Sarebbe molto facile muoversi sull’onda emotiva generata dalle notizie drammatiche che arrivano dal Giappone per dire un no al nucleare di tipo ideologico, per denunciarne il pericolo. Credo invece che le ondate emotive si esauriscano con lo scendere delle notizie lungo le scalette dei telegiornali. Occorre invece a mio parere fermarsi a ragionare su alcune considerazioni, partendo dai fatti che emergono dalla catastrofe giapponese. E’ utile farlo lasciando da parte le facili emozioni. Mi occuperò di tre fatti e quindi mi permetterò alcune considerazioni su una realtà specifica.

Primo fatto: Il Giappone affronta la crisi più drammatica della sua storia dovendo fare i conti con un sisma che ha rilasciato un’energia spaventosa, pari quasi a nove punti di magnitudo. Si è detto che scosse con analoghe liberazioni di energia non sono possibili nel nostro Paese. La storia ci dice che non è così. Il disastro di Massina e Reggio ha visto, nel 1908 liberazioni di energia superiore a magnitudo 7. Sempre in Sicilia orientale scorre la faglia ibleo maltese che ha provocato analoghe liberazioni di energia nel 1693 e che nel 1990 ha provocato il terremoto di Santa Lucia che, pur con una minore liberazione di energia, ha prodotto vittime e ingentissimi danni. Vi è poi, dall’altra parte dell’Isola, il sistema del Belice che portò al disastro del 1968. Tutto il sistema appenninico è centro di instabilità. Questo sistema, nelle sue varie articolazioni ha provocato terremoti disastrosi (Irpinia, Umbria, San Giulino, L’Aquila, solo per citare i casi più eclatanti). Il sistema alpino anch’esso, come tutte le grandi catene montuose è centro di instabilità sismica (terremoto del Friuli), per farla breve non esiste regione italiana, fatta eccezione forse per la Sardegna esente da alti livelli di rischio sismico.

In alcuni regioni, come la Sicilia e la Campania questo rischio si somma a quello vulcanico.

Secondo fatto: il disastro giapponese avviene sì a causa di una scossa disastrosa, ma avviene, e questo è il dato importante, nel Paese dove vi è il più alto livello mondiale di strutture antisismiche. Tutte le tecnologie antisismiche più avanzate sono attive su quel territorio con strutture di pronto intervento che sono le più preparate a livello mondiale per far fronte a terremoti gravi. Basti pensare che in Giappone scosse di magnituto 7 difficilmente fanno vittime, da noi la strage dell’Aquila è stata provocata da una scossa mille volte inferiore a quella che si è abbattuta sul Giappone.

Insomma il disastro provocato da una straordinaria liberazione di energia avviene in un Paese preparatissimo. Cosa che non può certo dirsi per l’Italia che pure vive condizioni di rischio se non analoghe comunque altissime.

Terzo fatto: la fragilità delle strutture industriali pericolose, prime fra tutte le centrali nucleari e i petrolchimici.

Quelli giapponesi, costruiti con altissimi livelli di sicurezza antisismica, sono nello stato che sappiamo. Non solo le esplosioni e le tragedie radioattive che ci riportano alle spettrali e purtroppo profetiche immagini del sesto episodio di “Sogni” di Akira Kurosawa, ma anche i lampi di fuoco che avvolgevano il grande impianto di raffinazione e di trasformazione di prodotti petrolchimici. Quegli impianti in fiamme, quelle esplosioni ci dicono quello che potremmo vedere sul nostro territorio e segnatamente in Sicilia, una Regione indicata tra quelle dove installare le centrali nucleari e dove comunque risiede il più grande impianto petrolchimico del mediterraneo, quello di Priolo/Melilli, in provincia di Siracusa, sulla Costa Orientale siciliana e alza le sue ciminiere a circa sei miglia dalla faglia ibleo-maltese quella che ha provocato il disastroso terremoto del 1693 e quello del 12 dicembre del 1990. In quest’area, dicono gli esperti dell’INGV, è statisticamente atteso un terremoto di livello distruttivo.

Questi che ho illustrato sono fatti, adesso parliamo dei progetti. Logica vorrebbe che essi, in un territorio di tal fatta, fossero concentrati sulla riduzione del rischio sismico. Non è così. A Priolo non bastano le raffinerie, i grande depositi che stoccano benzina, gasolio, kerosene, greggio e altri prodotti ad altissimo rischio e ad altissimo tasso di inquinamento.

Nei progetti del Governo, avallati con rapida firma, dal ministro per l’ambiente Stefania Prestigiacomo, la cui famiglia ha da sempre più di un interesse imprenditoriale nel petrolchimico, vi è adesso anche quello di impiantare, in questa enorme polveriera, anche un gigantesco rigassificatore. Un impianto che dovrebbe esser realizzato dalla Ionio Gas, una società che vede al suo interno, attraverso vari intrecci societari, il petroliere Garrone, la Shell, ma soprattutto i russi della Lukoil, una delle grandi compagnie energetiche che stanno nel cuore di Vladimir Putin. Sarà solo per mera coincidenza che il Governo italiano, presieduto dal suo grande amico Silvio Berlusconi, stia premendo in ogni modo per superare ogni ostacolo e aprire la via alla realizzazione del mega impianto. Il tutto in una delle aree più sismiche del pianeta.

Ma a sostenere il progetto del rigassificatore non è solo il Governo. C’è anche uno stranissimo schieramento trasversale, tra petrolieri, imprenditori antimafia e politici, a volte di opposti schieramenti tutti uniti in una ben strana Santa Alleanza a favore del rigassificatore.

Dall’impianto non arriverebbe una massa di posti di lavoro, le ricadute occupazionali sono modeste, ma di sicuro arriverebbe un fiume di soldi. Denaro prodotto non solo dalla costruzione, dalle gestione e dalla manutenzione del rigassificatore, ma anche dalla valorizzazione dei terreni limitrofi. Terreni il cui valore avrebbe una forte rivalutazione perchè accessibili dalla catena del freddo generata, come prodotto di risulta, dal mega impianto. Freddo a costo zero, prezioso per le industrie di surgelamento alimentare. Terreni, vecchi capannoni rugginosi e cadenti, che fino a poco tempo fa valevano zero e che, grazie al mega impianto arriverebbero a valere cifre a molti zeri.

E… se Atlante si scuote… chi se ne frega.

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