Straordinario – ma hanno fatto anche di meglio in passato – blitz di Greenpeace allo stadio Olimpico di Roma per la finale di Coppa Italia, ieri 29 maggio. Mentre sul campo stava iniziando il primo tempo, tra Inter e Palermo, gli attivisti dell’associazione ambientalista più attiva e (quando serve) aggressiva che ci sia, si sono calati dall’anello di copertura dello stadio, srotolando uno striscione giallo di duecento metri quadrati con la scritta: “Da Milano a Palermo, fermiamo il nucleare”. Per un lungo minuto hanno rubato la scena a quanto stava accadendo sul prato dell’Olimpico, accolti da un applauso trasversale dei tifosi presenti.
Non tutti, non sempre, riconoscono il valore delle iniziative di Greenpeace, che con grande intelligenza mediatica ha fatto della spettacolarizzazione delle proprie proteste un marchio di fabbrica (indimenticabile la scalata del Cristo Redentore a Rio de Janeiro). Ma che se necessario non teme di lanciarsi anche nella lotta corpo a corpo, intralciando baleniere, bloccando centrali, infiltrando uomini. Greenpeace è un’associazione internazionale non governativa che si autofinanzia e che è sempre presente ovunque ci sia un’emergenza ambientale da prevenire o, purtroppo, da denunciare all’opinione pubblica. Dovremmo ricordarcene più spesso ed essere grati a questi uomini e donne che a prezzo della propria incolumità e fedina penale sfidano l’Autorità dei Governi per la salvaguardia delle risorse di tutti.
Fa sorridere, nel contesto, il commento del Presidente del Senato Schifani che ha voluto enfatizzare la forza aggregante dello sport, grazie a “una finale che ha una visione plastica dell’unità d’Italia, tra una squadra del Nord, una del Sud e giocata a Roma al centro d’Italia”. In effetti, ieri sera, l’Italia virtualmente rappresentata allo stadio Olimpico è stata unita, almeno per un minuto, contro un nemico comune. Il nucleare, i rischi connessi, i quesiti irrisolti, le speculazioni immancabili, la negazione palese del diritto di esprimersi a riguardo con un referendum. In altre parole, tutti uniti, per sessanta secondi, contro chi ha deciso di calpestare senza vergogna la volontà popolare: il partito di Schifani, appunto.