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G8 di Genova, la nostra stanza delle torture

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“Fatti estranei al sistema giuridico dei Paesi occidentali”. Ecco come si può riassumere in un rigo le 700 pagine delle motivazioni della sentenza di condanna di secondo grado pronunciata dalla Corte d’Appello di Genova lo scorso 5 marzo 2010, e depositate il 15 aprile 2011, sulle torture che le cosiddette “forze dell’ordine” perpetrarono in seguito al G8 di Genova del 2001.

I reati contestati agli imputati erano abuso d’ufficio, violenza privata, falso ideologico, abuso d’autorità nei confronti di detenuti o arrestati, violazione dell’ordinamento penitenziario e della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Per questi reati la Corte d’Appello, presieduta dal magistrato Maria Rosaria d’Angelo dopo undici ore di camera di consiglio, aveva confermato il 5 marzo la sentenza di primo grado a carico di quattro imputati, mentre aveva dichiarato di non poter procedere nei confronti di altri 28 imputati per prescrizione dei reati. Nel dettaglio, la Corte d’Appello aveva condannato a un anno di reclusione l’ex vice della Digos di Genova, Alessandro Perugini (condannato in primo grado a due anni e tre mesi), un anno ad Antonio Del Giacco (due anni e tre mesi in primo grado), otto mesi ai suoi colleghi Sebastiano Pinzone (due anni), Enzo Raschellà e Luca Mantovani (un anno e dieci mesi). La corte aveva inoltre dichiarato prescritti i reati di calunnia, lesioni e arresto illegale, mentre erano rimaste in piedi le accuse di falso aggravato.

Le pene non prescritte sono state oltretutto condonate, poiché l’ordinamento italiano non riconosce il reato unico di tortura. Reato che esiste in molti altri ordinamenti europei e che avrebbe consentito ai magistrati di condannare in modo più pesante i colpevoli, e quindi di non veder condonata la loro sentenza. L’Italia ha ratificato una convenzione Onu del 1987 che vieta la tortura, ma in questi ventiquattro anni il Parlamento di Roma non ha mai approvato una legge che istituisca il reato di tortura. Solo il governo Prodi, nel dicembre del 2006, ha votato alla Camera una legge in questo senso, ma il ddl non è mai arrivato all’approvazione definitiva del Senato.

Leggendo le motivazioni della sentenza, pubblicate sul sito del Secolo XIX, Perugini “aveva l’assoluta contezza dell’antigiuridicità delle condotte che, anche nella percezione intellettiva del pubblico ufficiale, vengono percepite come fatti estranei al sistema giuridico dei Paesi occidentali, caratterizzato questo da principi insuperabili di garanzie all’integrità fisica e morale del soggetto e al diritto di non essere privati della libertà senza la pronuncia di un’autorità giudiziaria”.

Ripenso al recente proclama di Alberto Asor Rosa sul Manifesto, in favore di un golpe in cui la “prova di forza che […] scenda dall’alto” sia affidata ai Carabinieri e alla Polizia, e lo confronto con la lettura delle motivazioni della sentenza del G8. Scrivono i giudici: Richiamarsi platealmente al nazismo e al fascismo, al programma sterminatore degli ebrei, alla sopraffazione dell’individuo e alla sua umiliazione, proprio mentre vengono commessi i reati contestati o nei momenti che li precedono e li seguono, esprime il massimo del disonore di cui può macchiarsi la condotta del pubblico ufficiale”.

Sono questi i Carabinieri e la Polizia a cui davvero Asor Rosa pensa di poter affidare il comando di un golpe? Lascio ancora la risposta alle motivazioni dei magistrati: “Questo richiamo ai principi posti a fondamento dei regimi sterminatori razzisti non è solo condotta antitetica ai principi e ai valori costituzionali che sono stati elaborati e codificati proprio per erigere un baluardo giuridico contro i principi e i valori espressi da regimi abietti, ma costituisce il più infimo grado di abiezione di cui può macchiarsi la condotta del pubblico ufficiale della Repubblica italiana che ha prestato giuramento di fedeltà alla sua Costituzione.

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