Da Vercelli verso la Francia, all’insaputa dei cittadini. Mentre il governo blocca il referendum sull’energia atomica e i progetti per le nuove centrali, le scorie nucleari accumulate dall’Italia prima del 1987, continuano a viaggiare, sui treni, dirette all’estero. Viaggi necessari per “liberare” i centri piemontesi delle scorie, ma – visto il materiale trattato – rischiosi. Tanto che le prefetture delle province piemontesi hanno preparato dei piani di emergenza, prevedendo fino a tre livelli di rischio, così che – in caso di incidenti – gli interventi siano rapidi.

La popolazione, però, è tenuta all’oscuro di tutto: i cittadini non sanno quando i convogli passeranno e non sanno come tutelarsi. Sebbene una norma europea obblighi le amministrazioni ad avvisare la cittadinanza, un decreto del governo del 2006, ripreso da una delibera regionale e dal piano d’emergenza della Prefettura di Torino, sancisce che le misure di sicurezza vengano rese note solo dopo un eventuale incidente. Gli amministratori locali e i comitati di cittadini protestano: “È giusto che la gente sia informata”, afferma Emilio Chiaberto, sindaco di Villar Fioccardo, comune che insieme al Movimento 5 Stelle e alla federazione nazionale Pro Natura ha fatto un ricorso al tribunale amministrativo del Piemonte: “È un contributo alla trasparenza su un pericolo serio”, aggiunge. Secondo i ricorrenti al Tar, la direttiva europea deve prevalere sulla norma del governo e quindi cittadini devono essere informati in anticipo. Tuttavia, il 14 maggio scorso i giudici hanno stabilito che la competenza spetta al Tar del Lazio. In attesa della decisione, i convogli continueranno a passare.

I piani prefettizi sono stati predisposti per i trasporti di scorie delle vecchie centrali nucleari italiane conservate nel vercellese, nel deposito “Avogadro” di Saluggia e nell’ex centrale “Enrico Fermi” di Trino, verso l’impianto Areva a La Hague per il “riprocessamento”, un’operazione che permette di recuperare materiale utile dagli scarti. Sono dieci i viaggi da compiere entro la fine del 2012, e solo due sono già stati effettuati. Alla base dei piani ci sono le raccomandazioni dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra): i cask, cilindri d’acciaio che contengono il materiale radioattivo, viaggiano su treni speciali e prima della loro partenza viene “fatto divieto di incrocio con altri convogli recanti sostanze pericolose”, si legge nel piano d’emergenza del 2011 della Prefettura di Torino (clicca qui per vedere il documento). Al seguito del convoglio devono viaggiare i vigili del fuoco, con una squadra antincendio e una squadra radiometrica (che esegue le rilevazioni e delimita le eventuali aree contaminate), le forze dell’ordine, i tecnici della squadra del trasportatore e la squadra di intervento della Sogin, tutti pronti nel caso in cui qualcosa andasse storto. Tre sono i gradi di rischio previsti: lieve, grave (se il cask si stacca spostandosi fuori dal veicolo), fino a “molto grave”, in caso di incendio dopo lo scontro tra il treno e un’autocisterna con liquido infiammabile. Solo in quest’ultimo caso, quello in cui si passa dallo stato d’attenzione allo stato d’allarme, il piano prevede che la popolazione sia “immediatamente informata dalle autorità locali, d’intesa con la Prefettura, sui fatti relativi all’emergenza, sul comportamento da adottare, sui provvedimenti di protezione sanitaria”. Ma, secondo chi protesta, a quel punto sarebbe troppo tardi.

Come rileva il ricorso preparato dall’avvocato Daniela Bauduin per il Movimento 5 Stelle, Pro Natura e il Comune di Villar Focchiardo, la direttiva della Comunità europea dell’energia atomica sui trasporti nucleari, la 618 del 1989 (ripresa dal decreto legislativo 230 del 1995 e dalla legge regionale n° 5 del 18 febbraio 2010) prevede che gli Stati vigilino “affinché la popolazione che rischia di essere interessata dall’emergenza radioattiva sia informata sulle misure di protezione sanitaria ad essa applicabili, nonché sul comportamento che deve adottare in caso di emergenza radioattiva”. Però il decreto della presidenza del consiglio dei ministri n.44 del 2006, la delibera regionale 25-1404 del 19 gennaio 2011 della giunta di Roberto Cota e i piani prefettizi non prevedono queste azioni: “Abbiamo chiesto che senza un’adeguata informazione i treni non transitino – dichiara Davide Bono, consigliere regionale del movimento fondato da Beppe Grillo, che tiene a precisare un punto -. I viaggi devono avvenire, ma i cittadini devono essere avvisati”.

Ai tre ricorrenti si aggiungeranno anche altri Comuni interessati dal passaggio dei treni, come quello di San Didero: “Abbiamo deliberato di procedere con un ricorso ‘ad adiuvandum’, per sostenere quello già fatto”, annuncia il sindaco Loredana Bellone. Lei, come altri, non è stata avvisata al momento del transito: “Ho ricevuto il piano due o tre giorni prima del primo passaggio, tra il 6 e il 7 febbraio scorso, di cui né io né altri colleghi eravamo stati informati”. Lamenta anche la mancanza di un calendario dei passaggi: “Hanno detto che lo stavano predisponendo, ma non è stato ricevuto nulla”. Neanche per il secondo transito, tra l’8 e il 9 maggio, c’è stata un’informazione precisa: “Il 6 maggio, due giorni prima del secondo passaggio, abbiamo ricevuto una mail con delle considerazioni generiche, ma non si sa quando passeranno questi treni”, ricorda Chiaberto. Bellone aggiunge anche che, nelle riunioni in prefettura, “hanno detto che avrebbero fatto un seminario per insegnarci cosa dire alla popolazione”. E invece ancora non sanno cosa fare nel caso in cui ci fosse un’emergenza e in più, dice: “Non abbiamo i mezzi per affrontarla”. La stessa risposta la fornisce il sindaco di Sant’Ambrogio, Dario Fracchia, che ha un dubbio: “In caso di incidente ci direbbero che non avremmo fatto nulla, ma se facessimo delle prove saremmo accusati di procurato allarme. Manca un’indicazione precisa del prefetto. Ci dica cosa fare”.

Nel frattempo, il 17 maggio scorso, ovvero tre giorni dopo la decisione del Tar Piemonte, la giunta Cota, su impulso dell’assessore all’Ambiente Roberto Ravello, ha cercato di porre un rimedio istituzionalizzando il tavolo di “confronto e partecipazione nucleare” con prefetture, enti locali, gestori degli impianti, associazioni ambientaliste, di industriali, artigiani o agricoltori, e sindacati. Un tavolo già stato previsto dalla precedente giunta Bresso, che però – almeno per ora – non prevede aspetti operativi relativamente alle operazioni di trasferimento delle scorie. Operazioni, appunto, che sono già in corso.

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