libera. Solo il 28 per cento degli italiani, spiega su Il Corriere della Sera Renato Mannheimer, lo vuole ancora seduto sulla poltrona di Presidente del Consiglio. La base dell’alleato leghista è talmente in subbuglio da aver suggerito domenica ai vertici del Carroccio di annullare all’ultimo momento il collegamento tra Radio Padania (i cui ascoltatori sono imbufaliti) e la trasmissione Rai di Lucia Annunziata. Poi ci sono le donne. C’è la chiesa. Gli americani, i paesi dell’Unione europea, e addirittura la massoneria. Persino Licio Gelli lo ha mollato. E con un’intervista a Il Tempo(leggi) ha tenuto a farlo sapere in giro.
Il cocktail insomma è esplosivo. Basta pochissimo per farlo (politicamente) deflagrare.
Così il Cavaliere teme le toghe e ancor più ha paura della piazza. Che cosa accadrà quando verrano depositate tutte le foto trovate nei cellulari delle ragazze a pagamento ospiti delle sue feste? E sopratutto cosa accadrà il 6 aprile, giorno dell’inizio del dibattimento per concussione e prostituzione minorile?
È ovvio, il premier farà di tutto per tirare il processo per le lunghe. Anzi per non farlo nemmeno iniziare. La campagna elettorale per le amministrative è alle porte e sarà piuttosto semplice per lui e per i suoi onorevoli avvocati scovare una serie di appuntamenti ai quali non possono assolutamente mancare. Il giorno della prima udienza è poi l’anniversario del terremoto dell’Aquila. Volete che il capo del governo non debba presenziare a qualche cerimonia?
La questione, però è che poi alle cerimonie ci si deve per forza andare. La sentenza sul legittimo impedimento della Corte Costituzionale ha detto chiaramente che spetta al tribunale stabilire se gli impegni addotti dal potente imputato per marcare visita sono reali o meno. Quindi se Berlusconi metterà in calendario una commemorazione delle vittime del sisma, poi dovrà parteciparvi. E qui inizia il problema. Il primo ministro, per i ben noti motivi legati alla mancata ricostruzione della città, nel capoluogo abruzzese non si può più far vedere. Il rischio fischi e proteste (sopratutto ora) è troppo alto. Come altissimi restano i rischi legati a ogni comparsata pubblica sua e dei suoi molti avvocati difensori.
I partiti e il Parlamento figurano agli ultimi due posti in tutte le classifiche sulla fiducia nelle istituzioni da parte dei cittadini. E la scelta del Pdl di proporre la reintroduzione dell’autorizzazione a procedere per i parlamentari coinvolti in inchieste giudiziarie non può che farla scendere ancora: sia tra gli elettori di sinistra che tra quelli di destra. Su una cosa infatti gli italiani sono davvero uniti: l’insofferenza (crescente) per la Casta.
Per questo persino le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia del 17 marzo a Palazzo Chigi suscitano preoccupazioni. In tempi come questi ricordare il Risorgimento e il riscatto della Nazione diventa un atto rivoluzionario. Sventolare il Tricolore e non un vessillo di partito, un fatto quasi eversivo. Anche perché, in fondo, pure al Cairo e a Tunisi, i manifestanti imbracciavano solo le bandiere dei loro rispettivi Paesi.
Ma lo hanno fatto per giorni. E abbiamo poi visto tutti come è finita.