Strappati dalle braccia delle madri subito dopo il parto e affidati agli aguzzini dei propri genitori, per un’adozione forzata che aggiungeva orrore all’orrore. Così finivano molti dei bambini nati in Argentina tra il 1976 e il 1983, i sette terribili anni della dittatura militare, se figli di quegli uomini e donne che il governo considerava “sovversivi” o sospettati di avere rapporti con gli oppositori politici. Storie di bambini (circa 500, secondo l’associazione Abuelas di Plaza de Mayo, che rispetto alle più celebri Madres cercano anche i nipoti degli scomparsi) che spesso non hanno mai conosciuto i loro veri genitori, molti dei quali risultano ancora scomparsi.
Quindici anni dopo la prima denuncia delle Abuelas, otto imputati saranno giudicati per “sottrazione, detenzione, occultamento di minori e scambio di identità”. Alla sbarra alcuni rappresentanti dei vertici politici e militari di quegli anni, tra cui Jorge Videla, che fu la guida del colpo di Stato da cui nacque il regime e poi presidente della Repubblica dal 1976 al 1981, e Reynaldo Bignone, presidente dal 1982 fino al ritorno della democrazia. Al centro del processo, che si annuncia molto lungo e che potrà contare sulla testimonianza di oltre 300 persone, 34 casi di “furto di bambini e scambio di identità”.
È la prima volta che Videla e altri membri della giunta sono processati con l’accusa di avere pianificato il sequestro sistematico dei figli dei desaparecidos. Il Paese ha accolto la notizia con emozione e speranza: il giorno dell’inizio del dibattimento, lunedì 28 febbraio, centinaia di persone hanno affollato l’atrio del Tribunale Federale 6 di Buenos Aires per un processo che, secondo il procuratore federale Federico Delgado, punta a fare giustizia su “uno dei casi più oscuri della storia argentina”.
Le indagini hanno appurato che i neonati erano sottratti alle madri detenute nei centri clandestini di detenzione, consegnati a membri delle forze armate o a terze persone con “l’obbligo di nasconderli ai genitori legittimi”. Ai piccoli veniva poi soppresso lo Stato civile e sostituito con “certificati di nascita falsi per ricostruirne l’identità”. Deportati e fatti “rinascere” in caserme come la Esma e la Olimpo, rese celebri anche da film e documentari, le stesse in cui i loro padri e le loro madri erano torturati e a volte fatti sparire. Tra le vittime anche i deputati Juan Cabandié e Victoria Donda Pérez, che solo da pochi anni hanno scoperto l’identità dei loro padri, che risultano ancora scomparsi.
Centodue persone si sono riappropriate della loro identità grazie al lavoro di investigazione delle Abuelas, e 25 di queste fanno parte dei 34 casi di cui si occuperà il Tribunale di Buenos Aires nei prossimi mesi. Videla era già stato condannato all’ergastolo nel 1985 ma un anno dopo, con l’obiettivo della pacificazione nazionale, il presidente Raul Alfonsín varò le leggi punto final e obedencia debida, che di fatto congelavano i procedimenti e le pene contro le persone coinvolte nei crimini commessi fino al 1983.
Poi, nel 1990, il presidente Carlos Menem varò una serie di decreti di indulto per i crimini compiuti durante la dittatura. L’impunità durò fino al 2003, quando il Congresso dichiarò nulle le leggi volute da Alfonsín, e nel 2007 la Corte costituzionale revocò anche i provvedimenti di Menem. Jorge Videla fu arrestato, e poco dopo gli furono concessi gli arresti domiciliari per motivi di salute. Nel 2010 Videla è stato nuovamente condannato all’ergastolo per la fucilazione di 30 prigionieri politici nel 1976. Sempre lo scorso anno, Reynaldo Bignone è stato condannato a 25 anni di carcere per crimini contro l’umanità.
Secondo il Conadep (Comisión nacional sobre la desaparición de personas), l’organismo che ebbe il compito di indagare sulle violazioni dei diritti umani e sul destino dei desaparecidos, sono 9 mila le persone di cui non si è saputo più nulla. Secondo i dati non ufficiali invece 30 mila oppositori politici (o ritenuti tali) sarebbero scomparsi o morti tra il 1976 e il 1983.