L'inchiesta di Napoli e le manovre pericolose di Luigi Bisignani: dalla guerra di Masi a Michele Santoro fino alle nomine ai vertici degli 007. Sarà proprio l'ex piduista a far redigere un atto contro il giornalista di Annozero dopo la vicenda del "vaff...anbicchiere"
Si preoccupa della Rai: al direttore generale, Mauro Masi, consiglia come costruire un addebito disciplinare per Michele Santoro. Si preoccupa dei servizi segreti: incontra Adriano Santini, futuro direttore dell’Aise, il servizio segreto militare. Fissa con lui un appuntamento. Prima della sua nomina. Poi l’accompagna dal presidente del Copasir: Massimo D’Alema. L’inchiesta sulla P4 condotta dai pm napoletani Henry John Woodcock e Francesco Curcio vede al centro del suo scenario un personaggio chiave: Luigi Bisignani. È lui che intrattiene rapporti con Masi e Santini. Un uomo riservato. Estremamente riservato. Ma anche estremamente potente: la sua rete di relazioni spazia dall’Eni alla presidenza del Consiglio. Ha una grande esperienza nel settore dell’informazione e dei mass media. È lo stesso Masi, come vedremo, ad ammettere di essersi consigliato con Bisignani per un motivo ben preciso: la sua grande esperienza nel settore della comunicazione. Ex giornalista dell’Ansa, prima di essere indagato nella P4 è stato iscritto, come il più giovane degli adepti, alla P2 del venerabile Licio Gelli. Negli anni Novanta fu condannato a due anni e otto mesi: l’accusa era di aver portato una parte della maxi tangente Enimont, parecchie decine di miliardi di lire, nella banca vaticana dello Ior.
E dalla P2 alla P4 lo scenario non sembra mutare: mancano le iscrizioni, vergate nero su bianco, mancano i grembiulini, ma l’inchiesta della procura napoletana punta al cuore di un network (per ora soltanto presunto) in grado di condizionare la vita del Paese. E i due episodi che il Fatto Quotidiano è in grado di rivelare sembrano provarlo: al di là della loro eventuale attinenza a fatti penali, tutta da dimostrare, questi episodi rivelano che i personaggi chiave della P4, un’influenza sui centri vitali del Paese, come la Rai e le nomine dei servizi segreti, puntano a esercitarla. Per entrare nelle segrete stanze del potere, però, bisogna immaginare un paio di scene.
Il piano per la punizione
La prima. Sono le ventuno circa di giovedì 23 settembre 2010: il primo piano di Michele Santoro viene trasmesso nelle case di milioni di telespettatori. Inclusi due spettatori d’eccezione. Il più noto ai lettori è Mauro Masi, direttore generale della Rai, il più sconosciuto si chiama invece Luigi Bisignani. I due sono in rapporti strettissimi. Parlano e s’incontrano (quasi) quotidianamente. Da quel 23 settembre in poi però – e per qualche giorno – i loro intenti sembrano convergere. Un fatto interessante per comprendere le relazioni di potere nel nostro Paese. Quel 23 settembre, infatti, Santoro firma un editoriale durissimo. Annozero è sotto pressione sin dalla prima puntata. Giusto per dirne una: mancavano allora (come mancano tuttora) i contratti di Vauro e Travaglio. Il direttore si rivolge al pubblico parlando di una ipotetica fabbrica di bicchieri: è questa la metafora, scelta da Santoro, per spiegare in quali condizioni è costretto a lavorare. Poi – paragonandosi al ragionier Fantozzi e rivolgendosi al direttore megagalattico nato dalla fantasia di Paolo Villaggio – chiude l’editoriale con un finale ormai storico: “Ma vaffa… nbicchiere”.
Bene. Questa è la scena che milioni di italiani hanno visto in diretta su Rai 2. C’è un’altra scena, però, che è rimasta segreta fino a oggi. E che il Fatto Quotidiano è in grado di rivelare. Nelle stesse ore Masi pensa di punire Santoro per il suo editoriale. Secondo Masi era rivolto a lui, al direttore generale della Rai, mentre Santoro replica che si rivolgeva al metaforico direttore della fabbrica di bicchieri. La questione dovrebbe essere di pertinenza della Rai e della dialettica tra giornalista e direttore generale. Invece accade un fatto diverso. Gli investigatori stanno seguendo già da tempo la pista della P4. Luigi Bisignani evidentemente è sotto controllo. E si scopre che i due – Masi e Bisignani – sulla punizione di Santoro non solo convergono ma, se non bastasse, l’ex piduista elabora una sorta di strategia amministrativa. Bisignani fa redigere ad alcuni legali di sua conoscenza un atto contro Santoro: il primo atto verso l’addebito disciplinare. Un atto di cui Masi viene a conoscenza. Non sarà mai notificato. L’operazione non andrà mai in porto. Anche se negli stessi giorni avviene un ulteriore fatto strano: Masi dichiara al Messaggero – salvo poi smentire – che ha intenzione di licenziare Santoro. La punizione arriva comunque: si tratta di una sospensione, disposta per dieci giorni, a partire dal 18 ottobre 2010. “Santoro – dirà Masi – si è reso responsabile di due violazioni disciplinari ben precise. L’uso del mezzo televisivo a fini personali e un attacco diretto e gratuitamente offensivo al Direttore Generale”. Resta da capire, però, perché sulla vicenda, Masi, abbia accettato di dialogare proprio con Luigi Bisignani. “Per la sua esperienza nel settore”, avrebbe dichiarato ai pm. Il punto è che Bisignani, che di esperienza ne ha sicuramente molta, non ha però alcun titolo per agire, come consigliere, sulla Rai e su Santoro. Eppure si preoccupa di fare redigere – sebbene non sarà mai utilizzato – l’atto che dovrà mettere Santoro nell’angolo. E lo fa redigere da persone di sua fiducia. Può Bisignani permettersi di dettare a Masi la linea? Può permettersi di abbozzare una strategia che riguarda la Rai e la punizione di Santoro?
Come Richelieu
Stando all’indagine sulla P4, Bisignani ci prova, pur non avendo alcun titolo. Masi lo incontra costantemente. Parla con lui per la sue “esperienza” ma la Rai non è un’azienda privata: è pubblica. Ed è per questo motivo che, la scena in questione, il carteggio tra gli uomini vicini a Bisgnani e quelli vicini a Masi, diventa rilevante. I due sembrano le facce della stessa medaglia. Se Masi è il volto del potere, Bisignani è il potere che non mostra il volto. Stando all’ipotesi della P4, se in questo caso Masi rappresenta il potere “osceno”, quello che si mostra, Bisignani incarna invece un potere “occulto”, nel senso di nascosto. La Rai è uno snodo cruciale nell’equilibrio dei nostri poteri. E Santoro sembra il nodo inestricabile che nessuno riesce a sciogliere. L’ha dimostrato l’inchiesta di Trani – rivelata dal nostro giornale un anno fa – dove il pm Michele Ruggiero scopre le pressioni di Silvio Berlusconi, che interviene direttamente su Masi e sull’ex commissario Agcom Giancarlo Innocenzi, proprio per fermare Santoro. L’inchiesta sulla P4, un anno dopo, lo conferma. Al posto di Berlusconi, questa volta, spunta però il volto di uomo che la maggior parte degli italiani ignorano: se c’è un cardinale Richelieu, in questo Paese, il suo nome sembra emergere proprio dagli atti di quest’inchiesta. È Luigi Bisignani. E per capirlo – sempre al di là di qualsiasi responsabilità giudiziaria che, ribadiamo, è tutta da dimostrare – basta immaginare un’altra scena.
Messaggi e ambasciatori
Siamo tra gennaio e febbraio 2010. E il “cardinale” è sempre lì: all’ombra degli appuntamenti che contano. Lo confermano nomi eccellenti, quelli convocati in procura i giorni scorsi, del calibro di Massimo d’Alema e Adriano Santini. Bisignani non si preoccupa soltanto di Santoro e della Rai. Si preoccupa anche dei futuri vertici dei nostri servizi segreti. Tra il gennaio e il febbraio 2010 lo Stato deve scegliere il capo dell’Aise – la nostra intelligence militare – e la scelta sta per cadere su un generale dell’esercito: Adriano Santini. E Santini lo sa. L’inchiesta dimostra che, anche questa volta, entra in scena Bisignani.
Prima della nomina, Santini, viene raggiunto da una sorta d’ambasciata: Bisignani lo vuole incontrare. Ma – anche in questo caso – non si comprende a quale titolo. Stiamo parlando di un ufficiale di 64 anni, generale di corpo d’armata, con incarichi di Stato Maggiore, che indossa la divisa dal 1968 e nel 2003 ha comandato il Contingente Nazionale Interforze nell’ambito dell’operazione “Antica Babilonia” in Iraq. Bisignani lo convoca. Santini si presenta all’appuntamento. Di cosa parlano? “Del più e del meno”, dirà Santini ai pm, come se fosse il fatto più naturale del mondo. Ma chi cerca l’appuntamento?
Chi fissa l’incontro? “Bisignani”, dice direttore dell’Aise. Il fatto strano è che l’incontro avviene prima della sua nomina, e non dopo, avviene cioè mentre Santini è ancora uno dei candidati ai vertici dell’Aise. Santini conosceva già Bisignani? No, a quanto pare, però accetta ugualmente il suo invito e si presenta all’appuntamento. Se non bastasse – ma in questo caso le versioni di Santini e D’Alema, entrambi convocati come persone informate sui fatti, sono parzialmente discordi – Bisignani decide di accompagnare il generale Santini dal presidente del Copasir, Massimo D’Alema. Il Copasir è il comitato parlamentare di controllo dei servizi segreti. A quale titolo, Bisignani, accompagna Santini da D’Alema? L’ex segretario dei Ds dice che, durante l’incontro con Santini, Bisignani ha aspettato fuori dalla porta. Ma il fatto è riscontrato: Bisignani accompagna Santini da D’Alema. L’incontro tra i due (i tre se contiamo Bisignani fuori adll’uscio) è avvenuto prima o dopo la nomina di Santini ai vertici dell’Aise? Secondo Santini, prima. Secondo D’Alema, dopo. Il dettaglio non è irrilevante ma, ciò che conta, è che Bisignani – nel periodo della sua nomina ai vertici dell’Aise – incontra Santini per ben due volte accompagnandolo fino all’ingresso dell’ufficio di D’Alema, quello della Fondazione Italianieuropei di via piazza Farnese, a due passi da Campo dei Fiori. Chi ha fissato l’appuntamento tra D’Alema e Santini: impossibile stabilirlo, spiega D’Alema, perché la telefonata è arrivata alla sua segreteria. Ma perchè Santini e Masi incontrano Bisignani? La loro versione è che l’ex piduista è un uomo molto vicino a Gianni Letta.
Passando da Santini a Masi, comunque, le frequentazioni di Bisignani emerse dall’inchiesta, sono sempre ai vertici del potere: si va dall’amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni – sarà sentito nei prossimi giorni – a Gianni Letta, dalle ministre Mara Carfagna e Stefania Prestigiacomo al dissidente del Pdl Italo Bocchino, passando per Alfonso Papa, il parlamentare del Pdl, magistrato e membro della commissione Giustizia, anch’egli coinvolto nell’indagine sulla P4.
Soldi e fango
E proprio il rapporto con Papa avrebbe messo gli investigatori sulla pista di Bisignani. Ora i pm indagano ad ampio raggio. Nei giorni scorsi è stata perquisita l’abitazione di Bisignani e anche il suo studio. Il gip a disposto anche la perquisizione di un’altra casa, quella della madre di Bisignani dove, secondo gli investigatori, si sarebbero potuti tenere incontri riservati tra uomini chiave della P4. E perquisendo il suo autista Paolo Pollastri, infine, sono stati ritrovati 19 certificati di azioni depositate all’estero: titoli al portatore di una holding belga, la Codepamo, per diversi milioni di euro. E tra i vari filoni dell’inchiesta non manca, anzi è uno dei principali, quello sul presunto dossieraggio e sulla “macchina del fango”. Un’inchiesta che sta facendo tremare molti potenti. Un’indagine ancora piena di sorprese che ha visto, tra le prime persone perquisite, il giornalista Valter Lavitola, l’uomo che, impiegando ingenti risorse, s’occupò a lungo della casa di Montecarlo dove vive Giancarlo Tulliani, fratello di Elisabetta Tulliani, compagna del presidente della Camera Gianfranco Fini.
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La Redazione
Roma, 25 feb. (Adnkronos Salute) - "Il paziente oncologico ha un'immunodeficienza che è legata a molti fattori. Noi pensiamo ai trattamenti chemioteratici, ma anche avere un grande intervento chirurgico genera una condizione di immunodeficienza. E' la condizione di per sé, con tutte le terapie, che espone a questo tipo di infezioni". Così Sandro Pignata, direttore dell'Oncologia medica presso l'Irccs Istituto nazionale tumori Fondazione G. Pascale di Napoli e responsabile scientifico della Rete oncologica campana (Roc), nel suo intervento all'incontro organizzato oggi a Roma da Gsk in occasione della Settimana della prevenzione dal Fuoco di Sant'Antonio (24 febbraio-2 marzo). Lo specialista ricorda inoltre che "non dobbiamo mai dimenticare che il nostro Paese invecchia ogni anno e la popolazione diventa più anziana: molti dei nostri pazienti sono proprio in quella fascia di età più esposta al rischio di infezioni da Herpes zoster".
A causa di "una patologia che è prevenibile", è assurdo che spesso "questi pazienti durante il loro corso di cura" siano costretti "a interrompere o ritardare le somministrazioni - osserva Pignata - Ovviamente l'intensità delle somministrazioni delle cure è un fattore importante, la capacità di portare avanti nei tempi tutte le radioterapie" e i trattamenti "è un fattore importante nella definizione degli outcome", cioè i risultati, in termini di salute. "Forse, oltre che nella popolazione, anche nei medici la consapevolezza" sull'importanza della vaccinazione "deve essere ancora raggiunta pienamente - sottolinea - Un paziente oncologico ha tanti bisogni. Spesso l'oncologo fa una scelta di priorità su cosa affrontare prima. Per questa ragione suggeriamo di consigliare a percorso vaccinale, soprattutto all'inizio della malattia, quando il numero dei bisogni è più contenuto".
Per quanto riguarda gli aspetti organizzativi, "e qui parlo non da oncologo, ma da coordinatore di una rete, almeno della mia regione - illustra Pignata - i centri vaccinali pubblici, nel tempo, sono stati strutturati soprattutto per la pediatria e non per l'adulto. Abbiamo scelto quindi un modello ibrido, che ovviamente utilizzasse i centri vaccinali delle Asl, coinvolto la medicina generale che si è resa disponibile, ma abbiamo anche ragionato sulla possibilità di aprire ex-novo centri vaccinali all'interno dei centri oncologici, per varie ragioni. Intanto - precisa - per consentire a più pazienti possibili di ricevere la vaccinazione, ma anche perché il paziente oncologico vuole seguire tutte le attività legate alla propria malattia nell'ospedale dove viene curato, quindi accetta e condivide con maggiore favore la possibilità di essere vaccinato nella sede dove effettua tutte le altre terapie. Abbiamo scritto un documento che definisce questi percorsi. Con una discreta soddisfazione - conclude - credo che più pazienti oggi, rispetto al passato, siano vaccinati, ma siamo ancora al di sotto del numero di quelli che ne trarrebbero vantaggio".
Milano, 25 feb. (Adnkronos) - La sentenza di condanna a cinque anni e tre mesi per Marco Albanesi, nella sua qualità di capo Unità manutentiva di Rfi, per disastro ferroviario, omicidio colposo e lesioni colpose, è sancita dalla "colposa sottovalutazione del rischio, a lui noto, di rottura del giunto isolante incollato ammalorato, all'altezza del Km 13+400", nel comune di Pioltello, che causò il deragliamento di un treno regionale che il 25 gennaio 2018 uscì dai binari causando la morte di tre passeggeri e di un centinaio di feriti.
Nella nota del presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia - la risoluzione del Csm consente di spiegare le sentenze più complesse in attesa delle motivazioni - si evidenzia come il collegio presieduto dalla giudice Elisabetta Canevini ha assolto gli ex dirigenti - l'ex ad Maurizio Gentile e gli ex manager Umberto Lebruto, Vincenzo Macello e Andrea Guerini - "tutti per non aver commesso il fatto", data "l'assenza di prova in ordine alla realizzazione di condotte commissive od omissive ad essi rimproverabili, considerazione dei rispettivi ruoli ricoperti all'interno dell'assetto organizzativo di Rete ferroviaria italiana, nonché degli effettivi flussi informativi circa l'ammaloramento del giunto e l'inadeguatezza della manutenzione che ne ha determinato la rottura la mattina del 25 gennaio 2018, cagionando così il tragico disastro".
Il Tribunale - in coerenza con l'indirizzo interpretativo già accolto dalla Suprema Corte di Cassazione nella vicenda relativa al disastro ferroviario di Viareggio - "ha escluso che le norme cautelari astrattamente violate, il cui rispetto avrebbe evitato il verificarsi del disastro, avessero ad oggetto specifiche cautele antinfortunistiche, ritenendo che in realtà esse attenessero alla gestione di un rischio ontologicamente diverso, relativo alla sicurezza della circolazione ferroviaria e alla tutela della pubblica incolumità: e sulla base di questo inquadramento giuridico della vicenda ha vagliato la sussistenza, e l'osservanza in concreto delle posizioni di garanzia riferibili ai singoli". Le motivazioni del processo di primo grado saranno rese note tra 90 giorni.
(Adnkronos) - Quello spezzone che manca, circa 23 centimetri, sbalzato a "diversi metri di distanza" è per la procura la causa del deragliamento e grazie a una telecamera che punta sul tratto ferroviario emerge che "I problemi che stava dando quel giunto duravano da qualche giorno". Al passaggio del treno su quel tratto si generano scintille, le prime scintille già a partire dal 17 gennaio, proseguono e aumentano intensità e frequenza" con l'incremento dell'erosione.
Il giorno del deragliamento "le scintille sono contenute al passaggio delle prime carrozze, poi c'è quasi una fiammata" mentre il convoglio viaggia a "140 chilometri l'ora", infine "basta scintille" perché "il giunto è saltato" e le ultime carrozze non viaggiano più sui binari. "Possiamo dire con certezza che è la rottura del giunto che ha determinato lo svio del treno" è la sintesi dei pm Leonardo Lesti e Maura Ripamonti durante la requisitoria. "E' evidente che questa rottura determina l'evento e la morte di tre persone e il ferimento di circa 200" di cui deve rispondere "chi non ha provveduto alla corretta manutenzione del giunto" che si trovava "in condizioni di forte degrado" è la tesi della procura.
Su quella linea in cui passano circa 100 treni al giorno il malfunzionamento viene rilevato - secondo la tesi della procura fin dal febbraio 2017 o addirittura anche prima - ma la sostituzione dei giunto non arriva mai, la strategia di Rfi, per la pubblica accusa, sembra essere "il giunto si cambia se è rotto, se non è rotto si tira avanti". L’incidente mortale di Pioltello "non è un fatto occasionale, ma riconducibile alla colpa che arriva fino all'amministratore delegato Gentile". Il non aver riparato il giunto lungo i binari "è una sorta di scorrettezza nei confronti dello Stato" ma "anche una forma di slealtà" nei confronti di chi viaggiava: "c'erano 250 passeggeri, gente che andava a lavorare e si fidava del treno". Una tesi accusatoria che non ha convinto il tribunale.
(Adnkronos) - Lebruto e Macello, presenti in aula, si sono lasciati andare a qualche lacrima di commozione dopo l'assoluzione, mentre alcuni dei passeggeri che viaggiavano sul treno deragliato hanno lasciato l'aula in silenzio e con tutt'altro stato d'animo. Di fatto il tribunale ha condannato solo l'allora capo dell'Unità manutentiva di Rfi Marco Albanesi (la procura aveva chiesto 6 anni e 10 mesi) per disastro ferroviario colposo, omicidio e lesioni colpose, ritenendolo responsabile sul territorio del mancato controllo o meglio come "colposa sottovalutazione del rischio" come spiega lo stesso Tribunale. Lui, in solido con il responsabile civile Rfi, dovrà risarcire le parti civili (una cinquantina) con una provvisionale di 25mila per ciascuno dei passeggeri che si sono costituiti nel processo e di 50mila al sindacato Filt - Cgil Lombardia.
Gli ex manager per cui la procura aveva chiesto la condanna sono invece stati assolti dall'accusa di disastro ferroviario colposo e omicidio e lesioni colpose "per non aver commesso il fatto" e "perché il fatto non sussiste" rispetto all'accusa di omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro. I giudici hanno anche assolto - come chiesto dalla stessa procura - Moreno Bucciantini, allora capo reparto Programmazione e controllo dell’Unità territoriale linee Sud di Rfi, Ivo Rebai, ai tempi responsabile della Struttura operativa Ingegneria della Dtp e Marco Gallini, allora dirigente della Struttura organizzativa di Rfi.
Sono le 7.01 del 25 gennaio 2018 quando il treno 10452 esce dai binari e tre delle sei carrozze, dopo il deragliamento, si ribaltano. Tra le lamiere della carrozza numero 3 muoiono Pierangela Tadini, 51 anni, Giuseppina Pirri, 39 anni, e Ida Maddalena Milanesi, 61, dottoressa dell'ospedale neurologico Carlo Besta di Milano. Dall'ispezione della sede ferroviaria "viene accertato sul binario una rottura della superficie della rotaia" che diventerà il 'punto zero' per l'inchiesta.
Roma, 25 feb. (Adnkronos) - Luca Attanasio, "convinto che la sua missione istituzionale non potesse prescindere dall'impegno sociale, è sempre rimasto a fianco degli ultimi, esprimendo l'ideale del diplomatico dal volto umano, nella certezza che nessuno, in qualsiasi parte del mondo, dovesse essere lasciato indietro". Lo ha affermato il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, ricordando in Aula l'ambasciatore Attanasio, ucciso insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista Mustapha Milambo in un agguato nella Repubblica democratica del Congo il 22 febbraio di quattro anni fa.
"Oggi rendiamo omaggio alla memoria di un uomo -ha aggiunto il presidente della Camera- che ha dedicato la propria esistenza al servizio del Paese e a sostegno della cooperazione internazionale. Ma non possiamo non ricordare il coraggio e l’alto senso del dovere dimostrati dal carabiniere scelto Iacovacci che, nel tentativo di proteggere l’ambasciatore, non ha esitato a fargli da scudo con il proprio corpo. Un gesto nobile e generoso che gli è valso il conferimento alla memoria della Medaglia d’oro al valor militare e che riflette i valori più autentici che contraddistinguono le donne e gli uomini dell’Arma".
"Un ringraziamento va anche a tutto il personale civile e militare che, spesso esponendosi a pericoli estremi, svolge un ruolo cruciale nella promozione della pace e dell’assistenza alle popolazioni più vulnerabili in zone di crisi e contesti ad alto rischio. A loro esprimo la mia profonda gratitudine e riconoscenza. Ai familiari dell’ambasciatore Luca Attanasio e di Vittorio Iacovacci, oggi qui presenti, desidero rinnovare la vicinanza mia personale e della Camera dei deputati. Il loro -ha concluso Fontana- è il dolore dell’Italia intera, che non può e non deve dimenticare il sacrificio di chi l’ha servita con onore e disciplina". L'Aula ha quindi osservato un minuto di silenzio.
Kinshasa, 25 feb. (Adnkronos/Afp) - Il procuratore della Corte penale internazionale (Cpi), Karim Khan, è arrivato nella Repubblica Democratica del Congo. Lo ha comunicato il suo ufficio, mentre è in atto una recrudescenza dei combattimenti nella parte orientale del Paese. Nelle ultime settimane, l'M23, sostenuto dal Ruanda, ha conquistato due importanti città nella Repubblica Democratica del Congo orientale, rafforzando così il suo potere nella regione da quando ha ripreso le armi alla fine del 2021.
"Siamo estremamente preoccupati per i recenti sviluppi in Congo, sappiamo che la situazione è grave, soprattutto nella parte orientale", ha detto Khan ai giornalisti al suo arrivo nella capitale Kinshasa. "Il messaggio deve essere trasmesso in modo molto chiaro: nessun gruppo armato, nessuna forza armata, nessun alleato di gruppi armati o forze armate ha un assegno in bianco. Devono rispettare il diritto umanitario internazionale".
Secondo gli esperti delle Nazioni Unite, l'M23 è supportato da circa 4.000 soldati ruandesi. Sin dalla sua rinascita, gli scontri tra il gruppo e le forze armate congolesi hanno provocato una crisi umanitaria in una regione flagellata da tre decenni di guerre. "Questo è il momento in cui vedremo se il diritto penale internazionale può soddisfare le richieste avanzate dal popolo della Repubblica Democratica del Congo, ovvero l'applicazione equa della legge", ha affermato Khan. "Il popolo della Rdc è prezioso quanto il popolo dell'Ucraina, il popolo di Israele o della Palestina, le ragazze o le donne dell'Afghanistan", ha aggiunto.
Khan incontrerà il presidente Felix Tshisekedi, alcuni ministri, il rappresentante nazionale del Segretario generale delle Nazioni Unite Bintou Keita, nonché le vittime del conflitto e membri della società civile. La prima indagine avviata dalla Cpi nella Repubblica Democratica del Congo risale al 2002. Da allora, il tribunale ha condannato tre persone per crimini commessi nel Paese. Nel 2023, la procura della Cpi ha inoltre avviato un'indagine sulle accuse di crimini commessi a partire da gennaio 2022 nella provincia del Nord Kivu, nella parte orientale della nazione. L'ufficio di Khan, che ha visitato il Paese nel maggio 2023, ha dichiarato all'inizio di questo mese che l'attuale situazione nella Rdc orientale "fa oggetto di un'indagine che è in corso".
Roma, 25 feb. (Adnkronos Salute) - "L'impegno di Danone per far conoscere alle persone l'importanza di un microbiota in salute nasce 35 anni fa, quando lanciammo Activia, un prodotto che ha la vocazione di migliorare il benessere intestinale di tutti gli italiani. Oggi diamo un'accelerazione a questo impegno grazie alla nuova campagna con la quale lanciamo un nuovo strumento: un questionario online molto semplice, creato su basi scientifiche e in grado di dare un risultato, una specie di assessment, sullo stato di salute del microbiota intestinale dei rispondenti". Così Yoann Steri, digital & data director di Danone Italia, in occasione dell'evento 'Innovazione e benessere: il microbiota al centro', organizzato dall'azienda, illustra l'iniziativa del questionario online validato scientificamente da Giovanni Barbara, tra i massimi esperti di microbiota, che analizza lo stato del microbiota intestinale e consente, in modo semplice, di indicare come le abitudini alimentari e, in generale, lo stile di vita influenzano lo stato del microbiota.
"Attraverso il questionario, il rispondente può avere indicazioni e risultati che gli permettono di migliorare il suo stato di salute attraverso l'analisi di diversi fattori, come lo stress, l'attività fisica, la qualità del sonno e la nutrizione, in cui Activia ha un ruolo molto importante", conclude.
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L’ALTRO SIGNOR B.
L'inchiesta di Napoli e le manovre pericolose di Luigi Bisignani: dalla guerra di Masi a Michele Santoro fino alle nomine ai vertici degli 007. Sarà proprio l'ex piduista a far redigere un atto contro il giornalista di Annozero dopo la vicenda del "vaff...anbicchiere"
Si preoccupa della Rai: al direttore generale, Mauro Masi, consiglia come costruire un addebito disciplinare per Michele Santoro. Si preoccupa dei servizi segreti: incontra Adriano Santini, futuro direttore dell’Aise, il servizio segreto militare. Fissa con lui un appuntamento. Prima della sua nomina. Poi l’accompagna dal presidente del Copasir: Massimo D’Alema. L’inchiesta sulla P4 condotta dai pm napoletani Henry John Woodcock e Francesco Curcio vede al centro del suo scenario un personaggio chiave: Luigi Bisignani. È lui che intrattiene rapporti con Masi e Santini. Un uomo riservato. Estremamente riservato. Ma anche estremamente potente: la sua rete di relazioni spazia dall’Eni alla presidenza del Consiglio. Ha una grande esperienza nel settore dell’informazione e dei mass media. È lo stesso Masi, come vedremo, ad ammettere di essersi consigliato con Bisignani per un motivo ben preciso: la sua grande esperienza nel settore della comunicazione. Ex giornalista dell’Ansa, prima di essere indagato nella P4 è stato iscritto, come il più giovane degli adepti, alla P2 del venerabile Licio Gelli. Negli anni Novanta fu condannato a due anni e otto mesi: l’accusa era di aver portato una parte della maxi tangente Enimont, parecchie decine di miliardi di lire, nella banca vaticana dello Ior.
E dalla P2 alla P4 lo scenario non sembra mutare: mancano le iscrizioni, vergate nero su bianco, mancano i grembiulini, ma l’inchiesta della procura napoletana punta al cuore di un network (per ora soltanto presunto) in grado di condizionare la vita del Paese. E i due episodi che il Fatto Quotidiano è in grado di rivelare sembrano provarlo: al di là della loro eventuale attinenza a fatti penali, tutta da dimostrare, questi episodi rivelano che i personaggi chiave della P4, un’influenza sui centri vitali del Paese, come la Rai e le nomine dei servizi segreti, puntano a esercitarla. Per entrare nelle segrete stanze del potere, però, bisogna immaginare un paio di scene.
Il piano per la punizione
La prima. Sono le ventuno circa di giovedì 23 settembre 2010: il primo piano di Michele Santoro viene trasmesso nelle case di milioni di telespettatori. Inclusi due spettatori d’eccezione. Il più noto ai lettori è Mauro Masi, direttore generale della Rai, il più sconosciuto si chiama invece Luigi Bisignani. I due sono in rapporti strettissimi. Parlano e s’incontrano (quasi) quotidianamente. Da quel 23 settembre in poi però – e per qualche giorno – i loro intenti sembrano convergere. Un fatto interessante per comprendere le relazioni di potere nel nostro Paese. Quel 23 settembre, infatti, Santoro firma un editoriale durissimo. Annozero è sotto pressione sin dalla prima puntata. Giusto per dirne una: mancavano allora (come mancano tuttora) i contratti di Vauro e Travaglio. Il direttore si rivolge al pubblico parlando di una ipotetica fabbrica di bicchieri: è questa la metafora, scelta da Santoro, per spiegare in quali condizioni è costretto a lavorare. Poi – paragonandosi al ragionier Fantozzi e rivolgendosi al direttore megagalattico nato dalla fantasia di Paolo Villaggio – chiude l’editoriale con un finale ormai storico: “Ma vaffa… nbicchiere”.
Bene. Questa è la scena che milioni di italiani hanno visto in diretta su Rai 2. C’è un’altra scena, però, che è rimasta segreta fino a oggi. E che il Fatto Quotidiano è in grado di rivelare. Nelle stesse ore Masi pensa di punire Santoro per il suo editoriale. Secondo Masi era rivolto a lui, al direttore generale della Rai, mentre Santoro replica che si rivolgeva al metaforico direttore della fabbrica di bicchieri. La questione dovrebbe essere di pertinenza della Rai e della dialettica tra giornalista e direttore generale. Invece accade un fatto diverso. Gli investigatori stanno seguendo già da tempo la pista della P4. Luigi Bisignani evidentemente è sotto controllo. E si scopre che i due – Masi e Bisignani – sulla punizione di Santoro non solo convergono ma, se non bastasse, l’ex piduista elabora una sorta di strategia amministrativa. Bisignani fa redigere ad alcuni legali di sua conoscenza un atto contro Santoro: il primo atto verso l’addebito disciplinare. Un atto di cui Masi viene a conoscenza. Non sarà mai notificato. L’operazione non andrà mai in porto. Anche se negli stessi giorni avviene un ulteriore fatto strano: Masi dichiara al Messaggero – salvo poi smentire – che ha intenzione di licenziare Santoro. La punizione arriva comunque: si tratta di una sospensione, disposta per dieci giorni, a partire dal 18 ottobre 2010. “Santoro – dirà Masi – si è reso responsabile di due violazioni disciplinari ben precise. L’uso del mezzo televisivo a fini personali e un attacco diretto e gratuitamente offensivo al Direttore Generale”. Resta da capire, però, perché sulla vicenda, Masi, abbia accettato di dialogare proprio con Luigi Bisignani. “Per la sua esperienza nel settore”, avrebbe dichiarato ai pm. Il punto è che Bisignani, che di esperienza ne ha sicuramente molta, non ha però alcun titolo per agire, come consigliere, sulla Rai e su Santoro. Eppure si preoccupa di fare redigere – sebbene non sarà mai utilizzato – l’atto che dovrà mettere Santoro nell’angolo. E lo fa redigere da persone di sua fiducia. Può Bisignani permettersi di dettare a Masi la linea? Può permettersi di abbozzare una strategia che riguarda la Rai e la punizione di Santoro?
Come Richelieu
Stando all’indagine sulla P4, Bisignani ci prova, pur non avendo alcun titolo. Masi lo incontra costantemente. Parla con lui per la sue “esperienza” ma la Rai non è un’azienda privata: è pubblica. Ed è per questo motivo che, la scena in questione, il carteggio tra gli uomini vicini a Bisgnani e quelli vicini a Masi, diventa rilevante. I due sembrano le facce della stessa medaglia. Se Masi è il volto del potere, Bisignani è il potere che non mostra il volto. Stando all’ipotesi della P4, se in questo caso Masi rappresenta il potere “osceno”, quello che si mostra, Bisignani incarna invece un potere “occulto”, nel senso di nascosto. La Rai è uno snodo cruciale nell’equilibrio dei nostri poteri. E Santoro sembra il nodo inestricabile che nessuno riesce a sciogliere. L’ha dimostrato l’inchiesta di Trani – rivelata dal nostro giornale un anno fa – dove il pm Michele Ruggiero scopre le pressioni di Silvio Berlusconi, che interviene direttamente su Masi e sull’ex commissario Agcom Giancarlo Innocenzi, proprio per fermare Santoro. L’inchiesta sulla P4, un anno dopo, lo conferma. Al posto di Berlusconi, questa volta, spunta però il volto di uomo che la maggior parte degli italiani ignorano: se c’è un cardinale Richelieu, in questo Paese, il suo nome sembra emergere proprio dagli atti di quest’inchiesta. È Luigi Bisignani. E per capirlo – sempre al di là di qualsiasi responsabilità giudiziaria che, ribadiamo, è tutta da dimostrare – basta immaginare un’altra scena.
Messaggi e ambasciatori
Siamo tra gennaio e febbraio 2010. E il “cardinale” è sempre lì: all’ombra degli appuntamenti che contano. Lo confermano nomi eccellenti, quelli convocati in procura i giorni scorsi, del calibro di Massimo d’Alema e Adriano Santini. Bisignani non si preoccupa soltanto di Santoro e della Rai. Si preoccupa anche dei futuri vertici dei nostri servizi segreti. Tra il gennaio e il febbraio 2010 lo Stato deve scegliere il capo dell’Aise – la nostra intelligence militare – e la scelta sta per cadere su un generale dell’esercito: Adriano Santini. E Santini lo sa. L’inchiesta dimostra che, anche questa volta, entra in scena Bisignani.
Prima della nomina, Santini, viene raggiunto da una sorta d’ambasciata: Bisignani lo vuole incontrare. Ma – anche in questo caso – non si comprende a quale titolo. Stiamo parlando di un ufficiale di 64 anni, generale di corpo d’armata, con incarichi di Stato Maggiore, che indossa la divisa dal 1968 e nel 2003 ha comandato il Contingente Nazionale Interforze nell’ambito dell’operazione “Antica Babilonia” in Iraq. Bisignani lo convoca. Santini si presenta all’appuntamento. Di cosa parlano? “Del più e del meno”, dirà Santini ai pm, come se fosse il fatto più naturale del mondo. Ma chi cerca l’appuntamento?
Chi fissa l’incontro? “Bisignani”, dice direttore dell’Aise. Il fatto strano è che l’incontro avviene prima della sua nomina, e non dopo, avviene cioè mentre Santini è ancora uno dei candidati ai vertici dell’Aise. Santini conosceva già Bisignani? No, a quanto pare, però accetta ugualmente il suo invito e si presenta all’appuntamento. Se non bastasse – ma in questo caso le versioni di Santini e D’Alema, entrambi convocati come persone informate sui fatti, sono parzialmente discordi – Bisignani decide di accompagnare il generale Santini dal presidente del Copasir, Massimo D’Alema. Il Copasir è il comitato parlamentare di controllo dei servizi segreti. A quale titolo, Bisignani, accompagna Santini da D’Alema? L’ex segretario dei Ds dice che, durante l’incontro con Santini, Bisignani ha aspettato fuori dalla porta. Ma il fatto è riscontrato: Bisignani accompagna Santini da D’Alema. L’incontro tra i due (i tre se contiamo Bisignani fuori adll’uscio) è avvenuto prima o dopo la nomina di Santini ai vertici dell’Aise? Secondo Santini, prima. Secondo D’Alema, dopo. Il dettaglio non è irrilevante ma, ciò che conta, è che Bisignani – nel periodo della sua nomina ai vertici dell’Aise – incontra Santini per ben due volte accompagnandolo fino all’ingresso dell’ufficio di D’Alema, quello della Fondazione Italianieuropei di via piazza Farnese, a due passi da Campo dei Fiori. Chi ha fissato l’appuntamento tra D’Alema e Santini: impossibile stabilirlo, spiega D’Alema, perché la telefonata è arrivata alla sua segreteria. Ma perchè Santini e Masi incontrano Bisignani? La loro versione è che l’ex piduista è un uomo molto vicino a Gianni Letta.
Passando da Santini a Masi, comunque, le frequentazioni di Bisignani emerse dall’inchiesta, sono sempre ai vertici del potere: si va dall’amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni – sarà sentito nei prossimi giorni – a Gianni Letta, dalle ministre Mara Carfagna e Stefania Prestigiacomo al dissidente del Pdl Italo Bocchino, passando per Alfonso Papa, il parlamentare del Pdl, magistrato e membro della commissione Giustizia, anch’egli coinvolto nell’indagine sulla P4.
Soldi e fango
E proprio il rapporto con Papa avrebbe messo gli investigatori sulla pista di Bisignani. Ora i pm indagano ad ampio raggio. Nei giorni scorsi è stata perquisita l’abitazione di Bisignani e anche il suo studio. Il gip a disposto anche la perquisizione di un’altra casa, quella della madre di Bisignani dove, secondo gli investigatori, si sarebbero potuti tenere incontri riservati tra uomini chiave della P4. E perquisendo il suo autista Paolo Pollastri, infine, sono stati ritrovati 19 certificati di azioni depositate all’estero: titoli al portatore di una holding belga, la Codepamo, per diversi milioni di euro. E tra i vari filoni dell’inchiesta non manca, anzi è uno dei principali, quello sul presunto dossieraggio e sulla “macchina del fango”. Un’inchiesta che sta facendo tremare molti potenti. Un’indagine ancora piena di sorprese che ha visto, tra le prime persone perquisite, il giornalista Valter Lavitola, l’uomo che, impiegando ingenti risorse, s’occupò a lungo della casa di Montecarlo dove vive Giancarlo Tulliani, fratello di Elisabetta Tulliani, compagna del presidente della Camera Gianfranco Fini.
di Marco Lillo e Antonio Massari
da Il Fatto Quotidiano del 5 marzo 2011
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Giustizia & Impunità
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Ucraina, è corsa alle terre rare: Putin offre a Trump un accordo su quelle del Donbass. Onu, Usa e Russia votano insieme contro Kiev
Roma, 25 feb. (Adnkronos Salute) - "Il paziente oncologico ha un'immunodeficienza che è legata a molti fattori. Noi pensiamo ai trattamenti chemioteratici, ma anche avere un grande intervento chirurgico genera una condizione di immunodeficienza. E' la condizione di per sé, con tutte le terapie, che espone a questo tipo di infezioni". Così Sandro Pignata, direttore dell'Oncologia medica presso l'Irccs Istituto nazionale tumori Fondazione G. Pascale di Napoli e responsabile scientifico della Rete oncologica campana (Roc), nel suo intervento all'incontro organizzato oggi a Roma da Gsk in occasione della Settimana della prevenzione dal Fuoco di Sant'Antonio (24 febbraio-2 marzo). Lo specialista ricorda inoltre che "non dobbiamo mai dimenticare che il nostro Paese invecchia ogni anno e la popolazione diventa più anziana: molti dei nostri pazienti sono proprio in quella fascia di età più esposta al rischio di infezioni da Herpes zoster".
A causa di "una patologia che è prevenibile", è assurdo che spesso "questi pazienti durante il loro corso di cura" siano costretti "a interrompere o ritardare le somministrazioni - osserva Pignata - Ovviamente l'intensità delle somministrazioni delle cure è un fattore importante, la capacità di portare avanti nei tempi tutte le radioterapie" e i trattamenti "è un fattore importante nella definizione degli outcome", cioè i risultati, in termini di salute. "Forse, oltre che nella popolazione, anche nei medici la consapevolezza" sull'importanza della vaccinazione "deve essere ancora raggiunta pienamente - sottolinea - Un paziente oncologico ha tanti bisogni. Spesso l'oncologo fa una scelta di priorità su cosa affrontare prima. Per questa ragione suggeriamo di consigliare a percorso vaccinale, soprattutto all'inizio della malattia, quando il numero dei bisogni è più contenuto".
Per quanto riguarda gli aspetti organizzativi, "e qui parlo non da oncologo, ma da coordinatore di una rete, almeno della mia regione - illustra Pignata - i centri vaccinali pubblici, nel tempo, sono stati strutturati soprattutto per la pediatria e non per l'adulto. Abbiamo scelto quindi un modello ibrido, che ovviamente utilizzasse i centri vaccinali delle Asl, coinvolto la medicina generale che si è resa disponibile, ma abbiamo anche ragionato sulla possibilità di aprire ex-novo centri vaccinali all'interno dei centri oncologici, per varie ragioni. Intanto - precisa - per consentire a più pazienti possibili di ricevere la vaccinazione, ma anche perché il paziente oncologico vuole seguire tutte le attività legate alla propria malattia nell'ospedale dove viene curato, quindi accetta e condivide con maggiore favore la possibilità di essere vaccinato nella sede dove effettua tutte le altre terapie. Abbiamo scritto un documento che definisce questi percorsi. Con una discreta soddisfazione - conclude - credo che più pazienti oggi, rispetto al passato, siano vaccinati, ma siamo ancora al di sotto del numero di quelli che ne trarrebbero vantaggio".
Milano, 25 feb. (Adnkronos) - La sentenza di condanna a cinque anni e tre mesi per Marco Albanesi, nella sua qualità di capo Unità manutentiva di Rfi, per disastro ferroviario, omicidio colposo e lesioni colpose, è sancita dalla "colposa sottovalutazione del rischio, a lui noto, di rottura del giunto isolante incollato ammalorato, all'altezza del Km 13+400", nel comune di Pioltello, che causò il deragliamento di un treno regionale che il 25 gennaio 2018 uscì dai binari causando la morte di tre passeggeri e di un centinaio di feriti.
Nella nota del presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia - la risoluzione del Csm consente di spiegare le sentenze più complesse in attesa delle motivazioni - si evidenzia come il collegio presieduto dalla giudice Elisabetta Canevini ha assolto gli ex dirigenti - l'ex ad Maurizio Gentile e gli ex manager Umberto Lebruto, Vincenzo Macello e Andrea Guerini - "tutti per non aver commesso il fatto", data "l'assenza di prova in ordine alla realizzazione di condotte commissive od omissive ad essi rimproverabili, considerazione dei rispettivi ruoli ricoperti all'interno dell'assetto organizzativo di Rete ferroviaria italiana, nonché degli effettivi flussi informativi circa l'ammaloramento del giunto e l'inadeguatezza della manutenzione che ne ha determinato la rottura la mattina del 25 gennaio 2018, cagionando così il tragico disastro".
Il Tribunale - in coerenza con l'indirizzo interpretativo già accolto dalla Suprema Corte di Cassazione nella vicenda relativa al disastro ferroviario di Viareggio - "ha escluso che le norme cautelari astrattamente violate, il cui rispetto avrebbe evitato il verificarsi del disastro, avessero ad oggetto specifiche cautele antinfortunistiche, ritenendo che in realtà esse attenessero alla gestione di un rischio ontologicamente diverso, relativo alla sicurezza della circolazione ferroviaria e alla tutela della pubblica incolumità: e sulla base di questo inquadramento giuridico della vicenda ha vagliato la sussistenza, e l'osservanza in concreto delle posizioni di garanzia riferibili ai singoli". Le motivazioni del processo di primo grado saranno rese note tra 90 giorni.
(Adnkronos) - Quello spezzone che manca, circa 23 centimetri, sbalzato a "diversi metri di distanza" è per la procura la causa del deragliamento e grazie a una telecamera che punta sul tratto ferroviario emerge che "I problemi che stava dando quel giunto duravano da qualche giorno". Al passaggio del treno su quel tratto si generano scintille, le prime scintille già a partire dal 17 gennaio, proseguono e aumentano intensità e frequenza" con l'incremento dell'erosione.
Il giorno del deragliamento "le scintille sono contenute al passaggio delle prime carrozze, poi c'è quasi una fiammata" mentre il convoglio viaggia a "140 chilometri l'ora", infine "basta scintille" perché "il giunto è saltato" e le ultime carrozze non viaggiano più sui binari. "Possiamo dire con certezza che è la rottura del giunto che ha determinato lo svio del treno" è la sintesi dei pm Leonardo Lesti e Maura Ripamonti durante la requisitoria. "E' evidente che questa rottura determina l'evento e la morte di tre persone e il ferimento di circa 200" di cui deve rispondere "chi non ha provveduto alla corretta manutenzione del giunto" che si trovava "in condizioni di forte degrado" è la tesi della procura.
Su quella linea in cui passano circa 100 treni al giorno il malfunzionamento viene rilevato - secondo la tesi della procura fin dal febbraio 2017 o addirittura anche prima - ma la sostituzione dei giunto non arriva mai, la strategia di Rfi, per la pubblica accusa, sembra essere "il giunto si cambia se è rotto, se non è rotto si tira avanti". L’incidente mortale di Pioltello "non è un fatto occasionale, ma riconducibile alla colpa che arriva fino all'amministratore delegato Gentile". Il non aver riparato il giunto lungo i binari "è una sorta di scorrettezza nei confronti dello Stato" ma "anche una forma di slealtà" nei confronti di chi viaggiava: "c'erano 250 passeggeri, gente che andava a lavorare e si fidava del treno". Una tesi accusatoria che non ha convinto il tribunale.
(Adnkronos) - Lebruto e Macello, presenti in aula, si sono lasciati andare a qualche lacrima di commozione dopo l'assoluzione, mentre alcuni dei passeggeri che viaggiavano sul treno deragliato hanno lasciato l'aula in silenzio e con tutt'altro stato d'animo. Di fatto il tribunale ha condannato solo l'allora capo dell'Unità manutentiva di Rfi Marco Albanesi (la procura aveva chiesto 6 anni e 10 mesi) per disastro ferroviario colposo, omicidio e lesioni colpose, ritenendolo responsabile sul territorio del mancato controllo o meglio come "colposa sottovalutazione del rischio" come spiega lo stesso Tribunale. Lui, in solido con il responsabile civile Rfi, dovrà risarcire le parti civili (una cinquantina) con una provvisionale di 25mila per ciascuno dei passeggeri che si sono costituiti nel processo e di 50mila al sindacato Filt - Cgil Lombardia.
Gli ex manager per cui la procura aveva chiesto la condanna sono invece stati assolti dall'accusa di disastro ferroviario colposo e omicidio e lesioni colpose "per non aver commesso il fatto" e "perché il fatto non sussiste" rispetto all'accusa di omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro. I giudici hanno anche assolto - come chiesto dalla stessa procura - Moreno Bucciantini, allora capo reparto Programmazione e controllo dell’Unità territoriale linee Sud di Rfi, Ivo Rebai, ai tempi responsabile della Struttura operativa Ingegneria della Dtp e Marco Gallini, allora dirigente della Struttura organizzativa di Rfi.
Sono le 7.01 del 25 gennaio 2018 quando il treno 10452 esce dai binari e tre delle sei carrozze, dopo il deragliamento, si ribaltano. Tra le lamiere della carrozza numero 3 muoiono Pierangela Tadini, 51 anni, Giuseppina Pirri, 39 anni, e Ida Maddalena Milanesi, 61, dottoressa dell'ospedale neurologico Carlo Besta di Milano. Dall'ispezione della sede ferroviaria "viene accertato sul binario una rottura della superficie della rotaia" che diventerà il 'punto zero' per l'inchiesta.
(segue)
Roma, 25 feb. (Adnkronos) - Luca Attanasio, "convinto che la sua missione istituzionale non potesse prescindere dall'impegno sociale, è sempre rimasto a fianco degli ultimi, esprimendo l'ideale del diplomatico dal volto umano, nella certezza che nessuno, in qualsiasi parte del mondo, dovesse essere lasciato indietro". Lo ha affermato il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, ricordando in Aula l'ambasciatore Attanasio, ucciso insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista Mustapha Milambo in un agguato nella Repubblica democratica del Congo il 22 febbraio di quattro anni fa.
"Oggi rendiamo omaggio alla memoria di un uomo -ha aggiunto il presidente della Camera- che ha dedicato la propria esistenza al servizio del Paese e a sostegno della cooperazione internazionale. Ma non possiamo non ricordare il coraggio e l’alto senso del dovere dimostrati dal carabiniere scelto Iacovacci che, nel tentativo di proteggere l’ambasciatore, non ha esitato a fargli da scudo con il proprio corpo. Un gesto nobile e generoso che gli è valso il conferimento alla memoria della Medaglia d’oro al valor militare e che riflette i valori più autentici che contraddistinguono le donne e gli uomini dell’Arma".
"Un ringraziamento va anche a tutto il personale civile e militare che, spesso esponendosi a pericoli estremi, svolge un ruolo cruciale nella promozione della pace e dell’assistenza alle popolazioni più vulnerabili in zone di crisi e contesti ad alto rischio. A loro esprimo la mia profonda gratitudine e riconoscenza. Ai familiari dell’ambasciatore Luca Attanasio e di Vittorio Iacovacci, oggi qui presenti, desidero rinnovare la vicinanza mia personale e della Camera dei deputati. Il loro -ha concluso Fontana- è il dolore dell’Italia intera, che non può e non deve dimenticare il sacrificio di chi l’ha servita con onore e disciplina". L'Aula ha quindi osservato un minuto di silenzio.
Kinshasa, 25 feb. (Adnkronos/Afp) - Il procuratore della Corte penale internazionale (Cpi), Karim Khan, è arrivato nella Repubblica Democratica del Congo. Lo ha comunicato il suo ufficio, mentre è in atto una recrudescenza dei combattimenti nella parte orientale del Paese. Nelle ultime settimane, l'M23, sostenuto dal Ruanda, ha conquistato due importanti città nella Repubblica Democratica del Congo orientale, rafforzando così il suo potere nella regione da quando ha ripreso le armi alla fine del 2021.
"Siamo estremamente preoccupati per i recenti sviluppi in Congo, sappiamo che la situazione è grave, soprattutto nella parte orientale", ha detto Khan ai giornalisti al suo arrivo nella capitale Kinshasa. "Il messaggio deve essere trasmesso in modo molto chiaro: nessun gruppo armato, nessuna forza armata, nessun alleato di gruppi armati o forze armate ha un assegno in bianco. Devono rispettare il diritto umanitario internazionale".
Secondo gli esperti delle Nazioni Unite, l'M23 è supportato da circa 4.000 soldati ruandesi. Sin dalla sua rinascita, gli scontri tra il gruppo e le forze armate congolesi hanno provocato una crisi umanitaria in una regione flagellata da tre decenni di guerre. "Questo è il momento in cui vedremo se il diritto penale internazionale può soddisfare le richieste avanzate dal popolo della Repubblica Democratica del Congo, ovvero l'applicazione equa della legge", ha affermato Khan. "Il popolo della Rdc è prezioso quanto il popolo dell'Ucraina, il popolo di Israele o della Palestina, le ragazze o le donne dell'Afghanistan", ha aggiunto.
Khan incontrerà il presidente Felix Tshisekedi, alcuni ministri, il rappresentante nazionale del Segretario generale delle Nazioni Unite Bintou Keita, nonché le vittime del conflitto e membri della società civile. La prima indagine avviata dalla Cpi nella Repubblica Democratica del Congo risale al 2002. Da allora, il tribunale ha condannato tre persone per crimini commessi nel Paese. Nel 2023, la procura della Cpi ha inoltre avviato un'indagine sulle accuse di crimini commessi a partire da gennaio 2022 nella provincia del Nord Kivu, nella parte orientale della nazione. L'ufficio di Khan, che ha visitato il Paese nel maggio 2023, ha dichiarato all'inizio di questo mese che l'attuale situazione nella Rdc orientale "fa oggetto di un'indagine che è in corso".
Roma, 25 feb. (Adnkronos Salute) - "L'impegno di Danone per far conoscere alle persone l'importanza di un microbiota in salute nasce 35 anni fa, quando lanciammo Activia, un prodotto che ha la vocazione di migliorare il benessere intestinale di tutti gli italiani. Oggi diamo un'accelerazione a questo impegno grazie alla nuova campagna con la quale lanciamo un nuovo strumento: un questionario online molto semplice, creato su basi scientifiche e in grado di dare un risultato, una specie di assessment, sullo stato di salute del microbiota intestinale dei rispondenti". Così Yoann Steri, digital & data director di Danone Italia, in occasione dell'evento 'Innovazione e benessere: il microbiota al centro', organizzato dall'azienda, illustra l'iniziativa del questionario online validato scientificamente da Giovanni Barbara, tra i massimi esperti di microbiota, che analizza lo stato del microbiota intestinale e consente, in modo semplice, di indicare come le abitudini alimentari e, in generale, lo stile di vita influenzano lo stato del microbiota.
"Attraverso il questionario, il rispondente può avere indicazioni e risultati che gli permettono di migliorare il suo stato di salute attraverso l'analisi di diversi fattori, come lo stress, l'attività fisica, la qualità del sonno e la nutrizione, in cui Activia ha un ruolo molto importante", conclude.