Per emettere il proprio giudizio sulla sostenibilità del debito pubblico a lungo termine, la casa di rating americana Standard & Poor’s ha atteso l’esito del primo turno di elezioni amministrative. Il perché lo si è capito leggendo la nota a margine del giudizio, che ha sì confermato il voto “A+” sui nostri Btp, ma abbassando l’outlook da “stabile” a “negativo”. In parole povere significa che è possibile, se non probabile, che nei prossimi mesi il nostro giudizio venga rivisto al ribasso in seguito a una più approfondita analisi delle prospettive del Belpaese. E un voto più basso significa dover vendere i titoli del Tesoro con interessi più alti per renderli appetibili, perché sono divenuti a giudizio degli analisti più rischiosi. Uno spauracchio per il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che potrebbe dover correggere i conti pubblici con una manovra estiva per un importo superiora ai 7-8 miliardi di euro. Così almeno si è vociferato nelle ultime settimane, ma senza trovare conferme governative.
Il punto toccato dall’agenzia americana è squisitamente politico, anche se l’analisi si sofferma sulle note dolenti del sistema Italia, che cresce poco e non riesce a far scendere l’altissimo debito pubblico: la verifica elettorale era quindi necessaria per avanzare e sostenere la propria tesi. Gli italiani al voto lo scorso week end hanno chiaramente espresso una posizione diversa rispetto al passato, emersa con forza nella roccaforte pidiellina di Milano, dove Giuliano Pisapia è in predicato di cambiare maggioranza a Palazzo Marino. E Standard & Poor’s nella nota di accompagnamento al nuovo giudizio parla di “un possibile stallo politico” che impedirà le necessarie riforme di cui il Paese ha bisogno.
Piccato il Tesoro che nella propria replica dichiara: “E’ da escludere in assoluto” il rischio di una possibile paralisi politica, così come ipotizzato da Standard and Poor’s che ha oggi tagliato l’outlook dell’Italia. Ma è chiaro che il gelo dei giorni scorsi tra Lega e Pdl non incoraggia a credere fino in fondo a quest’affermazione. Il ministro Tremonti sa infatti che sui mercati finanziari si ragiona diversamente: i grandi soggetti finanziari che acquistano il nostro debito pubblico lo fanno sulla base dei rating e non su quelle delle dichiarazioni politiche che spesso non sono seguite da azioni concrete.
Durissimo il commento di Pieluigi Bersani: “Non c’è bisogno delle agenzie di rating per sapere che il Paese deve liberarsi urgentemente dalle divagazioni e dalle cialtronesche vanaglorie personali di cui è vittima e deve assolutamente concentrarsi su una diversa politica economica e su un programma stingente di riforme”, afferma il segretario del Pd.
L’uscita di Standard & Poor’s ha comunque destabilizzato e spiazzato: lo si capisce dalle reazioni, si potrebbe dire scomposte, di una parte dei sindacati. Sia Pierluigi Angeletti della Uil, sia Raffaele Bonanni della Cisl piuttosto che ricordare al Governo i propri impegni puntano il dito contro la società americana. Per Angeletti “non è la prima volta che Standard & Poor’s prende abbagli. Penso sia di nuovo un abbaglio”, mentre Bonanni dice che il taglio dell’outlook dell’Italia “è una vecchia notizia, e il fatto che venga da un’agenzia di rating screditata come Standard & Poor’s non è una buona notizia. La classe politica cambi rotta sulla crescita: al bando i rating di agenzie screditate ma avanti con la serietà. Siamo stufi di commentare notizie artefatte sull’Italia senza che si muova un dito. Chiediamo la riforma fiscale integrale. Non ci interessano le discussioni di chi deve fare campagna elettorale e di chi vuole screditare l’Italia”.
Forse S&P è screditata, ma il Prodotto interno lordo italiano del primo trimestre del 2011 è stato di un misero +0,1 per cento rispetto al quarto trimestre del 2010, segnando ancora una fase di stallo rispetto alla ripartenza di Francia e Germania.
di Alfredo Faieta