Il debito aumenta, la crescita rallenta, l’occupazione non migliora. Sembra un motivo già sentito e infatti lo è. Anche questa volta. In una pausa tra un voto e l’altro nella giornata chiave per l’approvazione del processo breve, il governo affida a Giulio Tremonti il compito di aggiornare le stime sul futuro dell’economia italiana. Un futuro poco incoraggiante, tanto per cambiare, sospeso nell’eterno limbo che separa le tragedie greche dagli entusiasmi tedeschi. Un quadro stantio che si ripropone con regolarità evidenziando la persistenza di problemi tuttora irrisolti. “Il nostro Paese, non corresponsabile della crisi, vi è entrato già debole, ha pagato un prezzo alto di riduzione del reddito e dell’occupazione, ne esce con i suoi problemi strutturali ancora da risolvere” ha dichiarato oggi a Torino il Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi. Una sintesi estrema eppure molto efficace. Che il documento di Decisione di economia e finanza (Def) approvato oggi in Consiglio dei Ministri conferma in modo evidente nelle sue cifre chiave.
Nel corso del 2011 l’economia italiana crescerà dell’1,1% (contro la precedente stima dell’1,3) andando incontro a modeste accelerazioni negli anni successivi (1,3% nel 2012, 1,5 nel 2013) per poi toccare quota 1,6% nel 2014. Come a dire che si dovranno attendere tre anni prima di agganciare l’attuale media europea su cui pesa tanto la locomotiva tedesca quanto la zavorra delle periferie (con Grecia, Irlanda e Portogallo a tirare la volata al ribasso). Tutto risaputo, come si diceva, visto che le cifre le aveva già fornite nei giorni scorsi il Fondo Monetario Internazionale evidenziando, guarda caso, la debolezza delle prospettive italiane.
E’ un dato chiave, quello della bassa crescita, un problema endemico che caratterizza da un paio di decenni il nostro sistema e che evidenzia ricadute ovvie sul fronte del lavoro. Il tasso di disoccupazione, fa sapere il governo, resterà sostanzialmente costante con un calo molto ridotto negli anni a venire. Si va dall’8,4% registrato tuttora all’8,1% previsto per il 2014. In altri termini, una crescita occupazionale pari a 1/10 di punto all’anno per il prossimo triennio. Se questa è ripresa…
E poi c’è il problema dei problemi, quello dei conti pubblici. Il rapporto debito/Pil toccherà quest’anno la soglia del 120% per poi calare nel corso del 2012 fino a quota 119,4. Qui il governo si conferma più ottimista del Fondo che, nell’ultima stima, ha parlato di una chiusura 2011 al 120,3% confermando l’inversione di tendenza (120,0) per l’anno seguente. Ma è sulla questione del deficit (gli interessi sul debito che chiamano in causa il costo del suo rifinanziamento attraverso le emissioni obbligazionarie) che l’ottimismo di Tremonti collide con il realismo degli osservatori internazionali. Il superministro parla di un 3,9% per l’anno in corso ipotizzando un rientro nei parametri di stabilità (rientro parziale visto che il debito complessivo resta abnorme) per il 2012 quando il dato, afferma il governo, dovrebbe collocarsi al 2,7%. Il Fmi è assai meno ottimista: 4,3% quest’anno con un calo al 3,5% nel 2012. La strada è ancora lunga, insomma.
Accanto al capitolo stime si colloca poi la presentazione del Piano nazionale per le riforme, la strategia con la quale il governo si impegnerebbe a rilanciare l’economia. Per ora, però, siamo solo alle dichiarazioni di principio. Nove le aree di intervento indicate dall’esecutivo (occupazione, federalismo, consolidamento della finanza pubblica, lavoro e pensioni, mercato, concorrenza ed efficienza amministrativa, energia e ambiente, innovazione e capitale umano, infrastrutture e sviluppo, sostegno alle imprese). Di tutto un po’, insomma, senza indicazioni particolarmente precise eccetto una, quella relativa al piano energetico. L’Italia, per il momento, frena sul nucleare ammettendo il peso del disastro giapponese nella discussione sulla questione della sicurezza degli impianti. A ben vedere, l’unica buona notizia del giorno.
Per il resto, il significato è chiaro, come aveva già fatto intendere Tremonti all’apertura del suo discorso. “L’unico messaggio responsabile e nell’interesse del Paese – ha affermato il ministro – è che non esistono i presupposti per una crescita duratura ed equa senza stabilità dei conti pubblici”. Come a dire che il rigore dei conti, ovvero il loro aggiustamento, rappresenta l’unica strada irrinunciabile. E siccome l’economia non cresce a sufficienza (“All’Italia serve una crescita attorno al 2% e una riduzione del deficit dello 0,5%” ha sottolineato Draghi sbagliando solo il modo verbale, l’indicativo invece del condizionale) e il piano di intervento implicherà nuove spese, ecco che la parola magica diventa una sola: tagli. Ne sono consapevoli i colleghi ministri che già ieri mettevano le mani avanti a protezione delle proprie aree di competenza – “Ai funzionari io non taglio nulla” ha tuonato Mariastella Gelmini – ma ne sono consapevoli soprattutto i cittadini. Che attraverso tasse esplicite e occulte (le tariffe) saranno chiamati ancora una volta a sostenere i conti dello Stato.