L’avevano definita la “discarica più sicura dell’emergenza rifiuti”. Ma per la Dda di Napoli era uno dei tanti luoghi dove la camorra ha banchettato coi soldi dello Stato, senza curarsi di mettere in sicurezza il sito, fino a consentire che il percolato si infiltrasse nel sottosuolo. Secondo i pm Marco Del Gaudio e Antonello Ardituro, i clan avevano allungato i loro tentacoli sulla discarica di Chiaiano, nella quale viene conferita parte della spazzatura di Napoli, che dovrebbe esaurirsi definitivamente entro giugno. La discarica venne aperta un paio di anni fa. Ma le aziende in odore di criminalità organizzata sapevano in anticipo che sarebbero riuscite ad ottenere l’incarico per la gestione e la costruzione dell’impianto, tanto da organizzarsi già nei mesi precedenti per l’esproprio dei terreni. E una volta ottenuta la conduzione dello sversatoio, queste aziende hanno utilizzando materiale scadente per la sua tutela e messa in sicurezza, mettendo a repentaglio la salute della popolazione circostante. L’argilla utilizzata per stabilizzare e rendere inerti i rifiuti conferiti all’interno della cava di Cupa del Cane era di scarsa qualità e acquistata illecitamente, estratta abusivamente nel salernitano. Il terreno per la copertura, di tipo misto e inadeguato al compito, proveniva da un sito abusivo di proprietà di una famiglia ritenuta vicina ai clan. Di conseguenza, il suolo del sito di Chiaiano, popoloso quartiere di Napoli, è rimasto permeabile al veleno del percolato.
E’ questo il riassunto delle accuse dei magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia (Dda) di Napoli. Accuse riportate in un decreto di perquisizione di quattro pagine eseguito ieri, con il quale i carabinieri del Noe hanno passato al setaccio la discarica, le sedi di quattro aziende sparpagliate tra Napoli, Salerno e Mugnano e le abitazioni di tre delle dieci persone iscritte nel registro degli indagati. L’inchiesta ipotizza reati che vanno dall’associazione per delinquere al falso ideologico, dal falso in registri e notificazioni alla frode in pubbliche forniture e alle violazioni delle norme ambientali. Con l’aggravante di aver favorito la camorra; il pentito Gaetano Vassallo, il ‘ministro dei rifiuti del clan Bidognetti’ teste di accusa in numerosi procedimenti sulla mala gestione dei rifiuti e sugli intrecci tra camorra e politica (tra cui l’inchiesta sul deputato Pdl Nicola Cosentino), afferma che Antonio D’Amico, il cogestore dell’Ibi, la società che amministra il sito di conferimento, è una persona vicina al clan Zagaria dei Casalesi. Sempre secondo Vassallo la famiglia Carandente, titolare della Edilcar, la società che ha ottenuto il subappalto, è legata al clan Mallardo, egemone nel giuglianese.
Gli inquirenti, attraverso pedinamenti e filmati, hanno accertato anche la gestione di una vera e propria discarica abusiva “con un ingente traffico di rifiuti provenienti dall’escavazione in vari lavori”. In pratica la Edilcar dei Carandente raccoglierebbe rifiuti – terra e rocce – sia dalla stessa discarica di Chiaiano che da altri suoi cantieri, poi li trasporta verso il proprio sito a Giugliano – la “discarica abusiva” citata dai pm nel decreto di perquisizione – per poi rivenderli alla stessa discarica di Chiaiano per effettuare le operazioni di ricopertura dei rifiuti con terreno vegetale. Il sito di Giugliano, di circa 15.000 metri quadri, è stato sequestrato.
Nel mirino della Procura Antimafia ci sono dunque l’Ibi Idroimpianti spa, sede legale a Napoli in via Porzio, e l’Edilcar Sas di Franco Carandente Tartaglia &C, due sedi a Mugnano tra via Sansone e via Brodolini. L’Ibi ha gestito e gestisce diversi impianti in Campania oltre a quello di Chiaiano, tra cui la discarica di Savignano Irpino (Avellino) e quello di Bellolampo a Palermo. Ha già subìto una interdittiva antimafia dalla prefettura di Napoli nel dicembre scorso. Il Tar a gennaio ha respinto la richiesta di sospensiva del provvedimento e a giorni potrebbe esprimersi nel merito. L’Edilcar è invece l’azienda che ha ottenuto i subappalti. E’ collegata all’Ibi attraverso alcuni lavori nel ramo dei rifiuti. I pm citano in particolare i lavori di copertura finale delle discariche consortili in località Schiavi e Masseria del Pozzo, dall’importo complessivo di quasi 12 milioni di euro. Ibi ed Edilcar hanno realizzato inoltre la realizzazione della discarica di I categoria in località Schiavi.
Alla notizia degli sviluppi dell’inchiesta, i comitati antidiscarica di Chiaiano e del confinante comune di Marano sono tornati all’attacco per chiederne il sequestro giudiziario, l’immediata chiusura e l’avvio di una bonifica dell’area. “Lo Stato per poter aprire la discarica di Chiaiano è sceso a patti con i poteri criminali, e questa inchiesta è la riprova delle denuncie da noi fatte in questi anni – dichiarano Antonio Musella ed Egidio Giordano portavoce dei comitati e della Rete Commons – siamo davanti ad un disastro che viene fuori con grande ritardo, il 16 maggio infatti è prevista la chiusura della discarica. Siamo stanchi di registrare continuamente le nostre ragioni che vengono supportate sempre più dalle inchieste giudiziarie. Bisogna mettere una parola fine alla vicenda di Chiaiano ed adoperarsi da subito per la bonifica dell’intera zona”. “E’ assurdo che la magistratura non abbia sequestrato la discarica – rincarano Musella e Giordano – è come sostenere che un palazzo sia costruito con materiale scadente, ed una volta accertato il fatto si lasci costruire lo stesso senza scongiurare un disastro ulteriore. Mentre l’ulteriore assurdità della vicenda è che ancora oggi sono in atto misure di restrizione della libertà per quegli attivisti che hanno denunciato questo scempio in questi anni”.
Chiede il sequestro della discarica anche il candidato sindaco di Idv e della Federazione della Sinistra, l’europarlamentare Luigi De Magistris, che nei mesi scorsi ha visitato l’impianto: “Va posta sottosequestro e la zona bonificata, come chiedono gli abitanti e i comitati, al fianco dei quali ci siamo sempre schierati”. Il sindaco di Marano, Salvatore Perrotta, ricorda: “Il tempo è galantuomo, ma talvolta lo è troppo tardi. Così come, è bene evidenziarlo, quest’inchiesta sbugiarda i tanti pseudo-paladini della legalità che nei giorni della protesta sostenevano che fosse alimentata dai clan: come si vede, i clan avevano interesse a realizzarla, la discarica, non a contrastarla”. E secondo il presidente campano di Legambiente, Michele Buonomo, questa inchiesta “ancora una volta mina la fiducia dei cittadini nello Stato e la sua credibilita’. Dov’era chi doveva controllare quella che era stata spacciata come la discarica piu’ sicura dell’emergenza? E’ sull’assenza e le mancanze dello Stato che la camorra fa affari d’oro, una holding di colletti bianchi, imprenditori conniventi, criminali che da decenni ha decretato quell’area, fino al giuglianese, come ‘piano regolatore della camorra’ dei rifiuti”.