La soluzione di Berlusconi al tracollo elettorale si chiama ancora una volta “meno tasse”. Il premier continua ad insistere sull’antica promessa, anche oggi, dopo la sberla presa alle amministrative. “Faremo la riforma del fisco”, assicura il Cavaliere parlando con i giornalisti nei giardini del Quirinale dove arriva per il ricevimento in vista della festa della Repubblica. E se Tremonti non aprisse i cordoni della borsa, chiedono i cronisti. “Li faremo aprire. Non è Tremonti che decide. Lui propone”, taglia corto il premier.
Il presidente del Consiglio, insomma, ostenta sicurezza, parla in lungo e in largo, dai risultati elettorali al futuro del governo, dai figli in politica – “se lo fanno li diseredo” – ai rapporti con Obama. “Abbiamo preso un gol, ma siamo ancora 4 a 1”, dice Berlusconi, “ho preso atto dei risultati dei ballottaggi”, ma “la maggioranza è forte e il governo va avanti per fare le riforme”. Ripete di non avere niente di cui pentirsi. La colpa, se c’è, è di altri. Anche quando scappano frasi dal significato enigmatico: “”Sono sereno, quello delle amministrative è un risultato che prevedevo – dice ancora Berlusconi – ma non potevamo fare scelte diverse. Avrei potuto vincere in Campania con Mara Carfagna, ma l’avremmo consegnata alla Camorra”.
Parole di cui il premier non spiega il significato, ma che non cambiano il senso del messaggio: qui tutto bene. Come gli avrebbe del resto detto anche il presidente degli Stati Uniti: “Io devo spiegare, quando giro il mondo, agli altri leader perché sono coinvolto in 31 processi. E comunque Obama mi ha detto ‘non ti faranno cadere, ma sono sicuro che se cadi, cadi in piedi’“.
Ma il colpo più grosso resta quello assestato al superministro dell’Economia. Un colpo doppio: da un lato al proprio elettorato, che il premier cerca di rincuorare e riguadagnare con promesse a buon mercato a scapito di Tremonti. Dall’altro all’alleato leghista, sempre più in fibrillazione dopo la batosta e sempre meno incline a sacrificare la specificità nordista per proteggere Berlusconi da logoro repertorio del pericolo rosso rappresentato dai vari Pisapia, De Magistris, Boccassini esibiti alla bisogna.
Il messaggio del premier è tanto chiaro quanto vuoto: comando ancora io. Ma cosa e chi comanda? L’esposizione di autorità serve solo a nascondere le crepe. Cercando il gioco di prestigio il Cavaliere dimentica, o fa finta di dimenticare quello che Corte dei Conti e Banca d’Italia vanno ripetendo da settimane. Solo questa mattina il futuro presidente della Bce, Mario Draghi, ha ricordato che per abbassare le tasse bisogna combattere l’evasione fiscale: “Andrebbero ridotte in misura significativa le aliquote, elevate, sui redditi dei lavoratori e delle imprese – ha detto Draghi – compensando il minor gettito con ulteriori recuperi di evasione fiscale, in aggiunta a quelli, veramente apprezzabili, che l’amministrazione fiscale ha recentemente conseguito”.
E un paletto ancora più rigido lo ha messo pochi giorni fa Corte dei Conti, paventando una manovra correttiva attorno ai 40 miliardi per rimettere in sesto i conti dello Stato, così come ci chiede l’Europa e così come direbbe il buon senso, almeno a guardare ciò che sta succedendo in Grecia.
Il momento non potrebbe essere peggiore di questo: sconfitto alle elezioni, costretto al rigore contabile, preoccupato da un partito vicino alla diaspora e da un alleato in fuga, Berlusconi annuncia grandi riforme prefigurando scintille con la Lega nord. Intanto corteggia l’altra fondamentale stampella del governo, quei Responsabili che lo hanno mantenuto al potere da dicembre ad oggi. ”Non mi toccate Scilipoti – dice il premier – è una persona deliziosa, corretta, piena di iniziative in tutti i sensi, una persona stupenda”. Poi Berlusconi, prende sotto braccio il capogruppo di Iniziativa responsabile, Luciano Sardelli, e si avvicina ai cronisti presentandolo così: “Loro sono i più leali e i più coerenti sostenitori del mio governo”. Parole poi confermate testualmente dallo stesso Sardelli: “Andremo avanti nel sostengo al governo fino alla fine delle legislatura”.
Per fare cosa non è chiaro. Di certo il premier non si dimentica dei suoi affari personali mentre si prepara alle grandi riforme. Questo almeno suggerisce la visita dei figli, che oggi lo hanno accolto di ritorno dalla Romania a Palazzo Grazioli. A complicare la vita del premier infatti, incombe la spada di Damocle della sentenza di appello sul Lodo Mondadori. Per il premier sarebbe una iniezione di liquidità nelle tasche del suo principale rivale, quel De Benedetti che una volta incassato potrebbe decidere – come rumoreggiato in questi giorni da più parti – di acquistare La7 e scendere in guerra con il Cavaliere proprio sul suo terreno. Tutto questo mentre sullo sfondo si profila l’incognita del referendum sul legittimo impedimento.
In questo contesto vale allora la pena di ricordare la reazione del sindaco di Roma, Gianni Alemanno, a chi oggi gli chiedeva se il Pdl debba ripartire da Berlusconi: una risata. Seguita da un laconico “bella domanda”.