Via Taverna del Ferro è una strada stretta come un corridoio, nascosta tra due colossi di cemento. Siamo a San Giovanni a Teduccio, periferia orientale di Napoli: il quartiere del “bronx”, fortino del clan Formicola e centro storico dello spaccio partenopeo. Ma se distogli lo sguardo dai nove casermoni di edilizia popolare e giri l’angolo, a pochi metri trovi una scuola che porta il nome di Rosario Livatino, il giudice ragazzino ammazzato dalla mafia.

Quando l’istituto medio-superiore fu intitolato al magistrato, il 6 maggio 2006, qualcuno non apprezzò la scelta. Una settimana dopo fu trovato sottosopra: i corridoi allagati e invasi dalla spazzatura, le foto del giudice stracciate sul pavimento. Quel giorno l’ex preside Aristide Ricci radunò gli studenti e li portò in cortile: “Oggi facciamo lezione qui”. “Volevamo far capire che non ci saremmo lasciati piegare”, ricorda Ricci.

È stato di parola. Il Livatino non solo non si è lasciato piegare ma ha moltiplicato i suoi sforzi: l’aula magna ora è intitolata a Peppino Impastato, la “cultura della legalità” è una materia insegnata ogni settimana; la scuola ha ospitato Giovanni Impastato, Roberto Saviano, rappresentanti di Libera e magistrati impegnati nella lotta alla camorra; i suoi studenti hanno visitato Casal di Principe, Cipriano D’Aversa e le terre confiscate di Castel Volturno.

Il Livatino è anche uno dei primi istituti a partecipare all’iniziativa “Portiamo i fatti nelle scuole”. Cinzia Monteverdi, Enrico Fierro e Luca Telese hanno raccontato ai ragazzi l’esperienza del nostro giornale. “Vogliamo tenere le vostre menti aperte”, ha spiegato Cinzia, presentando Domani torno a casa, il dvd su Emergency e il suo lavoro in Africa e Afghanistan.

Il dibattito è scivolato in modo naturale su Napoli e la camorra; su cosa significa studiare, e vivere, a San Giovanni a Teduccio. “Ogni volta che vengo qui trovo questa città peggiorata, sotto ogni aspetto”. Enrico Fierro è nato ad Avellino. Napoli, e il Sud, li conosce profondamente: “L’unico modo per raccontare qusto posto è incazzarsi. Continuare a sentire la rabbia”. E ai ragazzi di San Giovanni la rabbia non manca. Diversi prendono la parola, il senso è sempre lo stesso: “Qui, lo Stato, non e-si-ste”, come grida Sonia, con la voce che trema per l’emozione. Risponde Telese: “Lo Stato siamo anche noi. Non siete separati dal mondo in cui vivete. Ognuno può fare qualcosa che cambi il verso della storia”.

Quando stiamo per andare via, Beatrice Carrillo, insegnante di Lettere, ci dice quanto costa il voto di un neo maggiorenne in alcuni seggi tra San Giovanni, Barra e Ponticelli: “Cinque euro. Cinque. Filmano la scheda con il cellulare. Nessuno controlla”.

Viene da chiedersi quale forza straordinaria tenga in piedi gli uomini e le donne del Livatino, che continuano a remare contro la corrente. Beatrice sorride: “Sappiamo di essere una scuola di ‘frontiera’. Qui la cultura è l’ultimo baluardo di civiltà e legalità”.

di Tommaso Rodano

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