Una strage a orologeria, innescata dalle emissioni letali: la radioattività rilasciata dai reattori di Fukushima potrebbe causare quasi 420mila casi di cancro nei prossimi 50 anni. A riportare queste inquietanti cifre è uno studio di Chris Busby, segretario scientifico dell’Eccr, il comitato europeo sul rischio radioattivo, nato da un gruppo di scienziati desiderosi di analizzare in modo indipendente i pericoli legati alle contaminazioni nucleari. Secondo gli studiosi britannici, la metà dei casi di cancro potrebbe verificarsi nel raggio di 200 km dalla centrale giapponese già nei prossimi dieci anni. Per ora si tratta solo di stime, ma il professor Busby e la sua équipe, oltre che dell’attendibilità del loro lavoro, sono convinti di una cosa: i fattori di rischio dovuti alla radioattività continuano ad essere sottovalutati.
Le stime sono state eseguite usando i dati forniti dall’Aiea, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, e da fonti ufficiali giapponesi. Due i metodi utilizzati. Il primo prende in considerazione la crescita dei casi di tumore in Svezia verificatasi dopo l’incidente di Chernobyl: un aumento osservato nella parte settentrionale del Paese nell’arco di un decennio dal dottor Martin Tondel, e quantificato nell’11% per ogni 100 kBq/m² di contaminazione radioattiva. Sulla base di questi dati, e focalizzandosi dapprima sulle zone situate fino a 100 km dai reattori, in cui l’Aiea ha calcolato una media di 600 kBq al metro quadro, il professor Busby ha stimato un valore di contaminazione che porterebbe ad un aumento dei casi di cancro del 66%: vale a dire che, tra il 2012 e il 2021, potrebbero verificarsi ben 103.329 cancri in più a causa dell’esposizione alle radiazioni di Fukushima.
Applicando invece il “metodo Tondel” all’area tra 100 km e 200 km dalla centrale, una zona con 7.8 milioni di abitanti e con concentrazioni di radiazioni più basse, i casi di cancro da qui al 2021 sono stimati in 120.894 unità. Per un agghiacciante totale di 224.223 tumori in più nei prossimi dieci anni. Lo stesso European Committe on Radiation Risk, di cui Busby fa parte, prevede una situazione simile: 191.986 cancri addizionali entro 100 km dalla centrale nucleare e 224.623 nel cerchio più esterno, per un totale di 416.609. La metà dei quali, secondo l’Eccr, riscontrabile nei prossimi dieci anni. Ci sarebbero poi da aggiungere i 6158 casi predetti per i prossimi 50 anni dalla Icrp, la Commissione Internazionale per la Protezione Radiologica. Che, aggiungendosi ai due milioni e mezzo normalmente verificabili nell’arco di mezzo secolo nella popolazione giapponese di quelle regioni, è considerabile come “negabile”. Anzi, addirittura “invisibile”.
L’Eccr da tempo cerca di mettere in guardia su quanto i rischi derivanti dall’esposizione alla radioattività siano sottostimati. Anche lo scorso anno, con il lungo rapporto “2010 Recommendations of the European Committee on Radiation Risk”, lo scopo era quello di portare i governi a prendere più sul serio la questione, in modo da allertare la popolazione in caso di necessità. Del resto, gli scienziati che hanno fondato l’Eccr lo descrivono proprio come una “una creazione spontanea della società civile che affronta l’evidenza chiara ed allarmante del fallimento delle sue Istituzioni democratiche nel proteggerla dagli effetti dell’inquinamento radioattivo”.