Tremila massoni su ventimila iscritti al Grande Oriente d’Italia. Tanti sono quelli che si sono dati appuntamento in riva all’Adricatico per la tre giorni di Rimini del Grande Oriente d’Italia, dedicata quest’anno ai 150 anni dell’unità d’Italia. Al Palacongressi del capoluogo romagnolo si respira l’aria delle celebrazioni solenni e padrino dal talk d’apertura è Alessandro Cecchi Paone che dichiara di non essere lì per ammirazione verso la loggia di Palazzo Giustiniani, ma per appartenenza. Massone anche lui, dunque, per tradizione familiare e per convinzione.
Della spaccatura che si è aperta – e con il tempo approfondita – con l’elezione, dodici anni fa, di Gustavo Raffi al gran maestro non si parla. O, meglio, si minimizza. Frange etichettate come vecchi appartenenti alla massoneria italiana che mal avrebbero digerito la svolta verso la trasparenza su cui Raffi torna a più riprese.
E anche sulle ombre della storia di compassi e cappucci si tende a tagliar corto. Quest’anno, infatti, ricorre anche un altro anniversario, in trentesimo, della scoperta degli elenchi della P2. “Licio Gelli?” chiede Raffi. “Un nemico, qualcuno che sta alla massoneria come le Brigate Rosse stavano al partito comunista. Entrambi, noi e è il partito, siamo delle vittime in queste storie”.
E invece sulle cosiddette P3 e P4, scoperte nel giro di poco più di un anno e che comprendono personaggi iscritti a logge? “Chi sono questi signori?” prosegue il gran maestro. “Di certo non massoni, è gente che cura interessi che nulla hanno a che vedere con ciò che ci porta a entrare in massoneria e a portarne avanti gli ideali”.
Ideali che, a dire di Raffi, sarebbero improntati a una profonda democraticità. Allora lei ci può far vedere quali sono le categorie professionali più rappresentate in massoneria? Ci può dimostrare dunque che non sono solo avvocati, docenti universitari o medici. La riservatezza vince sulla trasparenza e le statistiche non ci sono, ma forse un giorno verranno elaborate e rese pubbliche. E le liste dei vostri iscritti, anche quelle, un giorno le metterete a disposizione? La risposta è accompagnata da un sorriso, da un movimento delle mani che sembra dir “cosa vuole?”, e le parole: “Quando lo faranno anche gli altri. Quando ci sarà una legge che lo impone e che tutelerà i massoni dal clientelismo”.
In apparenza, parlando in giro, non c’è alcun segreto da serbare. Da quando, dodici anni fa, Raffi è diventato gran maestro, la consegna è stata la trasparenza. E così, per partecipare all’evento, basta una mail all’indirizzo dell’ufficio stampa del Goi con i nomi da accreditare e si riceve puntare – e gentile – la risposta. “Vi aspettiamo”.
Poi capita che il primo giorno, in sala stampa, si presenti un solo giornale e, tra i benvenuti e le disponibilità, succede anche di sentirsi raccomandare di non riprendere i volti e, soprattutto, di non cercare di intervistare la gente in giro. Le interviste vanno concordate e allora si chiede di poter parlare con Raffi, impegnato nell’appuntamento di apertura.
“Intanto potete girare. Però, se prima volete vedere le prove dell’apertura della sala del tempio, venite in regia”. E allora la bandiera portata avanti a passo sostenuto, l’inno a gioia di Beethoven, la coreografia che fa da (contro)altare a una manifestazione .
Doppi petti scuri, abiti da matrimonio importante, niente jeans, per una giornata primaverile particolarmente calda in cui, tra gli stand, c’è stupore nel vedere una telecamera e un blocco note. Più volte, gli sguardi non sembrano amichevoli e talvolta qualcuno esplicita la sua riprovazione.
“Vedi cosa c’è scritto lì?”, dice un uomo indicando un manifesto su cui c’è scritto “se ti porta qui la curiosità, vattene”. “Ecco, non serve aggiungere altro”.
Questo l’atteggiamento di diffidenza. Un’apertura all’esterno non c’è. Ma soprattutto i tremila a Rimini sono i volti conosciuti. Gli altri diciassette mila sono rimasti a casa.