E’ la solita vecchia storia. Quella raccontata dal perpetuo balletto di cifre e smentite, di rapporti percentuali e sempiterne rassicurazioni cui, di fatto, non crede più nessuno. Mercati in testa. Per Silvio Berlusconi lo slogan è sostanzialmente lo stesso, sebbene con qualche variazione a tema. Dal “Meno tasse per tutti” del 2001 al “Noi non metteremo mai le mani nelle tasche degli italiani” di recente memoria. Un evergreen ribadito ancora venti giorni fa. E puntualmente destinato ad essere smentito. Nel giugno di quest’anno, il Governo approverà una maxi manovra pari al 2,3% del Pil pensata per il biennio 2013-14 con l’obiettivo di raggiungere il pareggio di bilancio tra tre anni. Tradotto: dai 35 ai 40 miliardi di euro da rastrellare in qualche modo dalle tasche dei contribuenti, magari sottoforma di innalzamento delle tariffe (le famose tasse “occulte”) o di sempre efficaci tagli alla spesa per ricerca, istruzione, cultura e servizi, cui si aggiungerà un ulteriore intervento da 5-7 miliardi ipotizzato per il 2012. Tutto come previsto, insomma.
A rendere note le cifre della manovra una fonte del governo citata ieri dalle agenzie. L’operazione sarà accompagnata da una manovra correttiva orientata a riallineare i saldi di finanza pubblica e ad alimentare tutte quelle spese che ancora non sono state iscritte a bilancio. Vengono dunque confermate le indiscrezioni lanciate dal Financial Times citando fonti interne al Tesoro. Secondo il quotidiano britannico, l’intervento sarebbe stato deciso dopo alcune consultazioni con Bruxelles e sarebbe stato motivato in primo luogo dal taglio dell’outlook realizzato da Standard&Poor’s che, nei giorni scorsi, ha declassato le prospettive dell’Italia chiamando in causa, tra le altre cose, proprio la debolezza del governo.
Ma ad essere implicitamente confermate non sono solo le previsioni del Ft. La decisione del governo sembra infatti ribadire quanto affermato dalla Corte dei Conti nella sua spietata analisi delle finanze pubbliche nazionali. La crescita cronicamente bassa del Paese imporrà all’Italia uno sforzo di rientro pari a 46 miliardi a partire dal 2013. Un calcolo semplice che, in fondo, era sotto gli occhi di tutti a partire dallo scorso autunno quando a Bruxelles iniziò a delinearsi il più ambizioso piano di stabilità della storia dell’Unione. L’Europa, come noto, impone ai membri di Eurolandia un progressivo taglio del debito in eccesso (il limite è il 60% del Pil, l’Italia fronteggia quasi il 120%) pari a 1/20 all’anno da affiancare a un deficit non superiore al 3% (il vecchio parametro di Maastricht). Per l’Italia si parlò nei mesi scorsi di oltre 130 miliardi in tre anni come a dire che i conti tornano. Purtroppo.
Ne è consapevole per primo il ministro dell’economia Giulio Tremonti, perennemente sospeso tra la difesa a oltranza della reazione italiana alla crisi – sistema bancario solido, debito privato basso etc. – e la piena comprensione del tormentato stato dei conti pubblici. Il rigore di bilancio “non può essere allentato, ma è ancora nel nostro presente e nel nostro futuro” ha affermato il ministro in occasione della presentazione del rapporto della Corte dei Conti. Parole che evocano quanto già espresso con sorprendente chiarezza ad aprile quando, nell’intervallo del voto alla Camera sul processo breve, Tremonti aveva presentato ufficialmente il documento di Decisione di Economia e Finanza. “L’unico messaggio responsabile e nell’interesse del Paese – aveva affermato il ministro – è che non esistono i presupposti per una crescita duratura ed equa senza stabilità dei conti pubblici”. Più chiaro di così.
Circa una settimana più tardi, la Corte avrebbe ribadito ulteriormente la questione. L’Italia sta andando incontro a un “miglioramento del livello del disavanzo tendenziale”, un fenomeno positivo, certo, ma anche strettamente legato al “mantenimento della pressione fiscale sul livello elevato del 2010 (42,6 per cento)” e determinato “da una ulteriore forte caduta degli investimenti pubblici rispetto al livello minimo del 2010 e dal blocco temporaneo delle spese di personale delle amministrazioni pubbliche. Nel biennio successivo (2013-2014), l’obiettivo programmatico di sostanziale pareggio del bilancio richiederà una correzione strutturale dei conti pubblici di oltre due punti di prodotto interno lordo”. Poco meno di 40 miliardi di euro si diceva. Poi dalla Corte è arrivata la correzione al rialzo.