Il verdetto, arrivato settimana scorsa dall’Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha fatto il giro del mondo: i telefonini potrebbero provocare il cancro. Una presa di posizione che suona come un primo campanello di allarme su una tecnologia relativamente nuova di cui ancora non si conoscono gli effetti potenziali sulla salute, soprattutto nel lungo termine. E ora che i dati cominciano ad arrivare (solo da una decina di anni i telefonini hanno una diffusione così capillare) si moltiplicano anche gli allarmi delle istituzioni sanitarie. Il panel dei 34 esperti convocati dallo Iarc ha deciso infatti di inserire nella tabella 2b, quella riservata alle sostanze possibilmente cancerogene, le radiofrequenze emesse dai cellulari e da tutti gli altri dispositivi wireless.

La camera di consiglio è durata una settimana intera. Il materiale da esaminare era infatti notevole: centinaia di studi di diversa estensione realizzati per lo più in Europa e negli Stati Uniti. Per conoscere nei dettagli i motivi che hanno spinto i ricercatori a prendere questa decisione occorrerà aspettare ancora un po’, almeno fino a quando non sarà pubblicato l’articolo sul numero di luglio della rivista Lancet oncology. Gli esperti hanno preso in esame tre diverse sorgenti di onde elettromagnetiche: radar e microonde (esposizione occupazionale); radio, tv e altri dispositivi wireless (esposizione ambientale); telefonia mobile (esposizione personale). Se per le prime due non sono state rilevate particolari evidenze che le mettessero in correlazione con qualche forma di tumore, per la terza sorgente, quella cioè dei telefoni cellulari, il rischio è venuto a galla. Almeno per quanto riguarda due particolari tipi di tumore: il glioma (tumore maligno del cervello) e il neurinoma acustico (tumore benigno del nervo acustico). Per tutti gli altri tipi di tumore (leucemie e linfomi sono tra) l’evidenza è “inadeguata” per trarre conclusioni.

La valutazione si basa sia sui test sugli animali effettuati finora che sui dati degli studi epidemiologici sull’uomo. «In entrambi i casi le evidenze sono state giudicate ‘limitate’ per quanto riguarda il glioma e il neurinoma acustico (tumore del nervo uditivo, ndr) – ha spiegato Jonathan Samet, che ha coordinato il gruppo di lavoro – mentre per altri tipi di tumore non ci sono dati sufficienti». Che sui telefonini ci fosse qualche dubbio in termini di sicurezza era noto già da qualche anno. Nel 2007 da un gruppo di ricercatori svedesi guidati da Lennart Hardell dell’University Hospital di Orebro e Kjell Hansson Mild della Umea University, aveva pubblicato una ricerca sulla rivista ‘Occupational Environmental Medicine’ in cui si evidenziava con una certa chiarezza il rischio di queste due particolari forme di tumore per un utilizzo prolungato (almeno un’ora al giorno del telefonino). Lo studio svedese esaminava undici diversi studi già effettuati su questo settore e concludeva che esisteva una correlazione diretta tra uso prolungato dei cellulari e queste due forme di tumore. Inoltre, avevano osservato i ricercatori, i tumori tendono a manifestarsi esattamente sul lato del cervello dove si appoggia il telefonino. Infine, lo studio svedese evidenziava un rischio molto più alto per i bambini e per i ragazzi.

Questo studio all’epoca aveva suscitato diverse polemiche anche perché un successivo studio internazionale “Interphone” aveva portato a risultati diametralmente opposti. Gli esperti della Iarc hanno sottolineato che serviranno ulteriori ricerche prima di avere conclusioni definitive. «Considerando le possibili conseguenze di questa classificazione e di questi risultati per la salute pubblica – afferma Christopher Wild, direttore della Iarc – è importante che siano condotte ulteriori ricerche sull’uso massiccio e a lungo termine dei telefoni cellulari». «Il fatto è che non sappiamo ancora molto sull’impatto di questa tecnologia sulla salute» spiega Umberto Tirelli, Direttore del Dipartimento di Oncologia Medica dell’Istituto Nazionale Tumori di Aviano. «La scienza – ha aggiunto – deve continuare ad approfondire la questione perché dobbiamo imparare a usare questi strumenti di comunicazione che sono entrati con così tanta forza nella nostra vita». L’inserimento nella lista delle sostanze possibilmente cancerogene è sotto questo profilo molto utile, perché aiuta ad alzare il livello di guardia. «In attesa di ulteriori risultati, è chiaro – spiega ancora l’oncologo – che sarebbe opportuno prendere delle precauzioni. Soprattutto per quanto riguarda bambini e adolescenti. Si tratta – dice Tirelli di due categorie a rischio perché ancora in fase di sviluppo e dunque più vulnerabili a questo tipo di effetti sulla salute».

Emanuele PeruginiPianetascienza

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