Idv e Lega contro l’intervento militare. Pdl, Udc e Pd a favore. Se si potesse depurare dalle questioni politiche interne, la querelle sull’intervento in Libia sarebbe tutta qui, con un risultato trasversale e inedito che garantirebbe il sostegno alla nostra partecipazione militare, ma frantumerebbe governo e opposizione in un solo colpo. Alla fine, invece, i fronti hanno più o meno retto a scapito delle idee, portando al voto quattro mozioni ripulite, riscritte e private di ogni spigolo in grado di spezzare gli equilibri fragilissimi, da una parte come dall’altra.
Approvate, alla fine, anche se con il solo voto dell’opposizione – la maggioranza si è astenuta – le mozioni di Pd e Udc. Approvata con 309 voti (su 605 presenti) la mozione unitaria di Pdl, Lega e Responsabili. Respinta la sola mozione dell’Idv. Il governo insomma la spunta in un voto che comunque appariva scontato già ieri.
Eppure per Berlusconi è scattato l’ennesimo, piccolo, campanello d’allarme. Sette i voti in meno rispetto a quelli attesi: tre leghisti e quattro del Pdl che al momento del voto non erano in aula, nonostante il Cavaliere si sia affannato a dire che “il voto dimostra la solidità del governo e della maggioranza”. Contemporaneamente l’opposizione non vince, non convince, ma nemmeno si sfalda, come inizialmente temuto. Alla fine però il Pd incassa 13 defezioni, sei deputati che disertano l’aula e altri sette astenuti.
La questione Pdl – Lega è nota. Il Carroccio, contrario alle bombe, infastidito dagli attacchi a Tremonti e in difficoltà con l’elettorato, ha fatto la voce grossa per una settimana, ha congelato i rapporti tra Bossi e Berlusconi, si è persino affacciata a paventare una crisi di governo prima di rientrare nei ranghi e firmare una mozione congiunta con il Pdl in cui la parte più rilevante è ciò che non si legge, ovvero gli accordi per il rimpasto di governo e la rivalutazione della rigida linea sui conti voluta dal ministro dell’Economia.
Per il resto, il risultato è un misero accordo per “una data certa” di cessate il fuoco, anche se il ministro degli Esteri Frattini questa mattina ha cercato nuovamente di fornire ben altre motivazioni per giustificare il coinvolgimento italiano: “Una scelta obbligata che corrisponde non solo a doveri storici e morali, ma anche a specifici nostri interessi nazionali” che si traducono “nella consolidazione della presenza delle imprese italiane, che non possiamo far assorbire da altri Paesi”.
Resta, ed è la vera questione, la valutazione sui termini del voto di oggi: una “buffonata”, una “idiozia”, come l’hanno definita le opposizioni, che per il momento però tiene insieme il governo, anche di fronte alla palese illogicità dei termini. Un successo invece per Umberto Bossi: “Con Berlusconi siamo sempre amici, abbiamo anche questa volta trovato la quadra. E ora la Nato deve prendere atto di questa decisione del Parlamento”. Poco importa se sotto la pace di facciata le braci del conflitto interno continuano a covare.
Più complessa, paradossalmente, la posizione nell’opposizione. Se il Pd voleva mettere in difficoltà il governo mettendo ai voti una mozione che impegnasse l’esecutivo all’assunzione delle sue responsabilità, ci è riuscito solo a metà. Perché mentre si consumava lo scontro di silenzi tra il senatùr e il Cavaliere, dentro ai democratici se ne consumava un altro. E per l’ennesima volta sono venute fuori le contraddizioni delle varie anime del partito, diviso tra interventisti e non. A ieri erano undici i parlamentari del Pd pronti a votare no alla mozione del loro stesso partito, sostenendo invece quella di Di Pietro. Tanto che ancora stamattina il segretario, Pierluigi Bersani, si affannava in ogni intervista a ribadire la “coerenza” delle scelte del Pd: “Noi ribadiamo linearmente la nostra posizione, l’azione militare va con una azione diplomatica. Questa è sempre stata la nostra posizione”. Linearità a dire il vero abbastanza frastagliata, se stamattina in Parlamento ancora si discutevano limature al testo per accentuare il “ruolo della diplomazia” e convincere i riottosi a non votare con l’Idv.
L’ennesimo papocchio sventato all’ultimo minuto: il partito che porta l’eredità dell’intervento in Kosovo del 1999 ancora una volta si trova a fare i conti con il rischio di perdere voti di fronte a quella “ragion di stato” che molti elettori, animati da un sentire uguale a quello degli elettori dipietristi, non comprendono e non accettano. E D’Alema a smentire – con la consueta ironia – la sua responsabilità nelle limature al testo: “Io non ho sollecitato nulla. Ero impegnato in campagna elettorale, a Pavia. Ho molti testimoni che possono confermarlo”.
Alla fine insomma, l’attacco del Pd si è rivelato innocuo, se non addirittura autolesionista. Non per niente, lo stesso ministro degli Esteri Frattini, intervenuto alla Camera per esprimere il parere del Governo sulle mozioni al voto (quattro: Pdl-Lega, Pd, Idv, Udc-terzo polo), ha lasciato ai parlamentari libertà di voto sul testo dei democratici.
Per il resto, lo spettacolo in parlamento è stato un gioco delle parti. O un’ipocrisia, per dirla con le parole di Antonio Di Pietro: “La nostra mozione, è diversa – ha detto Di Pietro – perché noi non vogliamo che l’Italia partecipi ad azioni di guerra in Libia. Rispettiamo tutte le altre mozioni, ma le consideriamo profondamente sbagliate e ipocrite”. Alla fine l’Idv ha incassato solo i suoi voti, venti in tutto e l’astensione del Pd.
Sull’ipocrisia ha insistito anche l’Udc Casini: “Di questo voto non c’era bisogno, la politica non può essere subalterna a giochetti politici di piccolo cabotaggio”. Il leader centrista ha rivendicato – anche lui – la coerenza della linea del suo partito “che sostenne anche Prodi ai tempi dell’Afghanistan” e ha attaccato il Pdl: “Una mozione ridicola, non si possono fissare i termini dei bombardamenti. Questa mozione fissa il termine del non termine. In fondo però si tratta di un testo coerente: siamo l’unico paese che è passato in quattro mesi dal non bombardare al bombardare, dal baciamano ai missili”.
Il Pdl intanto si affannava in capolavori di equilibrismo per sostenere un accordo che di fatto non cambia nulla, nei tempi come nell’impegno italiano in Libia: “La questione del temine dei bombardamenti non è una questione da risolvere davanti al notaio – ha sostenuto Cicchitto – ma una questione politica di gestione della strategia: un termine deve esserci, nessuno può pensare di bombardare la Libia per mesi e mesi. Va rilanciata la questione politica e strategica della fine dei bombardamenti – ha detto ancora – altrimenti si contraddirebbe la deliberazione dell’Onu”. E la Lega rivendicava la propria coerenza: “Siamo consapevoli degli impegni internazionali”, ha garantito Reguzzoni, elencando la lista dei punti contenuta nella mozione e la “lungimiranza” della Lega Nord. “La verità – gli ha ribattuto Bersani – è che questa è “un vergognosa sceneggiata. Domani non cambia niente, solo che abbiamo fatto un altro scalino in basso nella nostra credibilità internazionale”.
Ma forse, con buona pace di chi si è animato parlando di pacifismo o intervento militare di politica e di interessi nazionali, alla fine la sintesi più efficace è quella riassunta nelle parole del leader del Carroccio Umberto Bossi: “La Lega ha vinto, ce l’ha sempre duro”.