Un prestito di cinquantamila euro. Consulenze per realizzare polveriere e auto blindate in Guinea Conakry, all’epoca nelle mani di un dittatore. La storia è in un fascicolo della Procura di Genova che pareva destinato al dimenticatoio. E che invece potrebbe tornare alla ribalta, sollecitando spiegazioni all’attuale dirigente delle specialità della polizia (Polstrada, Polfer, Polaria, Polposta), Oscar Fioriolli e ad alcuni protagonisti dei processi del G8 (nessuno di loro, va detto, è indagato).
Sono passate poche settimane da quando il comandante della Polizia di Stato, Antonio Manganelli, ha scritto una lettera al quotidiano Il Secolo XIX invitando i protagonisti del G8 a chiudere una ferita ancora aperta. Un messaggio importante, ma prima c’è almeno un capitolo da chiarire: i rapporti di alcuni pezzi grossi della polizia con Fouzi Hadj. Di chi parliamo? Di un imprenditore siriano che tratta rottami di ferro, miniere, sicurezza, finanza, calcio tra Ucraina, Lettonia, Svizzera e soprattutto Guinea Conakry. Una persona che in un dossier della ong Human Rights Watch fatto proprio dall’Onu viene indicato come trafficante d’armi (fornite, si dice, ai ribelli della Liberia), un uomo amico di dittatori africani che ha un fascicolo a suo nome negli uffici Digos di Genova nell’armadio dedicato ai mediorientali sospetti.
La storia comincia nel 2004: Bruno Nedelec, giudice istruttore di Montecarlo che indaga per riciclaggio, avanza una rogatoria ai colleghi genovesi su Fouzi Hadj, residente a Pieve Ligure. La Procura apre un fascicolo a carico di anonimi che inspiegabilmente fa poca strada. Ma il destino vuole che proprio i pm del G8, Enrico Zucca e Francesco Albini Cardona, prendendo un’altra strada, arrivino a lui, al siriano, e alle sue frequentazioni.
Dalle intercettazioni emerge che Fouzi Hadj intrattiene rapporti con alcuni poliziotti. Uno è Oscar Fioriolli, all’epoca questore di Genova, poi di Napoli (è indagato dai pm napoletani che si occupano degli appalti Finmeccanica). Dall’inchiesta risulta che Fioriolli ha ricevuto dal siriano cinquantamila euro che arrivavano da Multibanka, uno degli istituti di credito a quel tempo in una black list del governo americano. “È un prestito”, fu la spiegazione dell’alto dirigente. Nessuno, però, ha chiesto a Fioriolli il perché di un tale prestito da un siriano amico di dittatori africani. Né Fioriolli ha mai provato di aver restituito i cinquantamila euro. Dagli accertamenti degli investigatori è emerso che, almeno sui conti correnti di Fouzi, i soldi forniti a Fioriolli non sarebbero tornati indietro.
Ma è soltanto l’inizio. Le intercettazioni rivelano che Fioriolli in quel periodo avrebbe aiutato l’amico siriano che doveva acquistare la Lucchese Calcio (e finì in un processo per bancarotta). Fioriolli assicura al siriano di essere pronto a contattare l’allora sindaco di Lucca, Pietro Fazzi, attraverso il questore della città. Ed ecco la successiva telefonata di Fouzi a Fioriolli: “Il sindaco è arrivato tutto spaventato. Tutto sull’attenti. E gli abbiamo esposto a lui siccome penso che i tuoi colleghi gli hanno spiegato la situazione”. Fazzi ha ricordato: “Il questore Maurizio Manzo (che fu dirigente dell’ufficio stranieri a Genova negli anni ’90, ndr) mi disse che gli aveva telefonato Fioriolli per raccomandare Hadj e garantire che si trattava di una persona affidabile”.
Fioriolli non ha mai spiegato le ragioni del suo interessamento per l’operazione milionaria di Fouzi. Così come gli inviti nella villa di Fouzi a Pieve Ligure (Natale 2004) e a Montecarlo. Già, Fouzi invitava molta gente a Montecarlo, magari per il Gran Premio. Era un ambiente allegro, pieno di distrazioni, frequentato da poliziotti e, pare, da nomi noti anche delle istituzioni. Fouzi aveva molti amici nella polizia. Si arriva al paradosso che, durante un colloquio tra Fioriolli e Fouzi, il questore si fa passare al telefono un suo dirigente che si trova in compagnia del siriano. Tra i poliziotti amici di Fouzi c’è Peppino Sanna, all’epoca sovrintendente della Digos e fedelissimo di Fioriolli. Sanna è forse l’unico ad averci rimesso qualcosa: non ha subito inchieste, ma ha lasciato di sua iniziativa la Digos.
Nelle carte dell’inchiesta si trovano altri nomi del G8, come Spartaco Mortola, all’epoca capo della Digos di Genova, poi condannato in appello a 3 anni e 8 mesi per i fatti di Genova. Mortola è un altro degli ospiti di Fouzi, e un suo familiare, grazie al siriano, ha trovato per qualche tempo lavoro in Guinea. C’è poi Marcellino Melis, il capo degli artificieri di Genova, quello, per capirci, che passò all’onore delle cronache per aver perso un elemento di prova decisivo nell’inchiesta del G8: la famosa bomba molotov. Melis si occupa per Fouzi di affari di varia natura, come la blindatura di un’auto destinata al dittatore della Guinea, Lansana Contè, morto nel 2008. Un altro amico di Fouzi. E qui si apre il filone più inquietante dell’inchiesta: la consulenza che, sospettano i pm, sarebbe stata fornita ai governanti della Guinea per la realizzazione di un deposito di esplosivi. Un teste segreto ha ricostruito la vicenda fornendo agli inquirenti prove documentali. Sembrava un capitolo chiuso, con sollievo di molti. Ma ora il fascicolo sta per riaprirsi.
da Il Fatto Quotidiano del 23 marzo 2011