E così Umberto Bossi aprì il fuoco. E così anche Bossi oggi si “Turigliattizza” e divide con una trincea la sua stessa maggioranza, distillando parole di fuoco e bombardando il suo stesso premier: “Così lo prendiamo in quel posto”, “No agli accordi con i francesi”, “Rischiamo di ritrovarci al Qaeda a casa nostra”, solo per citare le frasi più colorite di un intervento a palle incatenate che ha demolito la politica del governo Berlusconi in meno di mezz’ora. Una presa di posizione così netta da autorizzare un dubbio: che la Lega abbia deciso di scaricare Silvio Berlusconi?
Ecco perché, per capire che cosa davvero stia accadendo dentro il governo, occorre ripercorrere il film di queste ore alla moviola. Solo ieri quello di Bossi sembrava un dissenso morbido, pacato, quasi concordato con Palazzo Chigi, un distinguo che pareva figlio di un gioco dei ruoli per coprire meglio le diverse anime dell’elettorato di centrodestra, (in cui è sempre esistita una componente anti-interventista e una pacifista).
Invece, ieri sera, una accelerazione del senatùr ha fatto precipitare ogni schema: il leader del Carroccio – partendo alla questione libica – ha iniziato ad aprire il fuoco sulla sua stessa maggioranza, contestando l’intervento in Libia addirittura in maniera retroattiva. Una rottura talmente deflagrante con il resto del centrodestra, che c’è da chiedersi se sia una semplice ammuina, oppure se questo scossone non preluda persino a una piccola crisi.
Nella prima fase Bossi era partito cauto. Fino a ieri il leader del Carroccio ricorreva ai paragoni con la posizione tedesca, e a una auto definizione sostanzialmente neutralista. Poi ieri ha scosso il tavolo denunciando un voltafaccia di Berlusconi: “In Consiglio dei ministri – ha detto prendendo l’occasione di un convegno sul federalismo a Como – avevamo concordato di essere più prudenti”. Poi è tornato sul tema: “L’ho detto subito: era meglio essere più cauti. Penso che ci porteranno via il petrolio e il gas e con i bombardamenti che stanno facendo verranno qua milioni di immigrati, scappano tutti e vengono qua”. Quindi l’affondo: “Il mondo è pieno di famosi democratici, da Napoleone in poi e li conosciamo bene sono abilissimi a fare i loro interessi mentre noi lo siamo a prenderlo in quel posto. A volte il maggior coraggio è la cautela”.
Secondo interrogativo, imposto da questo strappo. Alzi la mano chi di voi si è già dimenticato della “turigliatteide”. In realtà è già storia: il 21 febbraio 2007, infatti, la “non partecipazione” del senatore Franco Turigliatto (e del suo collega al senatore Fernando Rossi del Pdci) alla mozione del ministro degli Esteri D’Alema sulla politica estera del governo, fu considerato il segnale premonitore della crisi del governo di Romano Prodi. Per giorni tutti i quotidiani (di destra e di sinistra, indifferentemente) spararono contro i due parlamentari della sinistra radicale, definendoli “irresponsabili” e “Massimilisti”. Si disse, forse persino giustamente, che Turigliatto e Rossi erano la prova che una certa sinistra non aveva la caratura necessaria per stare al governo. E un altro dirigente del Pdci, il compagno Forsini, incontrando il senatore Rossi in un treno, non resistette alla tentazione di sferrargli un gancio da pugile. I giornalisti di sinistra inveivano contro i due perché avevano la coda di paglia. I giornali di destra li crocifiggevano perché era un modo per indebolire la maggioranza. Malgrado tutto questo, quando Prodi ala fine cadde non fu per colpa loro, ma per l’assenza dei centristi eletti nella Margherita, con in testa Lamberto Dini (poi “premiato” con la rielezione dal centrodestra).
Ma se ricordiamo questa storia e queste due memorabili figure, proprio oggi, è perché la scelta della Lega di distinguersi dalla sua maggioranza proprio sulla politica estera, ripropone il problema della tenuta delle coalizioni. Ieri lo strappo di Bossi era stato preannunciato dal direttore di Radio Padania, Matteo Salvini “Continueremo a dire no all’intervento militare in Libia nelle istituzioni e anche nelle piazze”. E nella nottata, il discorso di Bossi, arriva ad evocare lo spettro del terrorismo: “Io spero che alla fine si trovi un equilibrio, anche perché a pagare, come in Afghanistan, siamo solo noi. Siamo lì a fare la guerra con tanti uomini , poi ci arriva in casa al Qaeda”. Scopriremo solo al momento del voto in Parlamento se anche il discorso di Como è destinato a restare una delle tante sparate di Bossi, o se corrisponde a una dichiarazione di guerra. Che in quel caso sarebbe la seconda guerra di Bossi al berlusconismo.
Politica
Bossi contro il governo
“Saremo invasi dai clandestini”
Il leader leghista sbotta dopo l'ok italiano: "Non erano questi i patti, ora ce la prenderemo in quel posto". Spiazzata la maggioranza e c'è chi all'interno del Pdl teme una frattura pericolosa
Ecco perché, per capire che cosa davvero stia accadendo dentro il governo, occorre ripercorrere il film di queste ore alla moviola. Solo ieri quello di Bossi sembrava un dissenso morbido, pacato, quasi concordato con Palazzo Chigi, un distinguo che pareva figlio di un gioco dei ruoli per coprire meglio le diverse anime dell’elettorato di centrodestra, (in cui è sempre esistita una componente anti-interventista e una pacifista).
Invece, ieri sera, una accelerazione del senatùr ha fatto precipitare ogni schema: il leader del Carroccio – partendo alla questione libica – ha iniziato ad aprire il fuoco sulla sua stessa maggioranza, contestando l’intervento in Libia addirittura in maniera retroattiva. Una rottura talmente deflagrante con il resto del centrodestra, che c’è da chiedersi se sia una semplice ammuina, oppure se questo scossone non preluda persino a una piccola crisi.
Nella prima fase Bossi era partito cauto. Fino a ieri il leader del Carroccio ricorreva ai paragoni con la posizione tedesca, e a una auto definizione sostanzialmente neutralista. Poi ieri ha scosso il tavolo denunciando un voltafaccia di Berlusconi: “In Consiglio dei ministri – ha detto prendendo l’occasione di un convegno sul federalismo a Como – avevamo concordato di essere più prudenti”. Poi è tornato sul tema: “L’ho detto subito: era meglio essere più cauti. Penso che ci porteranno via il petrolio e il gas e con i bombardamenti che stanno facendo verranno qua milioni di immigrati, scappano tutti e vengono qua”. Quindi l’affondo: “Il mondo è pieno di famosi democratici, da Napoleone in poi e li conosciamo bene sono abilissimi a fare i loro interessi mentre noi lo siamo a prenderlo in quel posto. A volte il maggior coraggio è la cautela”.
Secondo interrogativo, imposto da questo strappo. Alzi la mano chi di voi si è già dimenticato della “turigliatteide”. In realtà è già storia: il 21 febbraio 2007, infatti, la “non partecipazione” del senatore Franco Turigliatto (e del suo collega al senatore Fernando Rossi del Pdci) alla mozione del ministro degli Esteri D’Alema sulla politica estera del governo, fu considerato il segnale premonitore della crisi del governo di Romano Prodi. Per giorni tutti i quotidiani (di destra e di sinistra, indifferentemente) spararono contro i due parlamentari della sinistra radicale, definendoli “irresponsabili” e “Massimilisti”. Si disse, forse persino giustamente, che Turigliatto e Rossi erano la prova che una certa sinistra non aveva la caratura necessaria per stare al governo. E un altro dirigente del Pdci, il compagno Forsini, incontrando il senatore Rossi in un treno, non resistette alla tentazione di sferrargli un gancio da pugile. I giornalisti di sinistra inveivano contro i due perché avevano la coda di paglia. I giornali di destra li crocifiggevano perché era un modo per indebolire la maggioranza. Malgrado tutto questo, quando Prodi ala fine cadde non fu per colpa loro, ma per l’assenza dei centristi eletti nella Margherita, con in testa Lamberto Dini (poi “premiato” con la rielezione dal centrodestra).
Ma se ricordiamo questa storia e queste due memorabili figure, proprio oggi, è perché la scelta della Lega di distinguersi dalla sua maggioranza proprio sulla politica estera, ripropone il problema della tenuta delle coalizioni. Ieri lo strappo di Bossi era stato preannunciato dal direttore di Radio Padania, Matteo Salvini “Continueremo a dire no all’intervento militare in Libia nelle istituzioni e anche nelle piazze”. E nella nottata, il discorso di Bossi, arriva ad evocare lo spettro del terrorismo: “Io spero che alla fine si trovi un equilibrio, anche perché a pagare, come in Afghanistan, siamo solo noi. Siamo lì a fare la guerra con tanti uomini , poi ci arriva in casa al Qaeda”. Scopriremo solo al momento del voto in Parlamento se anche il discorso di Como è destinato a restare una delle tante sparate di Bossi, o se corrisponde a una dichiarazione di guerra. Che in quel caso sarebbe la seconda guerra di Bossi al berlusconismo.
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Politica
La Camera respinge la sfiducia a Santanchè: “Sulle dimissioni rifletterò”. Conte: “Siete responsabili di un disastro morale”. Schlein: “Meloni ancora in fuga”
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A Milano indagine per evasione fiscale su Twitter-X. Mancati pagamenti Iva per 12,5 milioni
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Francesco, condizioni critiche ma stazionarie: “Nuova tac di controllo”. Ha visto il cardinale Parolin. Buenos Aires in ansia per il ‘suo’ Papa
Tel Aviv, 25 feb. (Adnkronos) - Ofri Bibas, sorella dell'ostaggio liberato Yarden Bibas, ha criticato duramente il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, nonché i notiziari, gli utenti dei social media e i diplomatici pubblici, per aver descritto in dettaglio, contro la volontà della famiglia, gli omicidi avvenuti durante la prigionia della moglie di Yarden, Shiri, e dei suoi figli piccoli Ariel e Kfir. Pubblicare tali informazioni nonostante le ripetute richieste della famiglia è stato "un abuso fine a se stesso nei confronti di una famiglia che ha attraversato 16 mesi di inferno e che deve ancora affrontare il peggio", ha sritto Ofri Bibas su Facebook.
Netanyahu ha descritto l'omicidio dei ragazzi in modo molto dettagliato in un discorso tenuto davanti all'America Israel Public Action Committee e, mentre teneva in mano una foto delle vittime, durante una cerimonia militare tenutasi ieri, in seguito alla quale, la famiglia Bibas ha inviato una lettera di diffida a Netanyahu e ad altri uffici governativi, chiedendo loro di smettere di pubblicare dettagli non approvati sugli omicidi, riporta il sito di notizie Ynet.
Washington, 25 feb. (Adnkronos) - "Questa decisione lacera l'indipendenza di una stampa libera negli Stati Uniti". Lo ha detto il presidente della White House Correspondents' Association Eugene Daniels, criticando l'amministrazione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump per aver affermato che d'ora in poi sarà lei stessa a decidere quali giornalisti potranno seguire gli eventi della Casa Bianca. "In un paese libero, i leader non devono scegliere le testate" da accreditare, ha aggiunto.
Washington, 25 feb. (Adnkronos) - La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha dichiarato durante il briefing di oggi che l'amministrazione determinerà quali organi di stampa faranno parte del pool stampa della Casa Bianca. Attualmente la White House Correspondents Association aiuta a coordinare la copertura del pool.
La Leavitt ha affermato che alle "testate tradizionali" sarà comunque consentito di unirsi al pool, ma ha osservato che l'amministrazione consentirà l'adesione anche ad altri siti. "Sono orgogliosa di annunciare che restituiremo il potere alle persone che leggono i vostri giornali, che guardano i vostri programmi televisivi e che ascoltano le vostre stazioni radio", ha aggiunto.
(Adnkronos) - L'indagine su Twitter International Uk vede due indagati - si tratta di due ex amministratori (un irlandese e un indiano) - che si sono succeduti negli ultimi anni alla guida del social poi rilevato da Elon Musk a fine 2022. L'indagine nasce da un controllo fiscale della Gdf, concluso ad aprile 2024, proprio sulla piattaforma americana, che oggi si chiama 'X', sulla scia delle stesse verifiche fatte su Meta. Il fascicolo è affidato dal pm Giovanni Polizzi, già protagonista di altre indagini sui colossi del web.
Il punto centrale del fascicolo affidato a Polizzi, lo stesso che si è occupato dell'inchiesta su Meta, è l'idea che debbano essere tassate come transazioni commerciali le iscrizioni gratuite alle piattaforme online in cambio della cessione dei propri dati personali, che hanno un valore economico, visto che consentono la profilazione degli utenti.
Solo lo scorso dicembre la procura di Milano ha notificato l'avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti dei rappresentanti legali della società di diritto irlandese Meta, titolare dei social Facebook e Instagram. L'inchiesta - ancora aperta - ipotizza per il colosso l'omessa dichiarazione e mancato pagamento - tra il 2015 e il 2021 - dell'Iva per un totale di oltre 877 milioni di euro.
Washington, 25 feb. (Adnkronos) - La Casa Bianca attribuisce il grosso livido sulla mano destra di Donald Trump, che era visibile durante l'incontro di ieri con il presidente francese Emmanuel Macron, alle strette di mano del presidente americano.
"Il presidente Trump è un uomo del popolo", ha affermato la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt, aggiungendo: "Il suo impegno è incrollabile e lo dimostra ogni singolo giorno. Il presidente Trump ha lividi sulla mano perché lavora costantemente e stringe mani tutto il giorno, tutti i giorni".
Roma, 25 feb. (Adnkronos) - Sono due i momenti della replica di Daniela Santanchè sottolineati dalle opposizioni, che oggi hanno votato compatte la mozione di sfiducia alla ministra del Turismo. Il primo quello sull''intemerata' del tacco 12 e il glamour, della sinistra che odia la ricchezza. Un tentativo di 'buttarla in caciara' e uscire dal merito, grave, della vicenda, dicono le opposizioni. L'altro passaggio è meno di colore e più inquietante, sostengono, ed è quando la ministra ha detto che alla prossima udienza valuterà le dimissioni "ma lo farò da sola - ha scandito- con me stessa, senza nessuna costrizione e forzatura". Una sottolineatura che, secondo le opposizioni, è un chiaro messaggio a Giorgia Meloni. E fa crescere l'interrogativo: perché la premier Meloni si fa trattare in questo modo? E' la domanda dei parlamentari di minoranza in Transatlantico.
Giuseppe Conte intervenendo in aula nelle dichiarazioni di voto ha dato una sua versione: "Ci sono solo due plausibili spiegazioni. La prima è che lei, Santanchè, ricatta Meloni. Può darsi che all'opposizione abbiate condiviso segreti che oggi mettono in imbarazzo la presidente del Consiglio e allora comprenderemmo perché ogni giorno Meloni dice che non è ricattabile... La seconda è che Fdi dopo aver avuto come motto 'legge e ordine', oggi che siete al potere si sentite casta intoccabile. Il caso Delmastro è l'esempio di questa vostra convinzione di essere al di sopra della legge".
Anche Elly Schlein si rivolge alla premier Meloni: "Cosa le impedisce di far dimettere Santanchè? Come è possibile accettare in silenzio, dopo che Santanchè ha detto che del pressing di Fdi se ne frega, che lei e solo lei decide se dimettersi come se non esistesse una presidente del Consiglio?". E insiste: "Meloni è stata campionessa mondiale di richieste di dimissioni e oggi ha disertato quest'aula, come fa non vergognarsi della sua incoerenza, come fa a non rendersi conto di quanto sia vigliacco il suo atteggiamento di continua fuga da quest'aula e dalla realtà? Dove si è nascosta la premier? Forse sta registrando un altro video, un contributo da inviare a una convention fra motoseghe e saluti nazisti?".
Conte ribatte anche al passaggio 'tacco 12' della ministra: "Lei ha detto che odiamo la ricchezza, ma non dica baggianate, siete voi che avete fatto la guerra ai poveri, che odiate i poveri. Noi odiamo o meglio ancora contrastiamo, la disonestà". Una questione, quella dei tacchi e delle borsette, che fa sbottare Schlein: "Lei viene qui a difendere le borsette, chi difende gli italiani dalla bollette? Noi non siamo qui per fare un processo ma per porre una gigantesca questione di opportunità politica: davanti ad accuse così gravi, per non ledere le istituzioni, avrebbe dovuto dimettersi".
La segretaria del Pd si rivolge quindi alla maggioranza: "Speriamo in un sussulto della maggioranza e dei singoli parlamentari. Se oggi salvate Santanchè dimostrate che a voi interessa difendere i vostri più che difendere l'onore delle istituzioni. Questa non è difesa nazionale, è difesa tribale". Per Elisabetta Piccolotti che interviene a nome di Avs, "il problema non è la ricchezza della ministra, il problema è che quando si è ricchi e non si pagano" gli stipendi ai lavoratori e si umiliano "le persone più povere".
Anche Iv, Più Europa e Azione che non avevano sottoscritto la mozione di sfiducia, hanno comunque dichiarato il voto a favore in aula. "Noi sappiamo che la mozione di sfiducia non sarà approvata, ma chiunque si è accorto che la ministra Santanchè non è sfiduciata da coloro che hanno presentato questa mozione ma dalla sua stessa maggioranza, dalla premier Meloni", dice Davide Faraone di Iv. Per Azione Antonio D'Alessio spiega: "Le mozioni di sfiducia non ci piacciono" e "la ministra non è colpevole fino a prova contraria" ma "è il quadro complessivo che finisce con il restituirci una politica rispetto alla quale scivolano via situazioni che non consentono una azione della ministra libera di condizionamenti". Linea simile a Riccardo Magi di Più Europa: "Per noi Santanché dovrebbe dimettersi" non per le questioni giudiziarie, ma "perché ha inanellato una serie di fallimenti da ministro". Intanto in serata l'aula ha respinto la sfiducia con 206 voti.
Londra, 25 feb. (Adnkronos/Afp) - Il primo ministro britannico Keir Starmer ha confermato che ospiterà colloqui sull'Ucraina con gli alleati nel fine settimana, dopo essere tornato dall'incontro con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump alla Casa Bianca. "Ospiterò diversi paesi questo fine settimana per continuare a discutere di come procedere insieme come alleati alla luce della situazione che ci troviamo ad affrontare", ha detto ai giornalisti.