Non si scrive mai dei fatti propri, ma faccio un’eccezione per salutarvi e ringraziarvi. Ieri è stato il mio ultimo giorno di lavoro nella redazione di via Valadier: sono in partenza per un master di giornalismo alla Columbia University che durerà qualche mese. Quando si lavora in un posto come il Fatto Quotidiano, ci si pensa due volte prima di imbarcarsi in un’altra avventura. Io ci ho pensato venti volte, ho chiesto consigli, ho deciso di andare e poi di restare, ho cambiato idea in continuazione. Poi ho scelto di partire perché credo che questo master mi servirà per diventare più brava e poter contribuire di più a questo giornale.
Venerdì sono andata a Gattatico, al festival della Costituzione, che si è trasformato anche in una bellissima manifestazione d’affetto per il Fatto Quotidiano. Per noi che lavoriamo davanti a un computer, è emozionante conoscere chi ci legge, chi ha creduto in questo progetto prima ancora che nascesse e chi ci dà spunti per migliorarlo. L’ho visto nell’entusiasmo del nostro direttore, di Cinzia Monteverdi, di Luca Telese e di tutta la squadra che al Fuori Orario si è divertita e che da Roma seguiva l’evento in streaming sul sito. Quell’incontro e altri organizzati dal giornale danno una carica inimmaginabile e fanno sparire la stanchezza che a volte c’è.
Sono passati quasi due anni dall’8 luglio – manifestazione “no bavaglio” – quando la redazione del Fatto si è trovata per la prima volta insieme. Abbiamo fatto la prima riunione in una stanza senza nemmeno i computer. Siamo diventati un laboratorio che ha confermato un’intuizione: i lettori bastano a sostenere un giornale. Non servono i finanziamenti pubblici, non servono le grandi pubblicità. Non si deve avere un padrino alle spalle. Basta guadagnarsi la fiducia di un pubblico nell’unico modo che questo giornale conosce: essendo indipendente. Ho incontrato colleghi che, lo dico senza retorica, non sono solo grandi professionisti, ma anche persone di valore. Gente pronta a tornare dalla corta, a lavorare di domenica, e trascurare la propria vita al di fuori della redazione perché crede in un certo tipo di giornalismo. Penso a Stefano (io Sandra, tu Raimondo), a Giorgio, a Silvia, a Paola, a Diana e Andrea. Penso all’isola felice (il gruppo di deskisti con cui lavoro), a David, a Paolo. Penso ai redattori, ai grafici, alla segreteria, ai capi e agli inviati. Amici che mi mancheranno davvero.
Ne approfitto quindi per dire a loro che sono felice di avervi conosciuto e aver lavorato fianco a fianco, e delle tante belle edizioni del Fatto che abbiamo creato insieme. E per ringraziare voi dei commenti, delle critiche, del supporto e dell’amore che avete per questo giornale.
A presto.