La scrittrice Michela Murgia denuncia nel suo blog un tentativo di intimidazione dell’Ordine dei Giornalisti di Cagliari, che vorrebbe vietarle un benemerito laboratorio di giornalismo che ha organizzato in Sardegna. Scrive Michela:
“L’indicazione ufficiosa che è emersa è chiara: se uno solo di questi ragazzi scrive anche mezza riga di materiale giornalistico in una testata a me riconducibile, parte una denuncia a lui e a me per esercizio abusivo della professione. Se invece il “prodotto” del laboratorio compare in uno spazio che giornalistico non è, per esempio il mio blog, sarò comunque denunciata per stampa clandestina. Entrambe sono cause penali e non sono così sprovveduta da ignorare che con tutta probabilità le perderei”.
C’è solo un errore in quello che scrive Michela: non perderebbe un bel niente. In nome della libertà, della democrazia, dell’articolo 21 della Costituzione e della legalità che garantisce le tre cose prima elencate, Michela Murgia e i giovani iscritti al suo laboratorio dovrebbero salutare l’Ordine dei Giornalisti della Sardegna con la stessa graziosa levità usata da La Russa per Fini alla Camera. Consiglierei in aggiunta, tanto per darsi un tono, il gesto dell’ombrello, non esagerato ma energico.
Spiego perché. Purtroppo molti giornalisti non conoscono bene l’italiano. Esercizio abusivo della professione significa esercizio abusivo della professione, non dell’attività giornalistica. La professione è, secondo il Devoto Oli, che purtroppo non è allegato alla legge istitutiva dell’Ordine dei Giornalisti (e i risultati si vedono), “attività esercitata in modo continuativo a scopo di guadagno”. Del resto, lo dico per i non giornalisti, siccome per ottenere l’iscrizione all’Ordine uno dei requisiti richiesti è avere svolto attività giornalistica, anche un bambino di quattro anni, e quindi anche un giornalista, capirebbe che l’attività giornalistica per i non iscritti all’Ordine è consentita.
Tutto questo è stato per esempio spiegato dall’Ordine dei Giornalisti della Lombardia (non dalla Federazione Anarchica) nella sentenza di condanna di Vittorio Feltri del 19 aprile 2010, dove si legge tra l’altro:
“In estrema sintesi, dunque, la legge istitutiva dell’Ordine non osta in alcun modo a che tutti possano collaborare ad un giornale senza essere iscritti. Nega però la possibilità di svolgere tale attività in maniera professionale, ovvero «in maniera stabile, continuativa, sistematica e retribuita»[6]. Nella stessa logica del legame tra professionalità e responsabilità, la legge riserva ai soli iscritti all’albo – siano essi professionisti o pubblicisti – la direzione responsabile di giornali, periodici e agenzie di stampa di carattere nazionale (art. 46 l. 69 del 1963 e Corte cost. n. 98 del 1968). Tale linea di demarcazione tra attività di carattere saltuario e attività continuativa è accolta anche dalla Corte di Cassazione, che nel 1971, in una delle rarissime pronunce in materia di esercizio abusivo della professione giornalistica, sancisce che «poiché la Costituzione garantisce a tutti il diritto di manifestare il proprio pensiero liberamente e con ogni mezzo di diffusione, ogni cittadino può svolgere, episodicamente, l’attività di giornalista. Non commette pertanto il reato di abusivo esercizio della professione di giornalista, di cui agli artt. 348 cod. pen. e 45 legge 3 febbraio 1963, n 69, colui che, senza essere iscritto all’albo dei giornalisti o in quello dei pubblicisti, collabori saltuariamente ad un periodico venendo retribuito volta per volta»”.
L’attività giornalistica è un elemento di libertà per tutti, e l’idea che ci sia qualche giornalista burocrate che si arroga il diritto di decidere chi la può svolgere e chi no fa semplicemente sorridere. Che si parli di stampa clandestina nell’era del web fa poi addirittura rotolare in terra dalle risate: l’Ordine dei Giornalisti della Sardegna dovrebbe denunciare anche l’Huffington Post, beccando qualcuno che lo legge da un computer situato a Cagliari o a Oristano. Oppure Michela può appoggiare il suo Laboratorio su un server situato a Lugano, e tanti saluti. Neppure il Partito Comunista Cinese nella sua guerra contro Google era arrivato a tanto.
Ricordo per completezza il caso di Pino Maniaci, direttore di Telejato, coraggioso giornalista antimafia non iscritto all’Ordine, che è stato puntualmente denunciato per esercizio abusivo della professione e puntualmente assolto il 26 giugno 2009 dal tribunale di Partinico nonostante svolgesse, lui sì, effettivamente “la professione”.
In conclusione vorrei invitare Michela Murgia ad andare avanti nel suo bellissimo laboratorio giornalistico volontario senza cambiare una sola virgola del programma stabilito. L’Ordine dei Giornalisti non può, e non deve, fare niente. E se chiede di essere sfidato la sfida va accolta. (Per maggior tranquillità legalitaria, che piace anche a me, metto comunque fin d’ora a disposizione per qualsiasi cosa vorrà pubblicare il laboratorio la mia firma di giornalista professionista iscritto all’Ordine).
Una replica del presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Sardegna
Dopo aver letto il mio post e i primi commenti, il presidente dell’Ordine della Sardegna Filippo Peretti mi ha scritto per spiegare il suo punto di vista, che potete qui leggere.
1) L’Ordine dei giornalisti della Sardegna, avendo ricevuto alcune segnalazioni, ha assunto informazioni sul corso di giornalismo organizzato da Michela Murgia e ha ritenuto di non avere obiezioni da fare in quanto la scrittrice aveva ben chiarito nel suo blog, ad esempio, che il corso non era finalizzato all’accesso alla professione. E tanto ho comunicato informalmente alla stessa Murgia che aveva chiamato per chiarimenti.
2) Nello stesso incontro con Michela Murgia e due giornalisti coinvolti nel corso c’è stata diversità di vedute su due punti. Il primo è legato al fatto che, avendo parlato la Murgia di una redazione, ho fatto presente che in questi casi occorre seguire le regole, che non sono illiberali, anzi: basta registrare la testata e tutto finisci lì, senza chiedere permesso a nessuno. Il secondo punto di dissenso è sulla pubblicazione immediata degli elaborati dei corsisti: nell’esprimere la mia opinione, ho fatto riferimento, per analogia, ai corsisti e agli stagisti che frequentano le redazioni dei giornali: i loro elaborati non possono essere pubblicati. E io stesso ho suggerito soluzioni alternative e immediatamente praticabili.
3) I riferimenti all’esercizio abusivo della professione e alla stampa clandestina sono stati fatti perché la stessa Murgia ha chiesto di sapere su quali basi normative si fondavano le linee da me espresse. Non ci sono state né minacce né intimidazioni, tanto che la stessa Murgia mi ha ringraziato, anche sul blog, della cortesia da me usata con i suggerimenti alternativi.
4) Rispetto tutti coloro che sono favorevoli all’abolizione dell’Ordine dei giornalisti. Chiedo rispetto per chi è di opinione diversa. Fra questi ci sono anche io, che però, come è documentato nel sito dell’Ordine dei giornalisti della Sardegna, sono favorevole a una riforma radicale: totale libertà di accesso all’Albo, ma più forte vigilanza deontologica mediante un organo di autogoverno aperto a soggetti esterni alla professione, quali Garante Privacy, Agcom, editori e via elencando.
5) Riassumo per la conclusione: non ho mosso obiezioni sul corso, ho suggerito soluzioni per far comunque esercitare i corsisti, ho incoraggiato la registrazione della testata giornalistica per favorire, anche attraverso una forma di controinformazione, la crescita del pluralismo, ho proposto una riforma dell’Ordine all’insegna della massima apertura. Credo quindi che non sia corretto far passare me e l’Ordine che pro tempore rappresento come censori medievali.
Mia breve controreplica
Ringrazio Peretti per la cortesia del suo intervento. Come i lettori possono vedere questa non è una polemica, sono semplicemente punti di vista diversi, e quindi utili a capirsi. Resto dell’idea che l’Ordine o Albo dei Giornalisti è inutile, tanto più se chiunque si può iscrivere (e quindi, immagino, nessuno può essere espulso). Per questo basta riconoscere il diritto di fare informazione e chi sia iscritto alle liste elettorali, mantenendo come unica tutela dell’interesse pubblico la rintracciabilità del responsabile dell’informazione che viene diffusa. Paragonare poi l’attività giornalistica volontaria dei “corsisti” di Michela Murgia a quella degli stagisti nei giornali è a mio parere improprio. I primi esercitano un loro diritto di libertà, i secondi sarebbero costretti a lavorare gratis per un’azienda, e per questo sono inibiti dal “produrre”. L’affare è maledettamente complicato perché il giornalismo è una professione ma anche un diritto di libertà dei cittadini. Per i medici è più facile, non esistendo il diritto costituzionale di praticare al prossimo operazioni chirurgiche. Ma per i giornalisti bisogna andarci piano con le regole. Il rischio di tutele illiberali è sempre in agguato.