Due anni di crisi pesante fatta di cassa integrazione, crollo del fatturato e delle commesse, aumento dei debiti verso fornitori e banche, la svendita dell’azienda a una polisportiva di basket al costo di un euro, l’entrata in scena di un grande gruppo toscano il cui ruolo non è stato subito chiaro. E ancora 44 giorni di presidio permanente da parte dei lavoratori, l’intervento del Tribunale fallimentare e la presa in carico da parte di un curatore che quattro giorni fa ha fatto ripartire la produzione e ha preso in mano le carte per fare chiarezza. Sono questi, per sommi capi, gli elementi principali dell’intricata vicenda della Verlicchi di Zola Predosa che in due anni ha visto franare il suo fatturano da 44 milioni di euro a 8milioni e che secondo indiscrezioni, al momento della vendita aveva un debito che si aggirava tra i 15 e i 20 milioni di euro.
Sono stati tre mesi caldi per l’azienda produttrice di telai per moto della provincia di Bologna che lavorava principalmente su commesse Ducati e Bmw.
Le quote dell’intera Verlicchi (comprendente la casa madre di Zola Predosa più le due controllare abruzzesi, tra cui quella di Casoli) erano state infatti vendute, all’inizio di febbraio, al costo di un euro, da Alessandro Verlicchi, figlio dello storico proprietario, alla Jbf, una polisportiva di basket femminile senza giocatrici di Pontedera, controllata dal Gruppo Caponi, e che ha come ad Mariano Bertelli, già condannato per bancarotta a Firenze nel 2001 e legato in quegli anni all’attuale ministro per lo sviluppo economico Paolo Romani. Bertelli infatti nel febbraio del 2001 aveva rappresentato Romani all’assemblea sociale della concessionaria pubblicitaria della rete televisiva Lombardia 7 di cui il ministro era proprietario e animatore.
La Jbf, solo una delle numerose aziende che fanno riferimento al Gruppo pontederese, è quanto rimane della Castellani basket Femminile che due anni fa, dopo numerose vittorie, era stata promossa in A1 e aveva vinto la Coppa Italia. La partecipazione al campionato superiore avrebbe comportato per Caponi trovare nuovi sponsor in grado di finanziarne l’iscrizione e affrontare i costi della stagione in serie A1. Gli sponsor non arrivarono dunque Caponi diede le dimissioni da presidente e la società, dopo aver perso anche lo sponsor principale Castellani produttore di vini, si trasformò in una scatola vuota. Quella stessa scatola vuota è stata utilizzata per acquistare la Verlicchi e secondo quanto emerge da un’intervista a Caponi rilasciata il 23 marzo scorso al quotidiano Il Tirreno non sarebbe che “una società veicolo che abbiamo utilizzato per portare a termine l’operazione in tempi stretti”.
Che la Jbf potesse essere solamente una società veicolo era apparso chiaro fin dall’inizio, infatti immediatamente dopo la vendita l’ufficio personale della Verlicchi era stato spostato presso la controllata del Gruppo Tecnocontrol Pontedera, il cui ad è Massimo Stella, coinvolto nell’inchiesta sulla frode Eminflex nel 2002, e più volte mandato a rappresentare la proprietà della Verlicchi nel corso di trattative sindacali e incontri con le istituzioni cittadine e provinciali. Inoltre gli operai che l’11 marzo scorso avrebbero smontato i macchinari dell’azienda di Zola Predosa e tentato di prelevarli dissero di essere stati mandati proprio da Caponi.
Proprio il tentativo di prelevare i macchinari dalla Verlicchi per portarli in Toscana è stato l’evento scatenante che ha acceso i lavoratori dell’azienda, da diversi mesi senza stipendio, la cui cassa integrazione era scaduta il 7 marzo e che avevano più volte accettato di continuare a produrre con la promessa, vana, che sarebbero stati pagati. Prima di riuscire ad ottenerne il fallimento e poi la ripresa della produzione, avvenuta quattro giorni fa, per 44 giorni gli operai hanno presidiato l’azienda 24 ore su 24 per impedire nuovi tentativi da parte di Caponi di sottrarre le strumentazioni per la produzione.
Con l’obiettivo di vederci chiaro all’interno di questo intreccio nebuloso, la Fiom-Cgil e la Fim-Cisl il 23 marzo scorso avevano presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Bologna con il quale si ipotizza, oltre la truffa aggravata ai danni dei lavoratori ai quali era stato più volte promessa la ripresa dei pagamenti, anche la sostituzione di persona, visto che, come hanno spesso ribadito i sindacati, “tutti gli attori intervenuti avevano trattato per Verlicchi pur non avendone alcun titolo, mentre non avevamo mai avuto contatti con i rappresentati di Jbf”.
In seguito all’acquisto da parte di Jbf, come nuovo amministratore delegato era stato nominato Valdemaro Peviani, già indagato per associazione per delinquere finalizzata alla truffa e rimasto “invisibile” a istituzioni e sindacati fino al giorno del fallimento deciso dal Tribunale di Bologna il 15 aprile scorso, quando accompagnato dall’avvocato aveva presentato una richiesta di concordato, subito respinta, ed era stato colpito da insulti e monetine da parte dei lavoratori fuori da palazzo Pizzardi.
Immediatamente dopo il fallimento dell’azienda di Zola Predosa richiesto dai lavoratori e da alcune aziende creditrici, il curatore fallimentare Fausto Maroncelli aveva chiesto che fosse rivista anche la vendita della Verlicchi di Casoli le cui quote erano state cedute l’11 marzo scorso dalla Jbf a Industrie Toscane, il cui ad è Carlo Caponi, padre del Riccardo Caponi, patron del Gruppo omonimo.
Ma quali potevano essere i piani del Gruppo Caponi? Da quanto si desume dalla stessa intervista rilasciata al Tirreno, dove la Verlicchi viene a sua volta definita “una realtà che sul piano industriale si sarebbe ben integrata nel Gruppo” l’obiettivo poteva essere quello di implementare la catena della subfornitura che le aziende di Caponi, con a capo la Tecnocontrol di Pontedera specializzata in finiture meccaniche per la componentistica dei motocicli, producono per Piaggio, loro principale cliente. La strumentazione utilizzata per costruire i telai Verlicchi, che Caponi aveva cercato di prelevare da Zola, sarebbe dunque potuta servire per produrre i telai destinati alle moto della Piaggio.
Tuttavia queste sono solo ipotesi, perché l’intervento massiccio dei lavoratori e dei sindacati hanno sicuramente contribuito a sollevare il velo di dubbio su una vicenda sulla quale la Procura sta attualmente facendo chiarezza.